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Una “recessione da trasformazione” versus donne

Una “recessione da trasformazione” versus donne

Ungheria - L'occupazione femminile, prevalentemente poco qualificata, è in continuo calo e la crescita economica non è agevolata

Cristina Carpinelli Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2006

Di tutti i paesi in transizione dell’Europa centro-orientale, l’Ungheria è quello che ha realizzato il massimo cambiamento della sua struttura industriale, con riserve di manodopera in questo ramo della produzione meno considerevoli rispetto al passato (oggi paragonabili a quelle dei vari paesi Ue) e con un’occupazione nel settore dei servizi (banche, assicurazioni, pubblica amministrazione) in continuo aumento. Lo spostamento dell’asse produttivo dai settori tradizionali (industria, agricoltura) a quelli in espansione (servizi) ha modificato la dislocazione del lavoro delle donne, che tende ad allontanarsi dall’agricoltura e dall’industria (mantenendosi però intorno ai livelli europei) per spostarsi progressivamente nel settore dei servizi.
Questi spostamenti settoriali hanno agevolato l’occupazione femminile, i cui tassi d’attività sono in crescita, pur rimanendo sotto la media comunitaria per via dell’elevato indice d’inattività delle donne in seguito ai massicci prepensionamenti. La scarsa partecipazione della forza lavoro femminile costituisce, tuttavia, un ostacolo per l’economia. Se negli anni novanta quest’ultima aveva beneficiato dei forti aumenti della produttività del lavoro, nel nuovo millennio essa registra una recessione, a causa dei sensibili ritiri delle donne dal mercato del lavoro e dei tassi particolarmente esigui che caratterizzano anche l’occupazione maschile (motivo, tra l’altro, del minore divario occupazionale tra maschi e femmine rispetto a quello dei paesi Ue). Lo sviluppo futuro dell’economia ungherese dipenderà dalla sua capacità d’invertire la tendenza della partecipazione della forza lavoro femminile, riportando sul mercato del lavoro le frange meno giovani delle donne ancora in età lavorativa, quale condizione indispensabile per la crescita.
Le modifiche delle strutture settoriali dell’occupazione femminile hanno ampliato la forbice in termini di occupazione e disoccupazione tra donne residenti nelle regioni agricole e quelle che vivono nei centri urbani, poiché la creazione di posti di lavoro nei servizi è avvenuta principalmente nelle città. Sono, inoltre, aumentate le disparità dei tassi d’attività delle varie categorie di lavoratori a seconda dei livelli di competenze. Il tasso d’occupazione dei lavoratori altamente qualificati è notevolmente più elevato di quello riferito ai lavoratori scarsamente qualificati (persino se confrontato con le differenze già elevate dell’Ue), di cui le donne rappresentano la quota maggiore. Cresce la qualificazione dell’offerta femminile di lavoro in linea con l’aumento della domanda di una manodopera più qualificata, ma i tassi d’occupazione delle lavoratrici non molto qualificate sono estremamente bassi e i loro salari non sono sufficienti a spingere le disoccupate o le donne inattive a rientrare nel mercato del lavoro. Questo è dipeso anche dall’adozione, nel corso della transizione, di un sistema di trasferimenti che ha favorito l’espulsione dal mercato del lavoro delle maestranze non necessarie al nuovo corso economico, proprio come leva per la ristrutturazione dell’economia incentrata sullo spostamento di forza lavoro dai settori in declino alle industrie più moderne. I rapporti di sostituzione netta delle prestazioni sociali, comparati al reddito da lavoro, hanno rappresentato disincentivi ad iniziare un’attività lavorativa, in particolare per i lavoratori poco qualificati. Le azioni volte ad incentivare i cittadini a cercare un’occupazione non erano state considerate un obiettivo centrale quando fu elaborato il nuovo regime di protezione sociale all’indomani del crollo del sistema socialista di produzione. Con il risultato che l’Ungheria si trova ora in una situazione conflittuale di fronte all’obiettivo di diminuire la povertà (cresciuta in questi ultimi anni dal 10% al 30%), la disoccupazione e il lavoro nel settore informale, poiché le prestazioni sono utilizzate per garantire un minimo di sussistenza e la riduzione del carico fiscale (uno tra i più elevati nell’Ue), che finanzia la sicurezza sociale, sta seriamente danneggiando i lavoratori colpiti dall’adeguamento economico.
La bassa partecipazione lavorativa delle donne ha inibito il mercato di beni e servizi, producendo stagnazione e, di conseguenza, un calo nel tenore di vita e la diffusione della femminilizzazione della povertà: cresce la quota delle donne che vivono sotto la soglia di povertà (le casalinghe con tre o più figli e le madri sole sono le più numerose) ed aumenta il numero di coloro che, con la forte spinta alla deregolamentazione, accettano le forme del lavoro precario, atipico e illegale (diffuso soprattutto nel terziario). Si conferma, inoltre, per le donne il doppio carico del lavoro produttivo e di quello di cura appesantito dai recenti tagli alla spesa sociale e ai servizi e dalla poca diffusa definizione di orari di lavoro volti a favorire gli impegni familiari, al di là delle disposizioni di base relative ai congedi di maternità e di famiglia.
È di questi ultimi anni la tendenza alla riduzione dei tassi d’occupazione e all’aumento della disoccupazione per la classe d’età 15-24 anni, in contrasto con quanto succede presso le altri classi d’età della popolazione economicamente attiva, soprattutto a danno del sesso femminile. In più, le attuali retribuzioni non riflettono i livelli di competenza e d’istruzione dei lavoratori, con maggiore svantaggio per le donne, il cui livello di scolarizzazione è superiore a quello maschile (tab. 1).

