Un rock and roll camp: per sentire di che musica siamo fatte!
In un rock camp numerose ragazze si riuniscono per condividere le proprie esperienze musicali, e attraverso la musica finiscono per dedicarsi a qualcosa di molto più impegnativo, cioè la messa in discussione degli stereotipi
Oggi ci troviamo ad intervistare Luca Baldinazzo, responsabile vicentino di un'iniziativa formativa di contaminazione musicale, che dagli States approda in Italia: il RockandRollCampforGirls.
Puoi spiegarci meglio di cosa si tratta?
Certo, il Rock and Roll Camp for Girls è qualcosa che ho scoperto negli Stati Uniti, e a cui ho dedicato la mia tesi di laurea; si tratta di un progetto che aspira al superamento delle diseguaglianze di genere. In un rock camp numerose ragazze si riuniscono per condividere le proprie esperienze musicali, e attraverso la musica finiscono per dedicarsi a qualcosa di molto più impegnativo, cioè la messa in discussione degli stereotipi sulla maschilità e sulla femminilità. Per questo, lo scopo ultimo del rock camp è liberare le coscienze e permettere a ogni ragazza di esprimere semplicemente la propria sensibilità, senza sentirsi di dover incanalare la propria creatività in un dover essere.
Molto interessante. Da quanto dici, sembra che la musica, in quanto spazio "fluido", "sperimentale" e "aperto", sia un ottimo banco di prova esperienziale per queste ragazze. A quali fasce di età si rivolge il Rock camp? E che durata ha? Come si struttura?
Tendenzialmente, il rock camp è un campo estivo di una settimana - per ragazze dai 12 ai 17 anni - in cui vengono offerte lezioni musicali in base ai vari strumenti e non solo, ci sono laboratori di scrittura dei testi, ovviamente, prove, esibizioni dal vivo di artiste ospiti. Tutto questo lavoro, poi, si finalizza in un concerto, che va inteso come una sorta di saggio non competitivo di fine campo estivo e non come un contest, o un concorso. La musica, in un rock camp, infatti, viene vista soprattutto come momento di empowerment.
Dunque, fuori da un clima competitivo, il rock camp cerca di coinvolgere anche quelle ragazze che sono perlopiù digiune di musica e che però vogliono comunque provarsi in una band o nella scrittura di testi, è così?
Sì, esattamente. In una settimana di workshop e di sensibilizzazione alla musica e alla socialità, non è importante saper suonare due note di chitarra, come non è indispensabile saper fare assoli e virtuosismi alla tastiera. Al concerto finale i singoli gruppi suoneranno delle canzoni che hanno scritto di loro pugno su degli arrangiamenti che consentono la partecipazione di tutte le ragazze, e questo è sufficiente a creare quel clima di accoglienza, rispetto reciproco e di condivisione che è proprio l'obiettivo del progetto.
Vorrei farti qualche domanda su questi testi che le band femminili scrivono ciascuna per sé. Di che cosa trattano queste canzoni? A cosa si ispirano? Cosa cercano di comunicare, in genere?
Diciamo che i testi sono molto vari, e spesso hanno dei temi occasionali, possono parlare di argomenti impegnati o disimpegnati, però è vero che spesso raccontano proprio delle relazioni di coppia, di emozioni, di sentimenti. Questo lavoro sui testi delle canzoni, infatti, arricchisce ulteriormente la ricerca espressiva che si fa attraverso gli strumenti, e coinvolge completamente queste ragazze adolescenti nell'autodeterminazione di sé.
Pensavo, infatti, che mentre la musica la vediamo come mezzo "subliminale" di espressione che veicola contenuti solo in parte consapevoli, la scrittura sancisce in modo più incisivo i risultati di questa ridiscussione di modelli, giusto?
Sì, è esatto. Mi viene da dire che nel rock camp c'è un lavoro espressivo che la musica consente "con tutto il corpo", perché da un lato la musica si ascolta e si balla, e il movimento mostra palesemente tanta parte di sé. D'altro canto il lavoro di scrittura dei testi originali delle canzoni permette una messa in gioco più integrativa. Anche se a me non piace distinguere l'esperienza in "corporea" e "mentale".
Nel mio lavoro di scrittura della tesi, infatti, c'è stato un momento importante, quello in cui ho incontrato la "pedagogia queer", una pedagogia performativa che cerca appunto di riportare il corpo dentro i contesti educativi.
Per questo dico che nella testualità non c'è solo, o semplicemente, un'astrazione mentale, ma piuttosto una liberazione consapevole delle inibizioni del corpo. E queste disinibizioni avvengono proprio riportando la "corporeità" al centro della parola.
Ci sono tante autocensure legate al dover essere dei corpi. Il corpo maschile sembra doversi muovere e comportare in un certo modo, diversamente sembra doversi comportare il corpo femminile. Con l'esperienza del rock camp queste cose emergono chiaramente, e palesemente si trasformano quando le ragazze riconoscono in modo immediato e risolutivo la grande varietà dell'umano.
Da quello che hai potuto vedere nei rock camp statunitensi, c'è stata una vera e propria trasformazione che le partecipanti hanno potuto sentire e riconoscere per se stesse?
Assolutamente sì. Il risultato più evidente che vorrei raccontare è stato che alcune ragazze sono riuscite a trovare il coraggio dell'iniziativa: formare un gruppo, partecipare alla banda della scuola, avere un atteggiamento più proattivo e assertivo nello studio e, quindi, nei confronti di attività extrascolastiche. Si poteva vedere che in loro finiva per accentuarsi un atteggiamento più critico nei confronti dei mass media, in quanto riconoscevano distintamente il ruolo costrittivo che le pubblicità e l'informazione massificata avevano rispetto a modelli e stereotipi. Nel caso specifico del Rock Camp di New York, c'erano varie ragazze che avevano avuto, in seguito alla partecipazione, il coraggio di fare coming out con i genitori. Questo è senz'altro molto legato alla realtà di New York, che sicuramente è una metropoli più aperta a queste cose, dato il suo peculiare cosmopolitismo che non si ritrova in realtà urbane più piccole. Infatti, la questione dell'omosessualità non la si incontra così facilmente nemmeno negli stessi rock camp, per ovvi motivi.
Mi sembra che questo rock camp non possa più tardare a raggiungerci qui in Italia... Quando potremo vedere in atto il primo rock camp italiano? E dove?
Mi auguro che un primo esperimento di rock camp italiano possa sbarcare a Trento per l'estate del 2015. Al momento sono in una fase di indagine e sto facendo degli interventi esplorativi sul territorio per avere risposte e feedback. Ma il rock camp è, per il mio modo di sentire, una sicura promessa anche nello scenario italiano.
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