La recente sentenza di secondo grado su femminicidio di Saman Abbas, al di là delle condanne ai suoi assassini, restituisce verità alla vicenda e rende dignità alla giovane donna, vittima di un reato culturalmente condizionato
Mercoledi, 07/05/2025 - Sono trascorsi quattro anni dalla serata del 30 aprile 2021, allorché Saman Abbas, 18enne pakistana, scomparve per sempre, dopo essere stata dai propri genitori accompagnata lontano dalla fatiscente abitazione familiare nelle campagne di Novellara (Reggio Emilia). Della sua morte essi furono accusati insieme ad altri componenti della famiglia e nel processo di primo grado la Corte d'Assise di Reggio Emilia comminò l'ergastolo, come chiesto dalla Procura, ai genitori di Saman, ritenuti responsabili insieme allo zio Hasnain, della sua morte. Quest'ultimo, che subì la condanna a 14 anni sia per omicidio sia, l'unico, per soppressione di cadavere, ottenne lo sconto di un terzo dovuto alla combinazione tra il mancato riscontro delle circostanze aggravanti e la sua precedente richiesta di rito abbreviato, mentre due cugini Ijaz e Noman Ul Haq furono assolti e liberati. I giudici di primo grado motivarono la propria decisione argomentando che l’omicidio di Saman fosse stato deciso nella tarda sera del 30 aprile 2021, perché voleva allontanarsi da casa per l'ennesima volta, stabilendo peraltro che il movente non fosse l'opposizione a presunte nozze combinate. La Corte d’Assise decise anche che il fratello Haider non fosse credibile, a causa di numerose incoerenze, e che il video del 29 aprile 2021, in cui lo zio e i cugini avevano pale e attrezzi da lavoro, non comprovasse che essi avessero scavato la fossa.
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