Tab. 1 Grado d’istruzione secondo il genere (%) - al marzo2006
Maschi Femmine
Istruzione media superiore 49 51
Laurea e titoli accademici 36 64
Eurostat, 2006.

Il mercato del lavoro presenta una visibile discriminazione legata al genere con notevoli differenze salariali tra uomini e donne, che hanno origine o nel settore d’impiego (settori femminilizzati e per questo sottoretribuiti) o nell’attribuzione alle donne di lavori dequalificati con bassi salari. In Ungheria nei settori femminili tradizionali (agricoltura, costruzioni, tessile, industria della carta, ristorazione, commercio, sanità e servizi sociali) i salari sono meno elevati. I nuovi settori di punta, con le retribuzioni più alte, sono l’energia e le banche. In quest’ultimo, il numero delle donne occupate è considerevole, anche se la loro retribuzione è inferiore se comparata con quella dei loro colleghi uomini. Infine, più alto è il livello di scolarizzazione, più ampio è il gender pay gap: nella categoria “professionisti e dirigenti” del comparto privato, il salario femminile può anche essere inferiore del 30% rispetto a quello maschile. Lo scarto più ampio nella retribuzione si colloca pure alla base (dove bassi sono i titoli di studio), mentre si riduce nelle categorie intermedie (tab. 2).

Tab. 2 Gender pay gap - divario tra le retribuzioni di donne e uomini (%)
Anni 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Ue (15) 17 17 16 16 16 15 16 16 16 16 15
Ungheria - 22 23 24 23 21 21 20 16* 12* 11
Eurostat, 2006. *Un visibile decremento del gender pay gap si è registrato tra il 2002 e il 2003 (dal
16% al 12%), spiegabile con il fatto che in quegli anni, nella sfera pubblica, c’erano stati forti aumenti retributivi. Poiché circa il 70% degli occupati in questo settore sono donne, il gender pay
gap si era, di conseguenza, ridotto.

La “distruzione creativa” cara a Joseph Schumpeter, avviata in Ungheria ai tempi di Janos Kadar (anni ottanta), si è bloccata nel corso degli anni duemila. L’afflusso d’investimenti stranieri, di capitali e competenze tecniche da parte delle imprese occidentali aveva permesso, nel corso degli anni novanta, di coprire il disavanzo e di aumentare di molto la produttività del lavoro. Negli anni duemila, la debolezza dei consumi interni, accreditabile ad un mercato del lavoro ancora incerto, con una bassa percentuale di popolazione che partecipa allo sforzo produttivo del paese, ha generato una “recessione da trasformazione” (termine coniato dall’economista ungherese Kornai): da un “eccesso di domanda”, dovuto alla penuria dei beni presenti sul mercato socialista, si è passati nel corso della transizione ad una condizione nella quale l’insufficienza della domanda, determinata dallo scarso potere d’acquisto dei cittadini, costituisce il principale ostacolo alla crescita economica.
(10 ottobre 2006)

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