“Che cosa resta di un uomo dopo che è stato spogliato di tutto? ...
qualcosa è radicato dentro di lui, qualcosa che nessuno può portargli via: la sua immaginazione”. A’lvaro Breschner
Martedi, 15/01/2019 - Una notte di 12 anni
di Adriana Moltedo esperta di Comunicazione e Media
Una notte di 12 anni diretto da Álvaro Brechner, film ambientato all’indomani di un colpo di stato, in cui l’estrema destra conquista il potere e cattura nove dei guerriglieri Tupamaros.
Tra loro c’è anche Pepe Mujica, che diventerà presidente trenta anni dopo, Mauricio Rosencof (Chino Darín), scrittore, drammaturgo, poeta e tra i più alti rappresentanti della cultura uruguayana, ed Eleuterio Fernàndez Huidobro, (Alfonso Tort) politico, giornalista ed ex Ministro della Difesa.
Seguiamo tre dei nove guerriglieri catturati ed assistiamo a una scientifica quanto abietta strategia finalizzata a devastarne la psiche, uccidendoli di fatto pur mantenendoli in vita.
Ma i prigionieri, pure riescono a trovare una maniera di comprendersi battendo pugni sui muri, fedeli a un codice tutto loro. Dei giovani colpisce la pazienza, la forza e l’intelligenza nell’affrontare tutto questo tempo. Come se la loro cultura e levatura morale fosse straordinariamente superiore a tutti i traumi fisici e psicologici subìti.
12 anni, un periodo lunghissimo e indefinito per i tre giovanissimi prigionieri, imprigionati nel 1973 liberati solo nel 1985, mantenuti in condizioni disumane e lontane dal più elementare concetto di dignità.
L’obiettivo dei carcerieri, e del governo dal quale prendono ordini, non è quello di fare del male fisico ma è quello di condurli lentamente alla follia.
I carcerieri vogliono che perdano lucidità, interesse per la vita. Cambiando continuamente località, i prigionieri vengono tenuti per più di un anno nel buio e saranno sempre separati, impossibilitati a parlare tra di loro e a comunicare con chiunque venga in contatto con loro.
Di carcere in carcere siamo testimoni delle privazioni e umiliazioni a cui vengono sottoposti nonché alla falsa assistenza esibita nel momento in cui la Croce Rossa chiede di conoscerne le condizioni di detenzione. In questo inferno costituito da celle fatiscenti possono però essere dettate lettere d'amore per procura o si può arrivare al ridicolo di una defecazione difficile da realizzare per mancanza di un'autorizzazione superiore. Ciò che prevale però è la denuncia di un sistema di oppressione che ha cinematograficamente i tempi e i ritmi dei film che negli anni '70 avevano il coraggio di raccontare quanto accadeva.
Questo è un viaggio attraverso la follia e una lotta con la realtà che oltrepassa tutti i limiti immaginabili.
I tre vengono continuamente vessati e denigrati, umiliati, malmenati e offesi ma per ogni insulto ricevuto e pugno o schiaffo incassato, donano poesia, umanità e bellezza.
Il regista inventa delle strategie di sopravivenza, e trasforma tutto a forme di resistenza ed evasioni mentali, di questi tre uomini che faranno la storia dell’Uruguay.
Fondamentali tre donne che in un incontro fugace danno forza a questi uomini con energia, in poche parole.
La madre di uno di loro che riporta alla ragione il figlio in procinto di impazzire.
La moglie di uno di loro che riempie i sogni in maniera positiva.
Una dottoressa che sprona uno di loro raccontando, a partire da sè, come lei era uscita dal suo incubo.
I tre sapranno così superare tutto con il coraggio e la forza dei veri vincitori. Fino al nuovo avvento della democrazia.
Un film girato bene e ottima fotografia.
“Che cosa resta di un uomo dopo che è stato spogliato di tutto? Isolato, fuori dal tempo, privato di qualsiasi stimolo, senza punti di riferimento a cui potersi aggrappare, i suoi stessi sensi incominciano a tradirlo. Ma qualcosa è radicato dentro di lui, qualcosa che nessuno può portargli via: la sua immaginazione”. – A’lvaro Breschner -
Lascia un Commento