Le mille e una rivolta/1 - Giovani e donne dai social network alle piazze dei paesi arabi. Intervista ad Iman Sabbah
Bartolini Tiziana Lunedi, 09/05/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2011
I segnali c’erano da tempo e per capire veramente che il mondo arabo è variegato e che ogni Stato e ogni popolo ha una sua storia bisogna tornare indietro fino alla fine del colonialismo“. Iman Sabbah, giornalista araba-israeliana e volto noto di Rainews24, spiega a noidonne la complessità di quanto sta accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo, a partire dal fatto che le rivolte hanno colto tutti di sorpresa. “Dopo l’11 settembre l’occidente ha iniziato a percepire quell’area solo come la culla del fondamentalismo islamico e del terrorismo, si è alzato un muro. L’altro elemento era il dittatore amico e servitore insieme ad una società ignorante più semplice da gestire. I dittatori dei paesi arabi sono stati tutti i benvenuti in occidente: Zine El Abidine Ben Ali, Housni Mubarak e persino Mouammar Gheddafi con tanto di baciamano e frecce tricolori. Controllato così il vicino oriente, bisognava evitare brutte sorprese nei paesi “canaglia”, ed ecco l’idea di esportare la democrazia con le guerre per garantire la sicurezza. Intanto nel cuore dei paese arabi cresceva una nuova generazione, giovani laureati in cerca di una vita migliore, di un lavoro, di politici onesti e soprattutto di libertà“.
Le rivolte sono state determinate più dalla richiesta di democrazia e di diritti civili o dal sottosviluppo economico e dalla povertà?
Sia l’uno che l’altro. Ma non le chiamerei rivolte del pane, nelle piazze c’è soprattutto la voglia di libertà e di democrazia. È vero, le proteste sono iniziate per la crisi economica e per i rincari dei generi di prima necessità, ma sono andate subito contro i governi colpevoli di non aver saputo gestire la crisi e di consumare le risorse pubbliche per l’interesse di pochi.
È vero che tra i fattori scatenanti c’è stato l’uso dei social network?
Il ruolo di internet è stato determinante. I social network sono diventati lo strumento di comunicazione, una sorta di bar virtuale dove condividere le idee, confessare le proprie paure, cercare solidarietà e darsi appuntamento fuggendo cosi al controllo serrato che i regimi avevano dei sistemi di comunicazione tradizionali. Non va sottolineato nemmeno il ruolo delle televisioni satellitari libere e delle all newspanarabe come Al Jazeera e Al Arabiya. Ma l’elemento fondamentale è che la gioventù araba dal Maghreb al Mashreq è bilingue. Non c’è un giovane che non parli inglese o francese e questo è stato fondamentale per comunicare all’occidente cosa stava realmente accadendo senza filtri né censure.
Abbiamo visto anche le donne nelle piazze, ma non sempre e non ovunque. Che ruolo hanno avuto in generale ed in quali Paesi hanno davvero potuto essere protagoniste?
Le donne hanno dimostrato al mondo intero che essere arabe non vuol dire necessariamente essere velate e che il velo non è sinonimo di sottomissione. Sono in prima fila in Iran, in Tunisia, in Egitto e oggi anche nello Yemen (paese costantemente minacciato dal fondamentalismo islamico e dove le donne non hanno mai visto da vicino la libertà e l’uguaglianza). Basta citare alcune nomi: Neda Agha Soltan uccisa a Tehran perchè gridava libertà contro il regime di Mahmoud Ahmadinijad. Amal Mathlouthi con la sua musica per la libertà in Tunisia e Tawakkol Karman, trentaduenne egiziana il cui slogan è ‘guardate all’Egitto, vinceremo‘.
Secondo lei i media italiani hanno dato una corretta rappresentazione del ruolo delle donne in quei Paesi e in quelle lotte?
La voglia di libertà delle popolazion i arabe ha spiazzato l’occidente. Il modello di fare informazione e di coprire 24 ore su 24 gli eventi nel mondo intero di Al Jazeera e di Al Arabiya fa invidia alle televisioni occidentali. Ed ecco che i giornalisti di tutto il mondo, compreso quelli italiani, si sono precipitati nelle piazze per raccontare da vicino la rivolta dei giovani, scoprendo che uomini e donne, musulmani e cristiani, mettevano a rischio la loro vita per la libertà. In Italia è stato fatto un buon lavoro ma l’auspicio è che il sipario resti alzato anche dopo la fine dello spettacolo delle piazze. Oggi siamo impegnati a raccontare la guerra (anche se al momento non sappiamo contro chi) in Libia e le rivolte in Siria. Raccontiamo l’immigrazione dal nord Africa, ma dobbiamo essere sempre vigili sulla Tunisia e sull’Egitto perchè lo spettacolo non può finire se la trama non è finita.
Ci saranno oggettivi miglioramenti per le donne?
Le donne non hanno lottato in prima fila accanto agli uomini invano. La loro richiesta di libertà è autentica e se non dovessero ottenere i loro diritti torneranno in piazza. Però il problema del fondamentalismo islamico rimane. l‘Islam fa paura quando diventa politico e quando vuole imporre le legge della sharia. Ma il grido di libertà delle piazze arabe fa sperare che né la dittatura né il fondamentalismo abbiano più spazio.
Lei da undici anni vive in Italia e ha potuto conoscere il percorso che ha portato libertà alle occidentali. Le donne arabe sono interessate ad imitare il nostro modello di libertà?
La libertà è una e non esistono modelli di libertà. Per ottenerla bisognerebbe cominciare dal rispetto della dignità della donne. E francamente spesso in occidente questa dignità viene calpestata.
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