La Resistenza a Zagarolo (Roma): la storia vera dei miei bisnonni
Giovanni e Cliseide c’erano quel 25 aprile 1945 a festeggiare la Liberazione dal nazifascismo per le strade di Zagarolo, un piccolo paese di campagna in provincia di Roma...
Sabato, 13/04/2019 - I miei bisnonni c’erano. Giovanni e Cliseide c’erano quel 25 aprile 1945 a festeggiare la Liberazione dal nazifascismo per le strade di Zagarolo, un piccolo paese di campagna in provincia di Roma. Questa è la loro storia. (YouTube ANPI dic 2020)
Proveniente da una famiglia di tradizione socialista, Cliseide raccontava che suo padre, durante gli anni duri del regime fascista, teneva nascosta la foto di Matteotti tra la biancheria e non temeva l’olio di ricino dei fascisti. In gruppo si sentivano potenti ma presi singolarmente, diceva, erano deboli e impauriti anche loro. A Zagarolo durante il regime la maggior parte dei cittadini era fascista. Palazzo Rospigliosi ospitava la Casa del Fascio, dove i fascisti si radunavano e dove portavano gli oppositori politici perseguitati a colpi di manganellate e purgati con l’olio di ricino. Suo padre Beniamino partì come soldato nel 1915 per la Prima Guerra Mondiale, combatté nella Carnia e fece ritorno a casa nel 1919, destando la preoccupazione e la paura della piccola Cliseide, che non accettava la presenza di estranei in casa, poiché non ricordava la figura di suo padre. Anche Giovanni fa il contadino ed è di famiglia socialista ma nel 1921, in seguito alla scissione di Livorno, si converte al comunismo e prende la tessera del Partito Comunista d’Italia. Studia fino alla sesta elementare, una rarità a Zagarolo dove i genitori mandavano a scuola i figli solo fino alla terza. Da giovane prova ad entrare nelle Ferrovie dello Stato ma si rifiuta di prendere la tessera del partito fascista e il sogno di avere uno stipendio fisso sfuma. Non viene richiamato alle armi durante la Seconda Guerra Mondiale perché considerato troppo vecchio all’età di trentacinque anni circa. I due giovani si innamorano, decidono di sposarsi il 26 febbraio 1938 e dal loro matrimonio nasceranno tre figli maschi. Sono persone comuni, come Giovanni e Cliseide, quelle che contribuiscono alla guerra di Liberazione con azioni di sabotaggio, solidarietà verso i combattenti antifascisti, atti di eroismo anche da parte di donne, giovani e anziani. La loro è una lotta disarmata, una resistenza passiva. Non ci sono veri e propri scontri a fuoco ma le azioni hanno il compito di disturbare il nemico con guerriglie, imboscate e sabotaggi come il taglio dei cavi elettrici e telefonici, l’abbattimento dei segnali stradali, lo spargimento di chiodi a quattro punte sulla strada. Molti, tra uomini, donne e soldati, rifiutano il fascismo e la collaborazione con i tedeschi, diventando presto partigiani: sono pronti a imbracciare le armi e a combattere contro gli oppressori. Tra i partigiani del Lazio meridionale, dei monti Prenestini e dei Castelli Romani, dove prevale la componente comunista, non c’è un movimento unitario, ci sono problemi tra contadini e operai e l’attività di queste bande deve alternarsi con gli obblighi quotidiani del lavoro in campagna e del governo degli animali. A Zagarolo, oltre alla banda del comunista Sesto Rolli, è segnalata la presenza di altre quattro bande partigiane guidate dal tenente Alberto Castelli, da Angelo Garbuglia, Guido (o Vito) Passeri e da Bonaccorsi che agiscono tra San Cesareo, Gallicano, la periferia sud-est di Roma e la Tiburtina.
Atti di resistenza passiva sono compiuti anche da don Giuseppe Briotti, dal carabiniere Cesare Zaccari e da Goliarda Petreri, di madre tedesca, che si offre come interprete durante gli interrogatori dei rastrellati contribuendo a farne liberare parecchi.
