Login Registrati
Una parola misteriosa. Ma non troppo

Una parola misteriosa. Ma non troppo

Parliamo di bioetica - Uno spazio fisso, un filo continuo con l’Istituto Italiano di Bioetica per conoscere e approfondire i temi della bioetica. Che non sono - e non devono essere - appannaggio esclusivo di intellettuali, scienziati e tecnici. Lo intro

Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2009

Luisella Battaglia, professore ordinario di Filosofia morale e Bioetica alle Università di Genova e di Napoli (Suor Orsola Benincasa), è una delle poche donne che fa parte, dal 1999, del Comitato Nazionale per la Bioetica. Ha fondato l’Istituto Italiano di Bioetica, di cui è Direttore scientifico. Si tratta di una libera associazione costituita nel 1993 che, in modo apolitico ma tenendo ben fermo un approccio laico, promuove la riflessione e il dibattito intorno ai delicati temi della bioetica organizzando incontri e seminari a livello locale e nazionale, promuovendo dibattiti nelle scuole e in collaborazione con associazioni che si attivano per la tutela dei diritti, specie dei soggetti deboli.

Prof.ssa Battaglia, con quale spirito nasce l'Istituto Italiano di Bioetica e che scopi si prefigge ?
L’Istituto - che ha sedi in Liguria, Campania, Emilia Romagna, Sicilia, Puglie, Veneto e Trentino-Alto Adige - si basa su un’idea ‘globale’ della bioetica come ‘etica del mondo vivente’ e quindi attenta ai destini non solo dell’uomo ma anche della natura e delle altre specie. Accanto alla bioetica medica, che riguarda le cosiddette questioni di ‘entrata e uscita’ dalla vita (la nascita, la salute e la morte dell’uomo), esistono una bioetica animale, che si occupa dei diritti dei non umani, dei problemi etici connessi alla sperimentazione medica e alla ricerca scientifica etc e una bioetica ambientale che s’interessa delle questioni di valore legate al rapporto dell’uomo con la natura. Si tratta, come si vede, di questioni assai complesse che, oltreché a interpellare la nostra coscienza entrano sempre di più nel dibattito culturale e politico. Poiché in questo settore delicatissimo è in gioco la democrazia, non possiamo delegare le nostre decisioni a super-esperti, né limitarci alla difesa passiva nei confronti delle biotecnologie. Da qui l’impegno dell’Istituto a far sì che ogni cittadino diventi parte attiva nel controllo del suo destino, nella grande partita per i diritti individuali e collettivi.


Perché c'è un così forte ritardo nell'attenzione pubblica su questi temi? Analogo ritardo si registra anche in altri Paesi occidentali?
L’impressione - diffusa e sbagliata - è che si tratti di temi difficili e riservati a un ristretto numero di specialisti. Lo sforzo di superare il divario tra ‘coloro che sanno’ - i tecnocrati e i depositari di conoscenze specialistiche - e ‘coloro che non sanno’ - l’insieme dei cittadini - è una delle grandi scommesse per il futuro. Se non vogliamo vivere in una società duale in cui le decisioni più importanti per noi - quelle relative al nostro destino, al nostro vivere, nascere e morire - siano assunte da altri sopra le nostre teste, occorre un impegno collettivo volto a favorire la diffusione del sapere oltre l’età scolare. In Francia, ad esempio, sono stati creati degli organismi (Science et citoyens) al fine di promuovere una discussione pubblica aperta e informata. E in Italia? Siamo molto indietro dal momento che la nostra scuola non si è fatta finora carico di questa responsabilità e continua, nella sostanza, ad ignorare la rilevanza di questi problemi.

A suo parere le riflessioni dei movimenti femminili hanno riservato sufficiente attenzione ai temi della bioetica?
La domanda meriterebbe una risposta molto più approfondita e riferita a diversi momenti storici e a differenti contesti culturali. Occorrerebbe innanzitutto distinguere tra una bioetica al femminile - intesa a valorizzare talenti, competenze e attitudini proprie delle donne, con particolare riferimento al tema della cura - e una bioetica femminista - dichiaratamente ispirata a un obiettivo politico primario: la liberazione delle donne dall’oppressione maschile o, in positivo, l’acquisizione del potere da parte femminile. Per quanto riguarda la cultura italiana, si è passati da un’iniziale indifferenza/diffidenza, nei tardi anni settanta, a una crescente attenzione nei confronti della bioetica - specie sui temi legati al corpo delle donne, alla maternità, alle nuove tecnologie riproduttive, al rapporto medico/paziente -, con risultati assai significativi sul piano di quella che ormai si è soliti designare una ‘bioetica di genere’. Al suo centro sono la specificità dei bisogni delle donne, la cultura del limite, l’importanza della dimensione simbolica: aspetti spesso trascurati nelle analisi bioetiche tradizionali.

