A tutto schermo - Il primo film della regista Haifaa Al Mansour racconta la vita di donne e ragazze in Arabia Saudita
Colla Elisabetta Domenica, 06/01/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2013
Tra le molteplici proibizioni cui le donne sono costrette in Arabia Saudita, c’è quella al movimento. Sembra uno scherzo ma purtroppo non lo è: si tratta del divieto, rivolto alle sole donne, di guidare la macchina o altri mezzi di trasporto, una delle tante violazioni del diritti basilari degli esseri umani. È per questo che Amnesty International ha patrocinato e sostenuto il film ‘La bicicletta verde’, presentato nella sezione Orizzonti all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, straordinario esordio al lungometraggio della regista Haifaa Al Mansour, prima regista donna dell’Arabia Saudita, considerata una delle più significative figure cinematografiche del Regno. Protagonista della pellicola è Wadjda, una vivacissima bambina di dieci anni, naturalmente portata ad infrangere le regole imposte dalla sua cultura, che vive alla periferia di Riyadh e sogna di comprare una splendida bicicletta verde (in vendita nel negozio dietro casa), per gareggiare e battere un bambino del quartiere, Abdullah, col quale, ça va sans dire, le è rigorosamente proibito giocare. La madre di Wadjda, che sognava di essere cantante, non può e non vuole aiutarla, impegnata com’è, da un lato, a preservare la reputazione sua e della figlia, dall’altro a combattere la quotidiana battaglia con i tassisti (da cui dipende per andare al lavoro fuori città) e con il marito, che sta per risposarsi poiché lei non può dargli l’agognato figlio maschio. La ragazzina, che non comprende né accetta i molteplici divieti che le maestre ed altre conoscenti le impongono (non guardare gli uomini, spostarsi dal loro raggio visuale, non andare in bicicletta, non girare a viso scoperto, e molti altri) si arrangerà da sola, per inseguire il suo sogno di libertà, iscrivendosi al concorso bandito dalla scuola coranica, con in palio un premio dell’esatto importo della bicicletta. L’ipocrisia di una società maschilista (si può vendere una macchina o una bici ad una donna ma non per usarla) e ultra-conservatrice, di cui molte donne, come la preside del film, per essere socialmente accettate, divengono le più fervide sostenitrici, è disegnata dalla regista con grazia ed intelligenza non comuni: nei dettagli quotidiani, nella paura costante, nel clima di delazione, nel muro di silenzio e nell’etichettamento di chi è anche solo ‘sospettato’ di comportamenti poco consoni, comparati alla dirompente voglia di vivere di Wadjda, che va in giro spavalda con le sue cuffiette per la musica alle orecchie, le scarpe da ginnastica moderne ed i tatuaggi disegnati col pennarello. ‘In Arabia Saudita non abbiamo sale cinematografiche - racconta la regista - ma i sauditi, nel fine settimana vanno al cinema in Bahrain. Quando ero piccola vivevo in un paesino, dove avevamo solo la TV: vengo da una famiglia numerosa e mi sono innamorata del cinema guardando i film in DVD, finché più tardi ho potuto studiare Letteratura al Cairo e Regia e Studi Cinematografici a Sidney. Oggi, grazie ad Internet, molte cose stanno cambiando e le ragazzine come Wadjda, che hanno sogni e aspirazioni, forti potenzialità e personalità, potranno rimodellare e ridefinire la nostra nazione, e lo faranno.’ Nel ruolo della madre la bellissima attrice Reem Abdullah, apprezzata in Arabia Saudita come una delle poche attrici che sfidano i ruoli ‘privati’, e nota interprete di una serie televisiva dalle tendenze liberali, molto seguita perché critica verso le ideologie estreme ed intolleranti della società. Per la parte della giovanissima protagonista, Wadjda, è stata scelta la dodicenne Waad Mohammed, una delle ultime bambine a fare il provino, contraddistintasi da subito per il look e l’atteggiamento giusti. ‘Nessuna delle ragazze viste prima di lei aveva lo spirito necessario, e cercavamo anche una bambina che avesse una bella voce per cantare con la madre il Corano. Nel nostro paese non molte famiglie mandano le figlie a fare provini, ed è difficile trovare donne e ragazze disposte ad essere riprese, inoltre non esiste industria cinematografica né il casting.’ Sicuramente alla ricchezza delle emozioni, specialmente di quelle espresse nel delicato rapporto madre-figlia, è legata la forza eversiva e rivoluzionaria di un film che parla sommessamente, ma dice qualcosa di importante. ‘Dirigere il film in Arabia Saudita è stato impegnativo ma gratificante - continua la regista - nelle zone più conservatrici dovevo dirigere da dentro il furgone, con il walkie-talkie, alcuni si lamentavano ma avevo tutti i permessi a posto. Ci tenevo a girare una storia con cui le persone potessero relazionarsi, un ritratto accurato della situazione femminile in Arabia Saudita, in cui i personaggi fossero credibili, gente ordinaria che deve destreggiarsi in un sistema estremamente tradizionalista, così volevo che anche gli uomini non fossero ritratti per stereotipi, ma che fosse evidente come uomini e donne sono forzati a comportarsi in un certo modo. Dalle donne ci si aspetta un certo comportamento e, se non viene seguito alla lettera, genera una severa condanna: spero che i miei film aiutino alcune di loro a trovare il coraggio di rischiare e parlare dei problemi per loro importanti’. Distribuito in Italia da una nuova realtà emergente, la AcademyTwo, il film è coprodotto da Germania ed Arabia Saudita.
Lascia un Commento