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Un premio Nobel a Torino

Un premio Nobel a Torino

Poesia/ Wislawa Szymborska - La Fiera del Libro di Torino ha aperto con la partecipazione di Wislawa Szymborska, la grande poetessa polacca, Premio Nobel 1996

Mirella Caveggia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2005

La Fiera del Libro di Torino ha aperto il suo orizzonte - quest’anno ampio come non mai («Tutti i libri del mondo» recitava il sottotitolo) - con un’anteprima deliziata dalla partecipazione di Wislawa Szymborska, la grande poetessa polacca, Premio Nobel 1996, autrice di raccolte dai titoli buffi e suggestivi: Vista con granello di sabbia, Discorso all’ufficio oggetti smarriti, Domande poste a me stessa….
Teatro di questo evento a margine della manifestazione non è stato il Lingotto smisurato, ma un palcoscenico vero, quello del Carignano, uno spazio affabile e accogliente, molto più adatto del Salone ad incorniciare l’incontro con questa tessitrice di versi preziosi, pubblicati in Italia da Adelphi e Scheiwiller.
Scrittrice sensibile, molto amata anche nel nostro Paese, questa signora modesta e schiva, che contrasta con grazia sorridente i suoi ottanta e più anni, ha creato con la sua presenza un clima di cordialità e di affetto mettendo in luce la funzione della poesia in un tempo come quello che ci scorre addosso, refrattario agli slanci lirici. Un abitino grigio, il caschetto di capelli candidi con una frangia corta e maliziosa, lo sguardo chiarissimo e pungente: Wyslawa Szymborska è sembrata una figura d’altri tempi mentre offriva all’ascolto i suoi versi bellissimi e pieni di naturalezza. Con un filo di timidezza, l’autrice li ha letti tranquilla e sorridente in polacco, e in quella lingua un po’ aspra e povera di vocali, ha offerto un flusso ininterrotto e lieve di parole, cullando i presenti poco avvezzi a quei suoni, che il ritmo e le cadenze quiete hanno reso quotidiani e familiari. Facendole eco in versione italiana, Mauro Avogadro, una delle più belle voci del nostro teatro, li ha restituiti in tutta la loro limpida verità. L’abbiamo vista muoversi sul palcoscenico con cautela e leggerezza, come se si trovasse a passeggiare in un mondo di fiabe. Ma è proprio questo nostro mondo, nella sua concretezza, nella sua banalità, con il suo carico di felicità e di dolore, ad apparirle fiabesco, a meravigliarla con le sue infinite piccole storie sublimi. Gli interrogativi che spuntano sull’inesausto cammino esistenziale della poetessa polacca non finiscono mai. Lei li formula con un’ingenuità deliziosa e con apparente semplicità, e rivestendoli con la solidità della sua intelligenza e la sottigliezza di un’ironia che deve averla accompagnata tutta la vita, li rende meravigliosamente penetranti. Ne sono un esempio poche righe estratte da una composizione intitolata

‘UN AMORE FELICE’
Un amore felice. È normale?
è serio? è utile?
Che se ne fa il mondo di due esseri
che non vedono il mondo?
Guardate i due felici:
se almeno dissimulassero un po’,
si fingessero depressi, confortando così gli amici!
Sentite come ridono – è un insulto.
In che lingua parlano – comprensibile
All’apparenza.
E tutte quelle loro cerimonie, smancerie,
quei bizzarri doveri reciproci che si inventano –
sembra un complotto contro l’umanità
Chi non conosce l’amore felice
dica pure che in nessun luogo esiste l’amore felice.
Con tale fede gli sarà più lieve vivere e morire.

Hanno incantato i presenti i versi letti nella doppia versione, così pieni di colore e perfetti, armoniosi come una composizione musicale. È affiorato anche il finissimo lavoro del traduttore Pietro Marchesani (professore di letteratura polacca all’Università di Genova), presente in sala, che a queste liriche si è dedicato con passione evidente e dichiarata. E sono apparsi irresistibili i versi sulla cipolla, (“il più bel ventre del mondo”), e sulla «cipollità», natura unica e irrepetibile, o quelli ispirati da un gatto offeso dalla morte di chi conviveva con lui; oppure le cascate di frasi futili e stupide colte in un funerale. Al tocco della sua leggerezza intellettuale ed espressiva, il mosaico di una quotidianità qualunque diventa materia poetica intrisa di fantasia e di gioia. Persino le emozioni più bieche, come l’odio - “sempre efficiente e in piena forma in questo secolo, in ogni istante pronto a nuovi compiti [...] cieco, ma con la vista acuta di un cecchino” - sono apparsi aspetti luminosi di un mondo reale investito di un incanto benefico.
Wislawa Szymborska non appare quasi mai nelle occasioni mondane e negli incontri letterari: la sua modestia, la semplicità e il riserbo la proteggono dalle insidie della popolarità. Ma la poetessa giunta dall’est europeo, che occupa un posto di rilievo assoluto nel panorama della lirica mondiale del Novecento, ha regalato con un eccezionale incontro una serata in cui le parole hanno sorriso rispecchiando un’esistenza vissuta a fondo nei suoi istanti, una vita amata, penetrata, osservata anche nelle espressioni più timide, una vita che lei con rispetto “saluta sempre per prima”.


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