C’era una volta Minerva. Versione etrusca e poi romana della greca Atena, figlia di Giove e di Metide, nel parterre delle divinità femminili si contraddistingueva per essere la dea della guerra e al tempo stesso della scienza, delle arti e delle attività intellettuali. Per settecento anni ha rappresentato egregiamente la prestigiosa Università Sapienza di Roma, fondata nel 1303 da Papa Bonifacio VIII, e di fatto uno dei più antichi atenei al mondo. Nel 2006, si decise di sostituirla con un cherubino, ispirandosi all’opera di Francesco Borromini, presente nella decorazione della cupola della chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza. Ma a dispetto del pensionamento, la statua di Minerva troneggia ancora al centro della fontana su cui si affaccia il Rettorato di piazzale Aldo Moro, imperiosa e influente, perchè “se la guardi negli occhi prima dell’esame, non lo passi”, come sostenevano e forse sostengono ancora gli studenti più superstiziosi. Una donna che non passa inosservata, si direbbe.
In ogni caso, che sia meglio una dea o un cherubino a rappresentare il sapere e nella fattispecie una delle più prestigiose Istituzioni della conoscenza in Italia, non è poi così rilevante. Lo sono invece le elezioni per la carica di Rettore che iniziano oggi. Tramontata l’era Frati, costellata da scandalivari ed eventuali, la corsa è a sei: cinque uomini e una donna, la Professoressa Tiziana Catarci. Quest'ultima fa notizia, non soltanto perché si tratta della prima volta in settecento anni di storia della Sapienza, ma perchè in linea più generale, si tratta di una rarità in questo paese dove le donne Rettore sono 5 su 78. Di fatto tutto l’impianto del sapere è connotato al maschile. Secondo il MIUR, i ricercatori di sesso femminile sono 10.000 su un totale di 24.000, gli associati 5.600 su 16.000, gli ordinari 3.000 su 14.457. Più si sale meno donne ci sono. Un classico esempio di tetto di cristallo, analizzato nel Report sulle donne nell’università italiana di Romana Frattini, ricercatrice di Fisica della materia a Ca’ Foscari, e Paolo Rossi, ordinario di Fisica teorica a Pisa.
Una donna alla guida del più grande ateneo europeo non sarebbe male, e Tiziana Catarci, Ordinaria di Sistemi di elaborazione delle informazioni presso la nuova facoltà di Ingegneria dell'Informazione, nonché già prorettore alle Infrastrutture e Tecnologie, ha deciso di provarci. Se immagina l’elezione, non le dispiace declinare la carica al femminile - “Rettora va benissimo”, dice – e da donna concreta va dritta al sodo. “C’è molto da fare sul fronte della didattica. Dobbiamo avvicinare la formazione al mondo del lavoro e costruire un rapporto proficuo e stretto con le imprese. Credo inoltre sia molto importante potenziare l’attrattività internazionale dell’Ateneo che resta ancora insufficiente.” I dati le danno ragione. Secondo il rapporto dell'European Migration Network Italia negli atenei italiani solo il 3,8% degli studenti è straniero, mentre la media UE è dell'8,6%. E ogni anno cala il numero di nuovi iscritti (secondo il MIUR, trentamila immatricolati in meno in appena un triennio e oltre 78mila in meno in dieci ann), causa la disoccupazione crescente e la sensazione che il titolo non faccia più la differenza nell’accesso ad un mondo del lavoro immobile e impenetrabile.
“Dobbiamo formare figure professionali multidisciplinari, con competenze variegate. Penso a studi umanistici combinati con la tecnologia, o ad architetti che possano progettare nuovi modelli urbani come le smart cities o a professionisti della catena dell’alimentazione che conoscano la chimica, la biologia e la medicina. Non tutti i settori sono in crisi, ma servono sia delle proposte concrete di collaborazione con le imprese e il tessuto produttivo del paese, che una visione di ampio respiro, un forte progetto culturale. Del resto, sono tanti i paesi in Europa, che proprio in momenti di forte crisi economica, investono sull’Università e in generale sulla cultura.”
E per le ragazze, che sono ormai il 58% dei laureati ma che continuano a fare più fatica per trovare lavoro, cosa si può fare? “C’è un problema mondiale ed è legato all’accesso delle donne nelle carriere scientifiche e nel settore della tecnologia. Penso ad esempio all’informatica, dove solo il 10 per cento degli studenti è di sesso femminile, e si tratta di un dato in calo pur trattandosi di un settore dove c'è una grande richiesta di persone da impiegare. Occorre dunque pensare a progetti di orientamento verso questi ambiti già dai primi anni di liceo, o forse anche prima. Sin da piccole, le bambine vengono educate attorno ad un modello di riferimento che non comprende la tecnologia e questo le condiziona nella vita adulta. C’è un grosso problema culturale in questo senso, ancora tanti stereotipi da demolire.”
Più donne nella scienza di certo, ma forse occorre puntare anche sugli studi di genere, che rappresentano ancora soltanto lo 0,001% dell'offerta formativa a livello nazionale. “Credo sia importante mettere insieme in un unico centro di competenza interdisciplinare il lavoro di ricercatrici e ricercatori che si occupano di questi temi da varie angolazioni. Noto un crescente interesse delle istituzioni locali per questi argomenti, e potrebbero essere avviate tante attività aperte ai territori, attraendo fondi di finanziamento europei e nazionali, pubblici e privati.” In altre parti di Italia come Torino o Lecce, solo per fare due esempi, questi centri esistono già da tempo, per non parlare degli altri paesi UE dove un dipartimento di “gender studies” all'interno degli atenei è praticamente la norma.
In fondo, che sia cherubino o minerva interessa poco. Quello che preme è che le donne e recuperino centralità nel tempio del sapere, come lavoratrici e studiose, e che le relazioni di potere tra i sessi siano sempre di più "materia di studio". Due aspetti strettamente interconnessi, molto più di quanto si pensi.
Lascia un Commento