Viaggi svelati - Da cinque anni vive negli Emirati Arabi, paese che ci racconterà con una 'cartolina' ogni mese
Marzia Beltrami Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2006
“Professore, sono in partenza per Dubai, vado a trovare il mio ragazzo. La prego, mi faccia superare l’esame”. Era stata la mia pietosa, ruffiana richiesta al professore di sociologia che si interrogava perplesso sul voto da darmi all’esame. “Signorina, l’esame non è andato molto bene, ma le dò comunque un 24 come gesto di incoraggiamento. Lei non sa che cosa l’aspetta”, mi dice lui gravemente. Anche peggio l’hostess che mi fa il check in all’aeroporto. “Mah…posso chiederle, che ci vai a fare a Dubai?”, mi mormora, prima di imbarcarmi su un aereo enorme e enormemente vuoto in direzione Emirati Arabi Uniti.
Per fortuna che ai commenti non faccio più una piega. Ormai ne ho sentite di tutti i colori dentro e fuori casa. "Ma ce l’hanno la TV? e le medicine?! ma ti devi mettere il velo? io in mezzo a quegli arabi lì non ci andrei mai e poi mai! " dice mia madre, con quel sano pragmatismo che caratterizza noi emiliani.
E più venivo stuzzicata, più mi intestardivo. Sarei andata a vedere con i miei occhi, curiosa di vedere ‘gli arabi’, curiosa di parlare alle donne, di vedere come vivono, di sperimentare di persona la strepitosa ospitalità araba. Partivo con in tasca una bella lista mentale di intenzioni e desideri. Chissà se ce l’avrei fatta a realizzarli.
Certo, la provinciale 25enne studentessa universitaria arrivata all’aeroporto di Dubai una calda mattina del marzo 2001 s'è beccata una bella serie di shock. Tanto per cominciare, il lusso. A questo proprio non ero abituata: le cene di lusso per me erano le grigliate al Falò della Festa dell’Unità. E qui, invece, mi guardo intorno e vedo alberghi a 7 stelle (classificazione che, rimanga tra noi, ufficialmente non esiste), più Limousine che Punto in Italia, le boutique più esclusive, i gioielli più preziosi. Tutto sfrenatamente e spudoradamente lussuosissimo.
Due. Le donne con la maschera e gli uomini con la tunica, i ‘sutanaun’, come li chiamano a casa mia a Modena. Ma davvero le donne vanno in giro conciate così, con una maschera che sembra di metallo e il corpo avvolto in un sacco? e perchè mai, santo cielo? ma patiranno un caldo insopportabile con quei 3 strati di vestiti addosso e 45 gradi all’ombra! e gli uomini, che cosa si mettono sotto la dishdasha, la tunica bianca e sempre miracolosamente immacolata che indossano come abito formale? e quella tovaglia che si mettono intesta??
Tre. Questo paese è abitato da uno sconcertante numero di immigrati e lavoratori asiatici: Filippine, India, Pakistan, Sri Lanka, Bangladesh, Indonesia, Afghanistan, Sudan… e poi Europa, Stati Uniti, CSI, Australia, Sud Africa, etc, per un totale di 185 nazionalità diverse. Scopro che circa l’80% della popolazione è di passaggio, temporaneamente residente. Vengono qui per un periodo di tempo più o meno lungo, la maggior parte a fare i lavoracci che la popolazione locale si rifiuta di fare: servire, pulire, costruire case.
Dai paesi del terzo mondo le donne vengono a lavorare come personale di servizio o nei negozi, gli uomini invece fanno lavori di fatica. Sono muratori oppure, quando va bene, guardiani. Guadagnano una miseria e vivono ai limiti dell’indigenza, pur di mandare a casa quei pochi dollari che risparmiano al mese.
Molti degli occidentali (ma non tutti), invece, vengono a fare gli immigrati di lusso: carriera folgorante, villa al mare o attico, SUV e Porsche, moglie strepitosamente in forma ed abbronzata che fa il caffé con le altre signore la mattina sulla spiaggia e spende uno stipendio intero (del marito) tra Botox e borse di Chanel. Questi tre mondi – gli Emarati, gli occidentali, i lavoratori a basso reddito - si sfiorano quotidianamente nei negozi, nelle transazioni di servizio, ma molto raramente si incontrano e si parlano. Quasi mai si fondono. Si osservano, desiderosi di mantenere una reciproca distanza, rispettosi ma lontani. In tutto questo, mi chiesi, che c’entro io? Sono passati cinque anni dal mio primo viaggio, cinque anni passati più negli Emirati che in Italia.
Dubai, dove lavoro, e Al Ain, dove risiede mio marito, sono ora casa mia. Qui mi sono sposata. Qui ho preso in affitto per la prima volta un appartamento a mio nome. Ho comprato la prima macchina. Ho trovato il primo vero lavoro dopo l’Università, atti burocratici che hanno assunto il valore di veri e propri riti di passaggio da una tipica prolungata adolescenza italiana alla maturità. La mia vita da adulta è di fatto iniziata negli Emirati Arabi Uniti. Eppure quando mi viene chiesto 'come sono gli Emirati Arabi?' proprio non riesco a riassumere in modo conciso. Non mi resta che provare a raccontare su 'noidonne' questa straordinaria esperienza.
(9 giugno 2006)
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