Il Report di Gender Five Plus sottolinea che nel futuro Parlamento sarà in gioco la possibilità di attuare riforme in grado di migliorare il funzionamento democratico dell’UE
Il Report, mentre sottolinea il ruolo pionieristico svolto nel corso del tempo dal PE nella promozione dell’uguaglianza di genere e del gender mainstreaming, riconosce i limiti che hanno caratterizzato quest’ultima legislatura alle cui pressioni va però comunque riconosciuto il merito dell’approvazione della direttiva sulla trasparenza retributiva tra uomini e donne, della ratifica della Convenzione di Istanbul, e dell’approvazione della direttiva sulla violenza di genere contro le donne, benché con un compromesso al ribasso nella definizione del reato di stupro.
Benché la percentuale di donne nel PE sia del 39,1% le posizioni guida nel decision-making non riflettono questa presenza numerica, soprattutto in quanto continuano ad esistere forme di segregazione di genere nelle commissioni. Infatti mentre nella commissione sui diritti delle donne e l’uguaglianza di genere (FEMM) gli uomini sono solo 8,6% nella commissione sugli affari costituzionali sono l’85,7% e, in generale, le donne sono poco rappresentate all’interno delle commissioni parlamentari con più importante impatto legislativo.
In pratica le questioni relative al genere sono di responsabilità delle parlamentari donne e in particolare di FEMM che ha tuttora grandi sfide da compiere in termini di influenza e impatto soprattutto per quanto riguarda l’implementazione del gender mainstreaming.
Rispetto alla presenza delle donne nel PE esistono grandi differenze tra un gruppo politico e l’altro dove il gruppo Greens / European Free Alliance vede una presenza di donne quasi paritaria (49%) e, all’estremo opposto, il gruppo di European Conservatives and Reformists di cui è leader Meloni ha la percentuale di donne più esigua (30%). Quest’ultimo gruppo, inoltre, insieme con quello di Identity and Democracy di cui fa parte la Lega, rigetta completamente l’approccio di gender mainstreaming. La crescita nelle elezioni del 2019 dell’estrema destra e del numero di parlamentari direttamente e indirettamente contrari all’uguaglianza di genere e ai diritti delle donne, fino a rappresentare circa il 30% dell’intero PE e quasi il doppio che nella precedente legislatura, ha creato un’atmosfera favorevole ad un’agenda anti-gender.
La resistenza all’implementazione del gender mainstreaming però è non solo in questi gruppi ma anche più generale.
Nonostante i partiti politici abbiano differenti posizioni rispetto all’uguaglianza di genere, la cultura prevalente è ancora patriarcale, intrisa di stereotipi e, in alcuni casi, associata a valori misogini. Rappresenta quindi un ostacolo per l’implementazione del gender mainstraming e di fatto contribuisce anche a promuovere comportamenti e pratiche opposte all’uguaglianza di genere.
L’aspetto centrale rimane tuttora l’attaccamento degli uomini alle posizioni di potere rispetto a cui un approccio solo quantitativo riferito solo al numero di candidate ed elette rimane insufficiente in quanto non cambia i rapporti di potere tra i generi. La persistenza nel PE di un approccio puramente quantitativo e la riluttanza a superare cultura patriarcale e rapporti di potere alimenta anche indirettamente un terreno fertile per le politiche antifemministe.
La possibilità che dalle prossime elezioni emerga una maggiore presenza dei partiti conservatori di destra e un maggior numero di europarlamentari che sostengono idee maschiliste e antifemministe rappresenta una seria minaccia alle conquiste degli ultimi decenni. E’ dunque imperativo ed urgente sfidare questo backlash di cui già abbiamo avuto ampie prove nella crescita di movimenti antifemministi anti-gender e nel loro legame con gruppi politici di estrema destra uniti nel riferimento alla pericolosità della “gender ideology”.
Poiché la vaga e generica nozione di “gender ideology” con cui si intende un ipotetico minaccioso riferimento a valori “contro-natura” rispetto ai ruoli di genere, alla sessualità, alla famiglia, sembra in grado di cementare le paure di attori politici differenti, appare alto il rischio che dalle prossime elezioni emerga un blocco più forte di opposizione all’uguaglianza di genere e un PE con una maggiore presenza di forze politiche sessiste ostili a diritti delle donne come ai diritti delle persone LGBTQ+.
Il cuore del Report è nell’appello a scongiurare questo rischio, oltre che volto a migliorare l’intero processo di decision-making rendendolo più egualitario e democratico.
Il Report prevede anche raccomandazioni per i futuri europarlamentari e leader dei partiti: quote di presenza delle donne in tutte le istituzioni dell’UE e nelle commissioni del PE, equilibrio di genere nella nomina di coordinatori, miglior coordinamento dei soggetti responsabili di attuare il gender mainstreaming, promozione di informazione non stereotipata nei media, promozione di congedi parentali più lunghi con benefits adeguati ad una effettiva condivisione delle responsabilità, maggior sostegno alla vittime di violenza di genere.
Il Report conclude sottolineando che nel futuro parlamento sarà in gioco la possibilità di attuare riforme in grado di migliorare il funzionamento democratico dell’UE e rafforzare il ruolo del PE anche in una prospettiva femminista. Nella bozza di proposte di modifica dei Trattati, che è seguita alla risoluzione del PE del Giugno 2022, si raccomandava, infatti, la convocazione di una Convenzione Europea ad hoc e una serie di riforme. Tra le più importanti il Report di Gender Five Plus ricorda: l’espressione “uguaglianza di genere” dovrebbe sostituire nei Trattati l’attuale “uguaglianza tra uomini e donne”; al PE verrebbe finalmente garantito il diritto di iniziativa legislativa che oggi è prerogativa della Commissione; si passerebbe dal voto all’unanimità a quello a maggioranza qualificata e alla procedura legislativa ordinaria in varie aree politiche inclusa l’adozione della legislazione antidiscriminatoria, che verrebbe ad essere estesa, in armonia con quanto previsto nell’art 21 della Carta dei diritti fondamentali, oltre il genere, l’origine razziale o etnica, la religione, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, anche all’origine sociale, alla lingua, alle opinioni politiche e all’appartenenza a una minoranza nazionale.
Grande sarebbe il potenziale positivo per una prospettiva femminista di uguaglianza e democrazia se queste riforme vedessero effettivamente la luce. Tuttavia indispensabile e prioritaria oggi sarebbe la visione di una prospettiva politica strategica contro la guerra, per un’Europa di pace quale era nell’ideale degli uomini e delle donne che ne hanno gettato le fondamenta. Questa visione strategica però è oggi assente in tutte le principali forze politiche. Ed è purtroppo pericolosamente assente anche nel Report di Gender Five Plus che in questo modo dimentica (cancella?) uno dei principali cardini delle politiche e della prospettiva femminista.
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