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Un salutare disordine

Un salutare disordine

pro-MEMORIA / 2 - '... la passione politica per il cambiamento dell’esistente e la convinzione che senza le donne nulla può cambiare'. Intervista a Linda Santilli di 'Donne di Classe'

Bartolini Tiziana Lunedi, 07/02/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2011

Hanno preso una parola - non a caso - e hanno giocato con le sue potenzialità, e anche sulle possibili ambiguità. Il gruppo ‘Donne di classe’ ha preso avvio dalla provocazione cui il termine ‘classe’ si presta, soprattutto se legato al femminile, e ne ha dilatato significati e declinazioni, sconfinando dal gruppo sociale fino al portamento, all’eleganza. “Dovremmo provare a rideclinare questa categoria a partire da come le donne stanno nel lavoro e nella vita - osserva Linda Santilli – superando la riduzione che il maschile fa del lavoro come sola produzione di merci. Non si può continuare ad ignorare la mole di attività riproduttiva che da sempre svolgono le donne gratuitamente”. La sfida del nome non è stata l’unica, visto che il gruppo - nato circa due anni fa su Facebook - ha collaudato la sua tenuta nel passaggio dal virtuale alla materialità dei corpi. Da un anno un bel numero di donne si incontra nella Casa della sinistra del quartiere San Lorenzo a Roma, tessendo relazioni che travalicano appartenenze politiche e differenze generazionali. “Abbiamo in comune la passione politica per il cambiamento dell’esistente e la convinzione che senza le donne nulla può cambiare. Ma vogliamo partire da noi, dalle nostre vite e la precarietà ne è il centro. Siamo sempre a caccia di lavoretti per sopravvivere. Anche chi si è laureata, non trovando occupazioni stabili e dignitose, è condannata ad una eterna vita da studente, una sorta di giovinezza forzata senza futuro - osserva Santilli, che per lavoro si occupa di archivi storici all’interno del Prc -. Sentiamo tutte il tema della precarietà e intorno a questa condizione abbiamo anche organizzato iniziative pubbliche, esplorando la precarietà come condizione multipla materiale, esistenziale, affettiva, cercando anche di individuare potenzialità, strategie di resistenza e vie d’uscita come la battaglia sul reddito di esistenza, o quella per abrogare la legge 30 ”.

Già, le potenzialità del femminile... “Da sempre le donne svolgono più lavori contemporaneamente, non riescono a delimitare in modo netto i confini tra vita e lavoro, e il nostro logo che raffigura una dea kalì indaffaratissima con più braccia è eloquente. Diciamo che la capacità di prendersi cura, storicamente attribuita alle donne, se da una parte è stata una gabbia loro imposta dal patriarcato, dall’altra può rappresentare un valore aggiunto da mettere in gioco anche nella dimensione pubblica, una straordinaria risorsa. Un patrimonio accumulato che può misurarsi con i cambiamenti avvenuti nel mondo del lavoro, nella società liquida contemporanea, in cui le capacità relazionali sono la merce più richiesta dal nuovo capitalismo cognitivo. Ci facciamo domande e non abbiamo risposte certe. La nostra è una ricerca in fieri”. Tutto questo ha un legame forte con la memoria, con un passato collettivo. “Appartengo alla generazione del riflusso, che è venuta dopo le grandi lotte per il cambiamento, il movimento operaio, il movimento delle donne. Negli anni ’80 c’è stata una cesura storica che si è tradotta in cancellazione della memoria, un taglio netto tra il ‘prima’ e il ‘dopo’. In tante abbiamo dovuto ricostruire, spesso in solitudine, collegamenti e nessi per rintracciare le radici. Lo abbiamo fatto per necessità e passione, evitando nostalgie. Il problema è che se non capisci da dove vieni, non hai gli strumenti per orientarti nel presente e non sei in grado di progettare per il futuro. Le donne della mia generazione hanno tentato un dialogo con le cosiddette femministe storiche, ma è stato (e continua ad essere) un rapporto complicato, spesso conflittuale”. Il tema della trasmissione alle giovani generazioni è molto dibattuto. “La dimensione ‘accademica’ non può risolvere il problema, invece è determinante la condivisione di lotte comuni, perché solo un rapporto alla pari tra chi ha avuto un’esperienza e chi non l’ha avuta può produrre cambiamento. Va superata definitivamente l’idea dell’esperienza ‘insegnata’ dalle madri alle figlie. E per me la svolta c’è stata nel 2006 con la manifestazione di Milano, ‘Usciamo dal silenzio’, è stata l’occasione concreta per superare alcune distanze trovando un terreno di lotta condivisa”. La memoria collettiva delle donne ha richiesto e richiede tanta fatica, ma in generale l’Italia è un paese senza memoria di sé, dei suoi valori fondativi. È sconsolante. “Torno agli anni ’80: la revisione storica si è tradotta in una profonda rimozione, fino a perdere i riferimenti da cui nasce la Repubblica (la Resistenza, la Costituzione). Sono state recise le radici e non solo per responsabilità della destra, ma anche di una parte della sinistra, e il senso comune è andato cambiando in questi anni. Penso che la sinistra ha sottovalutato questo processo e ora siamo immersi in una nebulosa indistinta. Se in una fase storica il protagonismo delle classi subalterne ha fatto conquiste straordinarie di diritti ed emancipazione, vediamo anche che con straordinaria rapidità si può tornare indietro”. Nel 150° anniversario dell’Unità d’Italia il pensiero va alle donne del Risorgimento, al protagonismo dei giovani che lottavano per il loro futuro....quali differenze con il presente? “Gigantesche, perchè quel contesto di senso politico e culturale potentissimo che ha fatto da cornice alle lotte degli ultimi due secoli, oggi è polverizzato. Quelle donne e quegli uomini si sentivano protagonisti di un’impresa storica che ambiva alla liberazione umana da ogni forma di schiavitù”. La globalizzazione, oggi, potrebbe essere il nuovo orizzonte nel quale riscrivere una storia di giustizia per l’umanità. “Occorre ricostruire un contesto di senso, e non possiamo farlo aggrappandoci al passato rimpiangendolo, noi oggi dobbiamo imparare dal passato ma partire dal presente e dalle sue potenzialità per ridare le parole alle cose. La globalizzazione è certamente una potenzialità perchè mette in rete, collega popoli, persone diverse. Dovremmo essere capaci di far scorrere nuova linfa attingendo speranza da questo drammatico presente. Almeno provare, sapendo che categorie che hanno dato identità e forza prima di noi, oggi vanno rimodulate dentro il mondo in metamorfosi in cui siamo, a cominciare dalle categorie che più ci stanno a cuore come ‘classe’ e “genere’”. Nuove parole e nuove categorie dunque: torniamo a ‘Donne di classe’. “Il patrimonio della cura e della responsabilità verso la vita che le donne hanno accumulato è una ricchezza enorme che può aiutarci anche a superare la crisi della politica attuale, che porta i segni della volgarità, del narcisismo, e di uno strapotere maschile insopportabile e grottesco che vuol ridurre le donne a vallette al seguito del capo. La sfida è irrompere ancora una volta sulla scena del declino e portare, come è avvenuto nei momenti migliori della storia, un bel po’ di disordine”.

 

Profilo face book: donna di classe – mail: donnediclasse@gmail.com



(7 febbraio 2011)

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