All’arrivo dei tedeschi in paese essi occupano villa Pallavicini dove tengono l’esplosivo, le armi e le munizioni e Palazzo Rospigliosi viene adibito a ospedale militare dove sono trasportati i soldati tedeschi feriti sul fronte di Cassino e di Anzio. Dario Delle Fratte, fratello di Cliseide, partì nel 1940 e fu mandato prima a Bari per il servizio di leva e poi andò a combattere in Albania e nei paesi balcanici. Dopo l’8 settembre 1943 i tedeschi, che consideravano ormai gli italiani come dei nemici, lo fecero prigioniero e venne deportato nel campo di lavoro delle acciaierie di Solingen, città della Renania settentrionale, dove rimase per due anni.
Cliseide conservava gelosamente le sporadiche cartoline che il fratello inviava alla sua famiglia e raccontava di aver fatto un voto alla Madonna: se Dario non fosse tornato a casa lei non avrebbe battezzato il suo terzo figlio Mario. Tornò dalla Germania nel settembre del 1945 malato di sifilide e debilitato nel corpo e nello spirito. Cliseide lo ricorda come “un bastone vestito” e per l’impressione di vederlo così perse il latte da dare all’ultimo figlio. Durante i racconti della sua prigionia descriveva le precarie condizioni in cui erano costretti a vivere senza acqua né cibo. Mangiavano le bucce delle mele, di notte rubavano le patate che i contadini tedeschi raccoglievano di giorno, avevano i pidocchi e furono ridotti allo stremo delle forze. Raccontò che una volta fu sorpreso a rubare del cibo ma in cambio del suo orologio venne risparmiato. Il 9 gennaio 1944 il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) ordinò il trasferimento da Genzano a Zagarolo di dodici russi e uno jugoslavo che avevano combattuto per circa un mese nell’area dei Castelli Romani. Questi vennero presi in consegna da Giovanni Beccari e nascosti nella località zagarolese di Cancellata ma ben presto furono spostati a Palestrina sotto la guida di Dante Bersini. Il 21 gennaio caccia alleati mitragliarono un autocarro tedesco sulla strada Zagarolo-Palestrina secondo l’operazione “Strangle”, destinata a interrompere le vie di comunicazione tra Italia centro-settentrionale e il sud. Nel frattempo, il 22 gennaio gli Americani erano sbarcati sul litorale romano, ad Anzio, e ai partigiani laziali Radio Londra comunicava che “la zia è malata e sta per morire”.
Il 3 febbraio arrivò a Zagarolo Pino Levi-Cavaglione, un comandante delle Brigate Garibaldi inviato dal CLN, che aveva il compito di controllare la zona dei Castelli Romani con l’incarico di organizzare la Resistenza in questo paese, a Palestrina e a Castel San Pietro Romano. Ma a Zagarolo manca tutto: armi, radio, giornali e uomini disposti a rischiare. Egli trovò i compagni zagarolesi impreparati e non all’altezza dei loro, seppur piccoli, compiti e per questo venne incaricata la banda di Paliano. Nel marzo 1944 Enrico Giannetti convocò a Genazzano un congresso dove intervennero i rappresentanti di tredici comuni con lo scopo di formare GAP settoriali, di insistere nel reclutamento e nell’azione militare, nella stampa e propaganda e nella raccolta fondi. La situazione del segmento prenestino vedeva a Zagarolo un comitato locale formato da Sesto Rolli, responsabile politico, dal ferroviere Giuseppe Perri del settore organizzazione (subentrato ad Antonio Fabrini), da Giovanni Beccari, responsabile militare, sei militari sbandati, tre ex prigionieri alleati (due inglesi e un australiano), tre russi che venivano da Palestrina (“Vaska”, Boris e Ivan) e una trentina di compagni tra cui spiccano i nomi dei miei bisnonni Giovanni Verginelli e Alessandra ( nome con cui era conosciuta ) Delle Fratte e suo padre Beniamino Delle Fratte.
Dopo lo scoppio della bomba sulla chiesa di San Lorenzo la famiglia Verginelli, insieme al mulo Marconi, decise di lasciare il paese per sfollare in campagna a Colle Persico dove allestì un tinello a nuova casa e dove rimase per dieci mesi. Dormirono tutti quanti in una grotta buia e umida dove erano conservate le botti di vino vuote che servivano come giacigli preparati con paglia e foglie di pannocchie. Giovanni e Cliseide dal settembre 1943 entrarono attivamente nella Resistenza zagarolese e si schierarono con la banda comunista del tenente Sesto Rolli, classe 1905, muratore, sposato con tre figli, arrestato il 15 settembre 1938 per aver cantato “Bandiera rossa” sul treno delle Vicinali tra Centocelle e Torre Gaia. Rinchiuso a Regina Coeli e condannato a quattro anni di confino in provincia di Catanzaro, fu poi prosciolto da Mussolini l’8 gennaio 1939.
