Papa Bergoglio - “Senza la misericordia non è possibile inserirsi in un mondo di “feriti” che hanno bisogno di comprensione, di perdono”. Parola di Francesco
Stefania Friggeri Domenica, 01/12/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2013
Attraverso le parole o recandosi in visita là dove vivono gli ultimi (Lampedusa, le favelas, le carceri) Papa Francesco ha lanciato un messaggio chiaro ed esplicito: la Chiesa cattolica deve testimoniare al mondo l’Amore di Dio la cui misericordia è rivolta a tutti gli uomini, non credenti compresi. Dopo secoli di intransigenza cattolica il Papa dice: “la Chiesa è madre… Serve una Chiesa capace di riscoprire le viscere materne della misericordia. Senza la misericordia non è possibile inserirsi in un mondo di “feriti” che hanno bisogno di comprensione, di perdono, di amore”. Parole che rispondono alla necessità di riformare una Chiesa secolarizzata dove si è insinuato il paganesimo idolatra del potere e del denaro. E infatti il Sinodo riunito a Roma nel novembre del 2012 (250 vescovi da tutto il mondo) aveva insistentemente chiesto di “indagare quali sono le ombre e i fallimenti ai quali bisogna porre fine” (Martin vescovo di Dublino), di “favorire una cultura di solidarietà” (Lapierre, vescovo canadese), di contrastare “le disuguaglianze sociali e le ingiustizie” (Rabago, vescovo messicano). E questo, secondo il vaticanista Politi, spiegherebbe perché la vicinanza di Scola a Comunione e Liberazione, la lobby affaristica e politicante, ha congiurato contro l’elezione al papato del cardinale milanese. E infatti il conclave ha nominato Bergoglio, un vescovo che viene “dall’altra parte del mondo”, un uomo che, inaugurando lo stile di una Chiesa sobria, aperta, non invadente, esprime la voce dell’America Latina storicamente unita dalla religione cattolica. Se il progetto politico di Wojtyla era riunificare l’Europa perché tornasse a “respirare con due polmoni”, Bergoglio sogna l’unità latinoamericana, progetto raggiungibile attraverso la “teologia del popolo” che, ispirandosi alla dottrina secolare della Chiesa e rifiutando il taglio marxisteggiante della società divisa in classi, vede nel popolo la soluzione dei drammi sociali: “una Chiesa povera per i poveri”. E inoltre l’integrazione continentale, se realizzata, rappresenterebbe un valido contrappeso alla prepotenza degli USA colpevoli anche, per combattere la teologia della liberazione, di finanziare le chiese protestanti cui si sono rivolti migliaia di fedeli della Chiesa cattolica. Ecco allora papa Francesco che non solo denuncia gli squilibri economici che colpiscono “chi è più debole” ma il primo maggio dichiara: “quante persone sono vittime di questo tipo di schiavitù in cui è la persona che serve il lavoro, mentre dev’essere il lavoro ad offrire un servizio alle persone perché abbiano dignità”. Parole importanti, ripetute più volte, senza però mai nominare i diritti che infatti appartengono storicamente alla cultura laica e socialista, cioè ad una cultura che, accanto al concetto di “assistenza” proprio del mondo cattolico, promuove anche l’intervento dell’ente pubblico per garantire ad ogni cittadino una condizione di vita dignitosa. E viene in mente la denominazione di “assistenza” con cui fino a ieri si nominavano i servizi sociali. Scrive Jone Bartoli in “La mela sbucciata”, un libro che ripercorre, attraverso la memoria individuale e la testimonianza dei collaboratori, quasi tutte donne, il lungo e faticoso iter politico attraverso il quale Jone ha costruito le fondamenta, come assessora regionale, del welfare in Emilia Romagna: “Già il termine di Assistenza è significativo: non si parlava di Servizi che l’Ente Locale o lo Stato erogava perché erano un diritto del cittadino che con il suo lavoro e le sue tasse partecipava in modo determinante allo sviluppo della società, si parlava di assistere, quasi facendo un’opera di carità, chi si trovava in qualche situazione di bisogno”. Un percorso che, non a caso, aveva provocato l’ostilità del mondo cattolico: “il dibattito in Consiglio regionale sulla legge di scioglimento degli Enti assistenziali e delle Opere pie e il passaggio delle competenze agli Enti locali è stato furibondo: i consiglieri DC ci hanno accusato di “spersonalizzazione dell’assistenza”, di “abbraccio mortale dell’Ente Locale che tutto soffoca e riduce a pura entità numerica il cittadino”. È vero che la forte esposizione mediatica di Papa Francesco ha provocato molte, troppe aspettative, anche all’interno di quel mondo laico che Bergoglio ha chiamato a percorrere insieme la via per dare una speranza agli ultimi, ma non dobbiamo dimenticare che anche un Papa innovatore ha due milioni di anni di storia alle spalle ed appartiene ad una cultura con la quale a volte Jone è entrata in conflitto perché nel quotidiano, in nome della fratellanza e della solidarietà, accadeva che: “Un ospite di una casa di riposo che stava sbucciando una mela mi disse: ‘Per favore la porta a mia moglie? Quando vivevamo insieme a casa a lei piaceva che io gliela sbucciassi’. Gli chiesi dove fosse sua moglie e lui mi rispose ‘Nell’altra ala della rocca’. Donne e uomini, anche mariti e mogli, vivevano rigidamente separati anche di giorno”.
All'origine del welfare
Ione Bartoli in La mela sbucciata (ed Consulta) compone un racconto a molte voci sull'evoluzione al femminile del welfare nell'Emilia Romagna degli ultimi cinquant'anni. Un libro che deve essere letto se si vuole conoscere la storia che ha fatto grande l'Emilia Romagna di quegli anni rendendola esempio europeo di welfare intelligente. Quando Ione Bartoli assume la funzione di assessora, in Emilia come nel resto d'Italia, esistono ancora i brefotrofi per i minori orfani o abbandonati e gli ospizi di carità per gli anziani che non possono essere assistiti dalla famiglia d'origine. Colpisce la narrazione di cameroni con quaranta letti, di anziani che sciamano all'esterno un solo giorno alla settimana, il giovedì, vestiti della divisa grigia dell'istituto. Di coppie, con alle spalle anni di matrimonio, separate per tutta la settimana, che aspettano questo giorno per finalmente incontrarsi.
Tutte istituzioni private, per lo più religiose, alle quale si antepone lo Stato con la sua visione moderna e laica, grazie a un gruppo di donne capaci e testarde, ma prive di ogni aspirazione carrieristica. È il periodo del "tutto statale" e diversamente non avrebbe potuto essere perché solo lo Stato ebbe la forza di tale trasformazione.
La domanda che sorge spontanea è: meglio ora, periodo del "tutto privato"? Molte le riflessioni nel libro, a partire dalla prefazione di Flavia Franzoni Prodi.
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