Lunedi, 26/02/2018 - Ci sarà pure una ragione per la quale una donna, precedentemente rappresentante istituzionale, si dedichi a divulgare la storia delle più rilevanti tappe delle progressi normativi in tema di parità dei diritti tra uomini e donne in Italia. Per Livia Turco, già deputata e senatrice nonchè ministra per la Solidarietà sociale e della Salute, questo motivo potrebbe ritrovarsi nella volontà di ingenerare nella nuove generazioni passione per la politica “perché partecipata con la gente e soprattutto con le donne”. Con tale stato d’animo è intervenuta ad un seminario, svoltosi a Teggiano (Sa) presso l’IIS Pomponio Leto, nell’ambito della Settimana della filosofia. L’argomento del confronto pubblico con l’assise studentesca verteva sulla violenza contro le donne, definito dalla sen. Turco un tema duro “perché tocca il caposaldo della dignità personale in quanto è in gioco la differenza sessuale e di genere”. Una differenza sessuale costruita dal genere maschile nella storia per affermare e consolidare una concezione proprietaria della donna. Con la conseguenza che la dimensione privata del ruolo femminile si contrapponeva a quella pubblica, come confermato dal Codice civile del 1942, peraltro innovativo rispetto all’istituto dell’autorizzazione maritale del 1919, in base alla quale la donna era sottomessa alle scelte del coniuge.
Il superamento di tale concezione padronale lo si deve imputare senza ombra di dubbio alla Costituzione repubblicana ed al nuovo diritto di famiglia del 1975. La nostra Carta fondamentale, come ha ben sottolineato l’ex parlamentare, non ha solo di padri costituenti, visto che il ruolo delle elette facenti parte della correlata Assemblea fu determinante per imprimere alla Costituzione la forza delle donne, ben consapevoli di quali fossero i loro problemi. Le ventuno parlamentari designate per la prima volta nel 1946 dall’intero corpo elettorale, in considerazione del primo esercizio del voto politico delle donne italiane, erano consce di dovere lavorare perché al genere femminile fosse riconosciuta la propria dignità. Intanto riuscirono ad essere legittimate in questo oneroso impegno in quanto il ruolo delle partigiane fu determinante nella Resistenza, al punto che il loro contributo nella lotta di liberazione dal dominio nazifascista costituì il giusto viatico al riconoscimento del diritto delle donne italiane all’elettorato attivo e passivo.
“Il primo voto politico femminile avvenuto il 2 giugno 1946, fu un giorno di festa per loro, perché per la prima volta sentivano che il rapporto con gli uomini era diverso, perché sapevano che dovevano esigere rispetto”. Le parlamentari votate si determinarono a fare approvare articoli importanti della Costituzione per affermare il principio d’eguaglianza tra i generi: gli artt. 3, 29, 30, 37, 51. Su quest’ultimo, ossia sulla possibilità per le donne di accedere ai pubblici uffici, in particolare alla funzione di magistrata, il confronto politico fu aspro, perché alcuni parlamentari sostenevano che le caratteristiche femminili, quali ad esempio il ciclo mestruale, non consentissero alle donne di pervenire a decisioni giudiziarie caratterizzate dalla “rarefazione del tecnicismo processuale”, come sostenne Giovanni Leone.
Arduo, ma tenace nel tempo, è stato l’impegno delle rappresentanti istituzionali perché si abrogassero norme fortemente lesive della dignità delle donne. Il cosiddetto omicidio d’onore, ossia l'uccisione della coniuge adultera sanzionato con pene più lievi per il marito, fu abrogato nel 1981; la punizione con la reclusione dell’adulterio femminile – e non anche di quello maschile- fu giudicato costituzionalmente illegittimo solo nel 1968; il matrimonio riparatore, per mezzo del quale lo Stato legittimava la violenza sessuale sulla donna, consentendo allo stupratore di estinguere il reato sposando la vittima, fu invalidato nel 1981. Si dovette attendere il 1996 per definire il reato di violenza sessuale un crimine contro la persona e non contro la morale.
Alle suindicate normative si pervenne anche grazie al contributo fondamentale delle femministe italiane, che con responsabilità e determinazione si batterono in nome dei valori dell’emancipazione femminile, dell’autodecisione delle donne, della libertà del proprio corpo, dell’autodeterminazione nello stabilire quando avere un figlio. «E’ stato molto faticoso potere dire “la mia libertà”, perché su noi donne pesavano gli stereotipi entro cui eravamo cresciute. Quando si parla di questo genere di libertà si parla di qualcosa di difficile da conquistare, non solo sul piano normativo, ma anche dal punto di vista personale, perché dovevamo decostruirci, emanciparsi dai modelli e dalle consuetudini che pure ci affliggevano Il confronto tra donne ha consentito il liberarsi da questa subalternità, per costruire una nuova idea di sé».
Purtroppo il periodo storico successivo ha messo fortemente in discussione la stagione delle conquiste per le donne frutto di questa nuova consapevolezza. Gli anni ‘80 e ’90 si sono caratterizzati per “una preoccupante banalizzazione della libertà sessuale, come se il problema fosse la libertà dei rapporti sessuali, la libertà di essere più bella. Quello che avevamo vissuto come responsabilità di essere libere è stato debellato dalle nuove illusioni, che hanno instaurato il rapporto sesso-potere-denaro. Per una che ha vissuto la battaglia per conquistare la libertà femminile questo periodo è stato duro da vivere”.
L’excursus storico tracciato dalla sen. Turco ha costituito la premessa ideale a che si affrontasse il tema oggetto del confronto con l’assise studentesca, ossia la violenza contro le donne. Difatti l’emancipazione delle donne, avvenuta con un lento e progressivo cammino dalla Resistenza in poi, ha messo fortemente in discussione la concezione della sessualità maschile come padronale. “Le donne sono cambiate, ma questo cambiamento non viene accettato facilmente dagli uomini. In crisi per tale cambio di prospettiva nei rapporti con il genere femminile, sono spaesati di fronte a questa libertà ed alcuni di loro arrivano conseguentemente ad essere violenti quando una donna dice basta ad una relazione che li lega reciprocamente. E, proprio perché gli uomini devono costruire una identità nuova rispetto al passato che voleva la donna a loro sottomessa, diventa fondamentale il ruolo delle nuove generazioni. Bisogna scrivere una nuova grammatica dei sentimenti, per comprendere cosa significhi volersi bene, cosa voglia dire l’amicizia tra donne e uomini oggi. La parola che più mi sta a cuore è il rispetto”.
A questo punto Livia Turco ha dismesso per un attimo i panni di filosofa, quale è, per ritornare a rivestire quelli della donna impegnata in politica, per ribadire che gli strumenti normativi in Italia ci sono ma occorre metterli in sinergia gli uni con gli altri. Una sinergia che dovrà nascere anche da una cultura diversa dal presente, una cultura capace di consentire la costruzione di relazioni nuove tra donne e uomini. Relazioni in grado di debellare la violenza di genere, perchè alla loro base c’è una sintassi nuova delle emozioni. Un’appassionante lectio magistralis non poteva che ingenerarsi da una donna che, da rappresentante istituzionale, ha ben tenuto alto l’obiettivo di mettere a disposizione la sua militanza politica al servizio del valore della solidarietà sociale in generale e della libertà delle donne in particolare.
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