La Commissione regionale del Lazio per il riconoscimento delle qualifiche di partigiano e di patriota ha riconosciuto all’interno della Banda Rolli di Zagarolo quarantacinque combattenti, ventotto patrioti, un ferito e cinque caduti.
La sera le riunioni si svolgevano clandestinamente presso la casa di Perseo Delle Fratte, un loro vicino di casa che collaborava con la Banda Rolli all’organizzazione di azioni di disturbo e sabotaggio nei confronti dei tedeschi. Dovevano stare molto attenti a non destare troppi sospetti dato che ogni sera i tedeschi passavano in casa loro per requisire due fiaschi di vino e un pollo. Mancava tutto in paese e le poche armi che Giovanni aveva in casa (bombe a mano e moschetti) le aveva recuperate per strada. Inoltre i miei bisnonni possedevano una grande capanna con il tetto di paglia intrecciata, dalla circonferenza di circa venti metri, nella quale tra il 1944 e il 1945, a fasi alterne, nascosero per parecchi mesi, rischiando la deportazione o peggio ancora la fucilazione, alcuni soldati italiani che avevano abbandonato le armi dopo l’8 settembre e alcuni militari inglesi. C’erano un soldato napoletano, di cui non sappiamo più il nome, residente in via Foria, con cui Cliseide mantenne anche un rapporto epistolare; Salvatore D’Anna detto Totò, un giovane militare dei Granatieri di Sardegna proveniente da Terrasini, in provincia di Palermo, ospite per otto mesi in casa loro e due sottufficiali inglesi che tutte la mattine si radevano la barba con l’acqua portatagli da mio nonno bambino. Inoltre Cliseide, oltre a procurargli il cibo e a nasconderli, gli lavava le uniformi infestate dai pidocchi. Uno dei due inglesi si ammalò e gli venne la febbre alta così Cliseide e Giovanni, tramite l’aiuto di alcuni amici, riuscirono a procurarsi il chinino e quello guarì. C’era una grande solidarietà tra sfollati e soldati e nelle campagne zagarolesi intorno a Colle Persico si nascondevano almeno una ventina di soldati.
Tra il 4 e il 5 giugno 1944 le truppe americane entrarono a Roma senza incontrare resistenza e vennero accolte da una folla entusiasta. Il 4 giugno truppe angloamericane giunsero anche a Zagarolo, i primi reparti erano arrivati dalla sera precedente fino alla “Montagnola” ma non erano entrati in città per paura di una resistenza tedesca in ritirata verso Tivoli. All’alba gli alleati vennero avvertiti da alcuni gruppi di ragazzi che nell’abitato non c’era più traccia dei tedeschi. Per molti giorni mezzi militari attraversarono il paese rovinando la pavimentazione stradale ma quando il grosso dell’esercito giunse a Zagarolo non fu più possibile attraversarlo per il gran numero di automezzi, carri e armi. Il comando militare alleato decise allora di aprire una nuova strada e in un solo giorno nacque via Valle del Formale. Tra i soldati che passarono per Zagarolo ci fu anche un contingente di marocchini di lingua francese (quella fu la prima volta in cui i cittadini zagarolesi videro delle persone nere) i quali furono responsabili anche di stupri, furti e violenze. Questi vennero cacciati dalla popolazione zagarolese e si registrarono una cinquantina di morti.
Il 6 giugno l’area dei Monti Prenestini e l’alta valle del Sacco era completamente sgombra da truppe tedesche. Nel 1947 l’ANPI ha riconosciuto a Beniamino Delle Fratte, Alessandra Delle Fratte e Giovanni Verginelli la qualifica di Partigiano combattente della Banda Zagarolo/Rolli dal 9 settembre 1943 al 4 giugno 1944 in qualità di gregari. Inoltre a Giovanni è stato riconosciuto il grado di sottotenente della formazione Rolli. Nostro è il compito di ricordare quanti hanno lottato, non solo con le armi, ma anche con le idee, affinché oggi noi potessimo esprimerci liberamente: Giovanni, Sesto, Dario, Beniamino e Cliseide non sono soltanto nomi del passato, ma uomini e donne che ogni giorno rivivono in noi e ci ricordano su quali pilastri si fonda la nostra società.
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