Editoriale di luglio/agosto - Il modello maschile di dominio è in crisi e si può conquistare lo spazio culturale per affermare qualcosa di nuovo e di migliore di cui le donne sono portatrici sane
Bartolini Tiziana Lunedi, 04/07/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2011
E' stata festa grande. Nelle piazze, ma anche nei cortili, un popolo che si pensava smarrito e rassegnato ha dimostrato soprattutto a se stesso che vale la pena investire energie per darsi un futuro. Prima le elezioni dei due sindaci - Giuliano Pisapia a Milano e Luigi de Magistris a Napoli - sono diventate il simbolo di una riscossa. Poi la scossa dei referendum: il quorum raggiunto (dopo 17 anni di fallimenti) e la vittoria schiacciante dei Sì. Per celebrare questo risultato occorre trovare le rime con le due parole che lo hanno reso possibile: disobbedienza e coraggio. La disobbedienza civile di chi ha sostenuto e votato candidati non ortodossi, la disobbedienza dei candidati stessi alle pressioni della realpolitik. Il coraggio di cittadini che hanno rifiutato con determinazione e lucidità il nucleare e la privatizzazione di un bene comune come l'acqua, che hanno ribadito l'uguaglianza di fronte alla legge. Il coraggio di proporre un'idea di futuro possibile, ma tutto da inventare e mettere a sistema.
Colpisce molto che la maggioranza di italiane/i abbia fatto scelte complesse che, con tutta evidenza, chiamano ciascuna/o ad una assunzione di responsabilità personale negli stili di vita quotidiana.
Inoltre questi risultati hanno definito l'agenda politica e indicato le priorità dei prossimi decenni, hanno detto chiaramente che occorre affermare e rendere vincenti, prima di tutto sul piano culturale, modelli di comportamento improntati all'etica e al rispetto della sfera pubblica. A partire da chi, nelle assemblee elettive, è chiamato a dare conto del suo operato. Sarebbe praticamente una rivoluzione con il compito di sradicare la malapianta dell'individualismo che ha inquinato luoghi, persone e relazioni.
Così come è stato lento lo scivolamento verso modelli che oggi appaiono inadeguati, altrettanto lentamente ne stiamo uscendo, se si considera che oggi raccogliamo il frutto di una tessitura lunga che trova radici nell'indignazione per la violenza subita da pacifici manifestanti nel G8 di Genova di dieci anni fa, nei movimenti del No Dal Molin di Vicenza e No Tav in Val di Susa. Con le donne sempre in prima fila, donne che hanno riempito le 230 piazze del 13 febbraio e che continuano a non ottenere parola pubblica. Il modello maschile di dominio è in crisi e, adesso, si può conquistare lo spazio culturale per affermare qualcosa di nuovo e di migliore di cui le donne sono portatrici sane. Sì, rivoluzione è la parola giusta, ma va ri-declinata e al femminile. Il fatto che ci sia la metà delle donne in alcune delle nuove giunte amministrative può rallegrarci, ma di per sé non avrà valore se queste presenze non riusciranno a cambiare la politica, che deve tornare ad essere luogo di incontro delle idee e non terreno di scontro per affari privati. La rivoluzione al femminile sarà quella che riporterà al centro della politica la passione, senza la quale nessuna utopia di oggi può darsi ali per diventare la realtà di domani.
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