Login Registrati
Una lezione di ecofemminismo

Una lezione di ecofemminismo

Secondo Tibet - Il Ladakh, un luogo dove uomini e donne collaborano in equilibrio riconoscendo e integrando le loro qualità

Di Pietro Maria Elisa Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2006

Il Ladakh si trova nell’Himalaya occidentale, a Nord dell’India, al crocevia di catene montuose di straordinaria altitudine (da 2.700 a 6000 metri e oltre). E' una regione poco conosciuta, aperta al turismo estero dal 1974, ma apprezzata per l’affinità col Tibet, perciò detta “Secondo Tibet”. L’area è tibetana, dal punto di vista geografico e culturale. Dopo l’invasione cinese degli anni ‘50, migliaia di tibetani vi si rifugiarono per ricreare l’ambiente d’origine e ravvivare le tradizioni.
Un insegnamento buddista recita: “Come le due ali di un uccello devono essere in equilibrio perché possa volare, così nessuno può raggiungere l’illuminazione, se la saggezza non è accompagnata dalla compassione”. Il femminile è simbolo di saggezza e il maschile di compassione, perciò la frase esprime l’essenza del femminismo locale: uomini e donne devono collaborare in equilibrio, riconoscendo e integrando le loro qualità.
La posizione di forza e prestigio che le donne rivestono nella società ladaka suscita interesse: in nessun altra cultura le donne hanno un ruolo così incisivo e paritario. Il tradizionale copricapo (perak) incastonato di turchesi e coralli, aggiunti di anno in anno, è trasmesso dalla madre alla figlia maggiore quando si sposa, non tanto a testimoniare la ricchezza familiare, ma piuttosto l’importante ruolo sociale. Una prova è la Regina, succeduta nel 1974 al marito deceduto e considerata ancora oggi una delle voci più influenti del paese, per essere stata attiva rappresentante del parlamento indiano fino alla recente successione del figlio maggiore.
Le ladake sono piccole e belle: sguardo che cattura e sorriso che fissa l’attenzione, aperto, inaspettato, che rivela sicurezza. Le giovani accennano timidi saluti, le adulte sono disinvolte e mostrano senza esitazione elevata dignità nei rapporti sociali: per strada conversano e scherzano animatamente coi maschi, si siedono accanto a loro nelle manifestazioni pubbliche.
Le differenze di genere sono poco marcate: si usano nomi propri identici per maschi e femmine; un unico pronome indica sia“lui” che “lei”; i cognomi non seguono la filologia maschile; i riferimenti familiari sono casa e fondo agricolo, per marcare il legame con la terra.
Le donne lavorano più degli uomini, ma il loro contributo è riconosciuto, senza rigide e stereotipate ripartizione di ruoli, ad eccezione di pochi compiti. Le attività femminili (tessere, cucire, cucinare, lavorare a maglia) sono condivise coi maschi, abituati nell’infanzia ai lavori domestici, senza temere minacce alla mascolinità. Arare resta un compito maschile, ma le giovani sanno irrigare, aprire canali e riparare frane. Coltivano e lavorano nei campi, dove il terreno è duro e sassoso,. Dopo il raccolto scendono in città a improvvisare mercati dove c’è maggior afflusso di gente. Dispongono frutta e verdura ordinatamente impilata su coperte di lana distese a terra, circondate da sacchetti di cereali, formaggio e frutta secca. Quindi si accovacciano sul marciapiede, in attesa degli avventori. Molte sono dedite all’allevamento e, alla pastorizia. Le nomadi vivono in tenda durante il rigidissimo inverno, pascolando yakh, muli e capre hymalaiane, da cui ricavano la lana per confezionare preziose pashmine e tramandare l’arte della tessitura.
Nei giorni festivi le pellegrine indossano cappelli colorati con le bande all’insù e il tradizionale grembiale tibetano, decorato a righe orizzontali variopinte. Con la mano sinistra recitano il rosario tibetano o ruotano un piccolo mulino di preghiera contenente mantra trascritti su pergamena.
