Zoe Erošok - Amica e collega di Anna Politkovskaja racconta il clima della stampa nella Russia di oggi
Bertani Graziella Lunedi, 13/07/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2009
Una serie di iniziative svoltesi a Sesto San Giovanni che hanno visto tra i protagonisti anche il nostro giornale ci ha permesso di fare la conoscenza con Zoe Erošok, giornalista di “Novaja gazeta” e amica di Anna Politkovskaja. Poiché non sarebbe possibile comprendere il lavoro di Politkovskaja disinserito dal contesto nel quale agiva e dalla qualità dei colleghi di redazione coi quali si confrontava, ecco che Zoe si presenta a noi come donna e come giornalista.
“Sono nata in una piccola città del Sud, Termjuk, famosa soprattutto per avere dato i natali alla moglie di Ivan il terribile e per essere lambita da tre mari: il Mar d’Azov, il Mar Nero e il Mar del Vino ….
Da noi ciascuno fa il vino in casa ottenuto dalle proprie uve. E’un vino rosso, secco. Scrivo spesso di Termjuk. Ci vivono persone di talento e libere.”
Come ti sei avvicinata al giornalismo?
Frequentavo la settima classe ed ero in contatto con una giornalista di un piccolo quotidiano locale.
Mi dava da leggere dei libri, delle poesie e mi parlava della vita. La frequentavo da due anni quando un giorno, improvvisamente, mi disse: “Hai il carattere giusto per il giornalismo. Prova a scrivere qualcosa!” Io non capivo assolutamente che cosa c’entrasse il carattere, ma cominciai a scrivere. Poiché quella giornalista aveva studiato alla Statale di Mosca, anche io decisi di affrontare l’esame di ammissione alla facoltà di giornalismo; così è cominciata la mia carriera.
Quali sono i tuoi modelli?
Il mio modello ideale di lavoro è scrivere delle persone. Non amo l’espressione ‘gente comune’, preferisco persone comuni dalle vite comuni.
Cerco sempre di stare dalla parte dei più deboli e dei più indifesi che, seppur più deboli, socialmente sono i più forti e i più degni. Gli invalidi di guerra, per esempio. Oppure i bambini malati.
Qual è la tua esperienza professionale?
Dopo la laurea alla Facoltà di giornalismo della Lomonosov mi sono fatta le ossa a “Krasnodar” in un quotidiano per i giovani. Poi sono passata alla “Komsomol’skaja Pravda” e nel 1993, abbiamo fondato uno dei giornali più prestigiosi del mio paese “Novaja Gazeta”.
Quali riconoscimenti hai ricevuto?
Il premio “La penna d’oro di Russia” e, per due volte, il Premio “Artem Borovik”.
Che cos’è il giornalismo per te?
Innanzitutto il giornalismo non deve essere considerato come una parte della letteratura. E’ qualcosa di completamente diverso. Raramente un giornalista può diventare un buon scrittore. Sono professioni diverse. Quando uno scrittore scrive di giornalismo il rischio che il testo si traduca in un esercizio di stile è reale.
Non v’è ombra di dubbio che questa professione nasca dalla lingua e dal lavoro con la parola, ma come non si può dire: ”sarebbe un bel romanzo, peccato che sia scritto male” altrettanto non si può dire sul lavoro giornalistico. Il giornalismo non è solo ‘che cosa’, ma anche ‘come’. Preferisco di gran lunga e di più il giornalismo dei nostri giorni.
Ci spieghi perché?
Durante il periodo sovietico nel giornalismo molti temi erano vietati. Certamente una cosa è cambiata: la missione. Su tutto questo si riflette e se ne parla ancora poco. Ma nonostante le parole, nella idea stessa di missione c'è un grande significato e molta ricchezza per lo spirito.
Sono aumentate le competenze e questo è bene. Anche la società è cambiata in meglio. In situazioni di crisi i nostri lettori condividono la nostra lotta alla povertà ed inviano danaro per la cura dei bambini malati.
Il pericolo sta nell’etica: il dubbio, l’opportunità, l’egomania, la trasgressione alla rettitudine. La regola in questo lavoro è pensare al lettore. E pensare al lettore con rispetto.
Da dove nasce questa tua convinzione?
Dopo l’Università per sei anni ho lavorato alla redazione regionale della “Komsomol’skaja Pravda”. Era una fucina di giornalisti di talento che, pur essendo più grandi di me, con me hanno lavorato molto e mi hanno insegnato a scrivere.
La «Komsomol’ka» ha rappresentato un periodo importante e felice. Ha coinciso con la Perestrojka. E’ stata una scuola di stile, di lavoro con la parola, di apertura verso nuovi temi. Per me la Perestrojka ha significato una salvezza per la mia professione; in caso contrario sarebbe stato giusto abbandonare. Con la Perestrojka è iniziata anche una nuova vita. ‘Perestrojka’ era sinonimo di vita e non di forza del non esistere. Anche oggi è così. Sebbene la libertà di parola da allora sia minore, ha avuto il grande pregio di aggredire con grande forza la televisione.
Ci spieghi meglio?
Amo leggere. L’uomo è colui che legge. Amo la lingua russa. Abbiamo una stupenda letteratura del XIX° e inizio XX° secolo. Mi battono i palpiti del patriottismo quando rileggo Puškin, Lermontov, Ahmatova, Mandel’štamm, Brodskij.
La Libertà è un' esperienza deliberata della vita. Non credo ad una libertà indistinta, perché si esaurisce velocemente. Bisogna averne consapevolezza e allora arriverà anche la libertà personale.
All’Università insegno ‘giornalismo d’autore’ ma non parlo di me, parlo invece dei nostri eroi. Un giornale così in Russia non esiste.
Che cosa ci puoi dire del giornalismo femminile in Russia?
Il giornalismo femminile in Russia è forte. Le donne scrivono in modo chiaro, con talento, liberamente e quasi tutte senza complessi e senza egomania.
L’approccio di genere ai temi non esiste. Ma ci occupiamo della qualità della vita delle persone in generale, e delle donne in particolare. Le donne vanno difese, aiutate e anche ammirate.
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