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UN WOMEN: cambiare tutto perché cambi qualcosa

UN WOMEN: cambiare tutto perché cambi qualcosa

Mondi - Nel 2010 serve ancora un'organizzazione internazionale dedicata all'uguaglianza di genere?

Costa Beatrice Lunedi, 04/10/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2010

Dopo mesi di trattative, il 2 luglio scorso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Risoluzione che darà vita a UN WOMEN, la nuova agenzia ONU dedicata alla promozione dei diritti delle donne e all’uguaglianza di genere. La notizia non ha suscitato particolari reazioni, neppure da parte del Dipartimento delle Pari Opportunità o dal Ministero degli Affari Esteri; solo qualche ripresa su siti internet per addette ai lavori.

Operativa dal gennaio 2011, la nuova struttura racchiuderà quattro entità, fino ad oggi operanti in maniera separata: il Fondo di Sviluppo per le donne (UNIFEM), la Divisione per l’emancipazione delle donne (DAW), l’Istituto di Ricerca e Formazione internazionale per l’emancipazione delle donne (INSTRAW), l’Ufficio del Consigliere Speciale del Segretario Generale ONU sulle tematiche di genere (OSAGI). Nomenclature bizantine e sovrapposizioni di competenze tra organi fanno dubitare che fino ad oggi i diritti delle donne siano stati promossi dalle Nazioni Unite in maniera efficace. Un’iniziativa da accogliere con favore, dunque: la pensano così trecento associazioni – riunite nella campagna globale Gender Equality Architecture Reform – che hanno attivamente seguito il processo. Un maggiore coordinamento all’interno delle Nazioni Unite e con i governi dovrebbe permettere di avere più donne nei luoghi decisionali, contrastare la violenza di genere, valorizzare il potenziale professionale e intellettuale femminile, ridurre il carico di cura affidato alle donne.

Eppure rimane l’impressione di tornare indietro nel tempo: ancora, nel 2010, serve un’agenzia 'per le donne-'? Nonostante decenni di discussioni, centinaia di programmi e convenzioni internazionali, siamo ancora di fronte a dati sconcertanti rispetto alla condizione femminile nel mondo. A parità di mansione le donne me-diamente percepiscono il 17% di salario in meno e sulle donne pesa la maggior parte del lavoro non retribui-to. Due terzi degli adulti analfabeti sono donne e meno della metà delle madri nei Paesi cosiddetti in via di sviluppo possono partorire assistite da personale sanitario. Su dieci persone vittime di tratta otto sono donne e ragazze. Troppo poche le donne in Parlamento, nei Ministeri, nei consigli di amministrazione, con rare ec-cezioni (non sempre nei Paesi industrializzati). Si prova imbarazzo a ripetere così spesso gli indicatori di di-suguaglianza che dovrebbero rendere prioritario l’impegno per restituire voce, dignità e autonomia a più del-la metà della popolazione mondiale.

Nondimeno negli ultimi trent’anni molto è cambiato nelle condizioni di vita per le donne e nei fora di elabora-zione di politiche e strategie. In molti contesti le donne sono passate da 'categoria protetta' a risorsa prezio-sa, soggetto da includere non solo più per ragioni di pari opportunità ma perché la differenza può costituire valore aggiunto. Anche il World Economic Forum ha dimostrato che più un Paese è equo, più è competitivo e che investire per ridurre le disuguaglianze è economicamente conveniente, poiché massimizza le risorse a disposizione. In questi anni di crisi (alimentare, finanziaria, climatica) le donne vengono (a volte opportuni-sticamente) chiamate in causa come attori chiave per trovare modelli di sviluppo più sostenibili. L’analisi femminista ha contribuito a rinnovare anche la disciplina economica, investigando il nodo produzione-riproduzione, costruendo analisi dei bilanci pubblici sensibili alla dimensione di genere, introducendo statisti-che e dati prima ignorati.

Luci e ombre dunque per le donne del XXI secolo che da un lato possono contare su molti più alleati tra ONG e istituzioni, ma dall’altro vivono ancora penalizzate da sistemi ampiamente discriminatori. E’ con questo scenario che l’agenzia UN Women dovrà confrontarsi ed è solo nella consapevolezza al contempo di guada-gni e ritardi che è pensabile un miglioramento dell’azione internazionale. A indirizzare l’agenda della UN Women dovrebbero essere i rapporti-ombra prodotti dalla società civile sull’implementazione nei singoli stati di documenti come la CEDAW o la Piattaforma d’azione di Pechino così come le relazioni degli Special Rap-porteurs delle Nazioni Unite su temi quali la violenza sulle donne. Il forum sull’avanzamento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (per i quali è stata riconosciuta come cruciale l’eguaglianza di genere) svoltosi a New York a fine settembre e il prossimo anniversario della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1325/2000 su donne, pace e sicurezza offrono ulteriori rampe di lancio per iniziative condivise.

Presto emergerà il nodo irrisolto delle risorse finanziarie e umane per la nuova agenzia. Il Segretario Genera-le delle Nazioni Unite Ban-Ki Moon ha parlato di un iniziale stanziamento di 500 milioni di dollari necessari per UN Women; la società civile chiede 1 miliardo (che rappresenterebbe appena lo 0,5% delle spese di tut-te le agenzie ONU nell’anno 2008). Si tratta comunque di quasi raddoppiare il bilancio delle agenzie incarica-te ad oggi dei diritti delle donne nelle Nazioni Unite: un investimento poco credibile in tempo di crisi econo-mica globale e di diminuzione di aiuto pubblico allo sviluppo da parte di molti paesi. Stabilire quanto tocche-rebbe all’Italia sarebbe esercizio di stile, visto che il nostro Paese è moroso nei confronti di diverse istituzioni internazionali, come il Fondo Globale per la lotta all’AIDS, TBC e Malaria. Se volesse mantenere una linea di coerenza, tuttavia, l’Italia dovrebbe collocarsi al terzo posto per generosità visto che nel 2008 è preceduta solo da Spagna e Norvegia per contributi a UNIFEM. E se, come probabile, di soldi italiani se ne vedranno pochi, le nostre istituzioni potrebbero almeno promuovere la leadership femminile con una coraggiosa e si-gnificativa presenza di donne nelle istituzioni internazionali. Anche qui, sarà tutta in salita considerando che fino all’anno scorso le donne erano solo il 16% dei diplomatici italiani e solo due direzioni generali del Mini-stero Affari Esteri erano guidate da una donna. In più il dialogo tra istituzioni e società civile in occasioni di conferenze internazionali in tema di diritti delle donne non è regolare, né affidato a meccanismi di consulta-zione stabili. Il risultato è che la voce delle donne italiane a livello internazionale resta fragile e il guadagno di lotte, riflessioni e pratiche del femminismo italiano sono sempre più raramente materia di condivisione nel villaggio globale.

Si attendono sviluppi sul futuro di UN Women negli ultimi mesi di quest’anno e dal 2011 si potrà valutare se abbiamo cambiato tutto per … cambiare almeno qualcosa.





Beatrice Costa si occupa di ricerca e analisi sui diritti delle donne e sulle politiche di genere per ActionAid beatrice.costa@actionaid.org - www.actionaid.it



(3 ottobre 2010)

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