L'influenza della Chiesa nel frenare il dibattito è davvero così determinante oppure c'è una inerzia tutta italiana?
Le questioni cruciali della bioetica sono state per secoli l’oggetto proprio della teologia morale, una disciplina che se n’è riservata una sorta di monopolio, approntando risposte, argomenti e un uso sapiente della casuistica. A fronte di questa massiccia presenza, occorre, purtroppo, registrare un ritardo, ancora non del tutto colmato, da parte della cultura del nostro paese nella definizione di un’etica laica - un’etica, intendo, che rifiuta di appoggiarsi a una verità rivelata ma si affida alla ragione e in questa riconosce la sua guida. Essa può prospettare agli individui le vie del loro comportamento, illustrandone motivazioni profonde e valori di riferimento ma non può compiere la scelta decisiva che resta assolutamente personale. La laicità, di cui siamo ancora in cerca, dovrebbe consistere proprio nel rifiuto delle risposte dogmatiche e degli interdetti fondamentalisti - tanto religiosi che scientisti - nella difesa di una tradizione liberale, rispettosa della distinzione tra morale e politica e nella rivendicazione di una privacy mai dimentica del sociale.

Oggi la questione del testamento etico in Parlamento è bloccata sul principio dell'autodeterminazione della persona nell'accettare le cure mediche, chiaramente previsto nella Costituzione. Ritiene che le interpretazioni integraliste del cattolicesimo riusciranno ad imporre la loro visione?
Mi auguro che la questione del testamento etico - trasformata sempre più in occasione di scontro ideologico tra sostenitori di opposte visioni - divenga oggetto di una discussione parlamentare serena, basata sull’assunzione di alcuni dati di fatto relativi alle decisioni di fine vita, a partire dall’art. 32 della Costituzione che sancisce il diritto alle cure ma anche al rifiuto delle cure, per arrivare alla Convenzione di Oviedo (1997) e al Codice di deontologia medica, in cui si ribadisce che “il medico non può non tener conto delle eventuali dichiarazioni di volontà precedentemente espresse”. Vorrei aggiungere che il testamento etico non è in contrasto col principio della sacralità della vita, più volte invocato. Ciascuno è responsabile della propria vita e della propria morte: sia che consideri la vita come un dono divino, sia che la veda come un personale possesso. Perché mai un credente non dovrebbe preoccuparsi delle modalità della sua morte, dal momento che a buon diritto si occupa della sua salute nel corso della vita? La fede nella provvidenza divina non esclude in alcun modo la lungimiranza umana: probabilmente la presuppone.

La Parola 'bioetica' incute timore, evoca argomenti destinati a pochi 'sapienti'. Invece con la rubrica che da aprile firmeranno vari esperti, quali obiettivi si pone l'Istituto Italiano di Bioetica ?
Bioetica è ancora per molti una parola misteriosa, un neologismo oscuro che sembra alludere a un ibrido tra la vita (bios) e l’etica. In realtà, si tratta di una disciplina nuova, sorta nel mondo anglosassone agli inizi degli anni settanta, per studiare i complessi problemi morali, sociali, giuridici indotti dallo straordinario sviluppo della biologia, della medicina e, in genere, delle scienze della vita. Negli ultimi decenni queste scienze hanno compiuto progressi grandiosi e le possibilità da esse aperte hanno posto quesiti senza precedenti (basi pensare all’ingegneria genetica, alla fecondazione in vitro e ai trapianti d’organo). Non si tratta, occorre ribadire ancora una volta, di argomenti destinati solo agli esperti: questo nuovo campo d’indagine non deve diventare un luogo per ‘addetti ai lavori’ ma dev’essere reso comprensibile e accessibile a tutti, giacché tutti siamo chiamati a decidere e a prendere posizione. E’ questo, appunto, l’obiettivo che l’Istituto Italiano di Bioetica si propone.

(10 marzo 2009)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®