Anna Kuliscioff - A ottanta anni dalla sua morte ancora poco studiato il pensiero di una donna che ha lottato per l'emancipazione
Anna Grazia Pinna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2006
“In Italia non c’è che un uomo, che in realtà è una donna e per di più russa: Anna Kuliscioff!”. In questo modo nel 1893 Antonio Labriola descriveva ad Engels lo stato dell’Intellighenzia italiana e quali fossero i reali interlocutori per un vivace dibattito politico, contribuendo al perfezionamento del mito kuliscioviano particolarmente vivo nell’immaginario collettivo dell’epoca.
In effetti la biografia della Kuliscioff risulta tutt’oggi particolarmente intrigante e di estrema modernità, e non è un caso che in tempi relativamente recenti e in fase di valorizzazione dei padri del Socialismo italiano abbia addirittura ispirato una pièce teatrale ed uno sceneggiato televisivo.
Appare comprensibile lo scalpore che potevano suscitare presso i suoi contemporanei le vicissitudini di colei che, proveniente da una Russia per lo più misteriosa, era stata tra le prime donne ad iscriversi all’Università di Zurigo, aveva abbracciato l’ideologia rivoluzionaria anarchica vagando per l’Europa, era stata suo malgrado ospite delle carceri italiane, aveva avuto una relazione more uxorio con il leader dell’anarchismo italiano Andrea Costa da cui era nata una figlia, aveva abbandonato il suo compagno per proseguire i suoi studi e, una volta conseguita la laurea in medicina, era diventata la “dottora dei poveri” nella Milano di fine ‘800, divenendo nel contempo “libera sposa” di Filippo Turati e “signora del Socialismo italiano”.
Al di là degli aspetti meramente agiografici, tuttavia, recuperare la memoria della Kuliscioff ad 80 anni dalla sua morte è importante in particolar modo per riconoscerle un contributo fondamentale non solo per la genesi del Partito Socialista Italiano e per la formazione politica di molti intellettuali dell’epoca, ma anche per aver posto il tema della questione femminile in termini originali e in un contesto in cui gli stessi compagni di partito risultavano ostili.
Dall’inizio degli anni ’90 l’operato della Kuliscioff si svolge su più piani paralleli: da un lato dirige il processo di formazione del Partito Socialista Italiano, introducendovi spunti ideologici importanti grazie anche alla sua collaborazione a Critica Sociale, dall’altro si impegna sul campo più specifico della condizione della donna nella società italiana. La Kuliscioff nell’arco degli anni ha maturato una posizione ben precisa riguardo alla questione femminile: la sua attività di medico le ha consentito di constatare direttamente le misere condizioni delle lavoratrici, la sua formazione internazionalista la porta a riflettere sul rapporto tra socialismo e questione femminile e a prendere una posizione contro una certa scuola del più retrivo darwinismo sociale che larga eco ha anche presso gli ambienti socialisti, tesa a dimostrare l’inferiorità della donna su base biologica (provata dal minor volume del cervello). Nella famosa conferenza che tiene a Milano nel 1890, intitolata Il Monopolio dell’Uomo, la Kuliscioff imposta la sua analisi in maniera tale che la questione femminile risulta essere parte della più generale questione sociale, e non una problematica separata. Partendo dal dato che la forza lavoro femminile nelle fabbriche è maggiore di quella maschile, anche se retribuita con un salario inferiore, pone l’accento sull’importanza del lavoro che ritiene la via stessa dell’emancipazione,“la sorgente vera del perfezionamento della specie umana” in quanto offre alla donna l’indipendenza economica sottraendola alla sottomissione e al servilismo nei confronti dell’uomo. Per questo motivo ritiene che solo un’intelligente legislazione possa migliorare la condizione della donna, messa alla stessa stregua degli incapaci di intendere e di volere per quanto riguarda i diritti politici, e individua nell’associazionismo femminile la possibilità della nascita di una spinta propulsiva per il miglioramento della propria condizione. La Kuliscioff tende a sottolineare che il suo è un femminismo di classe, che paragona la donna all’operaio, vittime entrambi dello stesso sfruttamento; si differenzia pertanto dall’impostazione data da altre esponenti del nascente partito socialista o dall’élite del femminismo borghese, che invoca l’equiparazione di determinate categorie di donne a determinate categorie di uomini. In questo comune sentire la Kuliscioff intravede il pericolo di un “voto plurimo”, concesso all’avversario di classe, e condanna la miopia politica della dirigenza socialista che è incapace di cogliere l’enorme potenziale di lotta delle donne che rappresentano la metà del proletariato, non inserendo i loro obiettivi nel suo programma, né armandosi per ottenere il suffragio universale dei due sessi nel timore che combattere per una prospettiva del genere possa ritardare il suffragio maschile.
Nel perseguimento del suo progetto, la Kuliscioff fonda nel 1897 a Milano il Movimento Femminile Socialista per condurre uno studio approfondito sulle condizioni di lavoro delle donne e dei minori nelle fabbriche, al fine di proporre in Parlamento un’idonea proposta di legge. Nonostante lo scopo fondamentale sia quello di garantire condizioni di vita più accettabili prima e dopo il parto, anche grazie all’istituzione di una Cassa di Maternità, la nota “Legge Carcano” che scaturisce da questa proposta risulterà fortemente ridimensionata nei contenuti, rappresentando pertanto una vittoria “monca” della Kuliscioff. Prosegue tuttavia la sua campagna di sensibilizzazione fondando nel 1912 La Difesa delle Lavoratrici, il giornale che diviene il primo organo nazionale del movimento femminile socialista. L’intento è quello di creare una tribuna in cui discutere questioni di attualità politica, cercando nel contempo di coinvolgere più direttamente le masse femminili ancora prevalentemente analfabete grazie all’utilizzo di un linguaggio semplice e dai tratti quasi demagogici, ma senza disdegnare un’esplicita apertura all’ambito internazionale e una palese impronta pacifista ed antimilitarista.
Solo nel congresso che si tiene ad Ancona nel 1914 il PSI si impegna a presentare entro un anno la proposta di legge che riconosca il suffragio femminile, dando il giusto riconoscimento alla battaglia che la Kuliscioff ha condotto negli ultimi 25 anni e colmando quella sorta di debito morale nei suoi confronti causato da una forma di misoginia culturale che per anni aveva impedito di prendere seriamente in considerazione le sue petizioni.
Tuttavia, a bloccare ulteriormente l’iter parlamentare della legge (e a ritardarlo di oltre 30 anni!) intervengono la Prima Guerra Mondiale e successivamente il fascismo, che nella sua opera di demolizione dei diritti offuscherà l’operato e il mito della Kuliscioff.
E’ rielaborando i dati della sua attività, che noi donne oggi possiamo trarre ulteriori convinzioni per le nostre battaglie, in questo nuovo contesto di precariato post-industriale e di resipiscenza di atteggiamenti ideologici avversi alle conquiste sul campo dei diritti civili. Anna Kuliscioff è una forza aldilà del mito.
(19 marzo 2006)
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