Poligamia e poliandria, vietate da oltre cinquant’anni, sopravvivono nelle zone rurali insieme ai matrimoni combinati, come sistemi per controllare le nascite e conservare l’unità del patrimonio familiare. Le coppie monogamiche aumentano poiché si diffonde il matrimonio d’amore, per libera scelta. Le spose non sono scelte per bellezza o ricchezza, ma per la capacità di stringere e mantenere rapporti sociali. Il detto “Dobbiamo vivere insieme”, riportato nelle iscrizioni delle abitazioni, è un imperativo a tenere rapporti amichevoli e solidali con la comunità. Le donne tengono bambini e anziani in contatto, offrendo reciproca attenzione, assistenza e sicurezza. Le madri portano i piccoli in un fagottino legato sulla schiena, lasciando uscire fuori solo testa e piedi, ben coperti da berretti e calzettoni di lana colorata. I bambini contano sulle cure e l’affetto senza limiti dei familiari e della comunità, tanto che i nati da matrimoni poligamici e poliandrici sono equiparati. Le madri li educano con una “severità ragionata”. incoraggiandoli ad assumere responsabilità e accudire i più piccoli.
La scelta della monaca buddista, come il monaco, è reversibile: può decidere di farsi monaca, poi di sposarsi e avere figli o viceversa. Nei rari conventi femminili, più modesti e disagiati delle strutture maschili, le giovani seguono studi confessionali sotto la guida di monache autodidatte. Le religiose mantengono rapporti con famiglie e comunità. Di norma abitano in case familiari, dove collaborano alle attività domestiche e di cura e si distinguono dalle laiche solo per abito, taglio di capelli e dedizione alla preghiera. Non raggiungo alti gradi nella gerarchia ecclesiastica, ma sono stimate grazie alla fiducia buddista nell’equilibrio dei valori e alla dottrina della reincarnazione, per la quale un lama può reincarnarsi in un corpo femminile.
L’economia, come l’organizzazione sociale e familiare, è ecologica e solidale e contro ogni spreco: in Ladakh si ricicla tutto, tuttavia il falso mito del sistema economico occidentale minaccia la regione. La pressione economica discrimina le donne, ne indebolisce il potere decisionale e aumenta gli oneri, perciò entrano in fabbrica come gli uomini, mentre le giovani cercano lavoro e istruzione in città. La scolarizzazione femminile è bassa, come in tutta l’Asia rurale: le scuole statali contano solo 2000 ragazze su 12.000 studenti, seguono modelli occidentali e insegnano inglese, ma manca materiale didattico. I villaggi per profughi e orfani ospitano ragazze che, terminati gli studi secondari, si avviano all’artigianato (soprattutto sartoria), mancando scelte professionali alternative.
L’emergenza è conservare il patrimonio culturale locale, che rappresenta una via per lo sviluppo sostenibile, per i valori umani e l’organizzazione sociale di cui è portatore. Di qui l’importanza di sostenere la popolazione per impedire che sia sconfitta dalle leggi occidentali di mercato, consumo e tecnologia. Intraprendenza e vivacità ladake si manifestano nell’associazionismo internazionale. Nel 1983 è fondata l’Associazione per lo sviluppo ecologico del Ladakh, promotrice dello sviluppo in armonia con la tradizione, l’educazione ambientale, la salute e il potenziamento dei sistemi agricoli locali. Presso la sede del Centro di Leh, un gruppo di donne gestisce una biblioteca dedicata a temi locali ed ecologici ed un negozio di prodotti artigianali e gastronomici da coltura biologica. Nel 1994 nasce “L’alleanza delle donne del Ladakh”, una rete di solidarietà che preserva l’ambiente tramandando tecniche agricole e usi locali, sostenendo più di 6000 donne nelle zone disagiate.
(31 ottobre 2006)

Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®