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Un poeta e un prete anarchico contro il pregiudizio e l’ipocrisia di tutti i tempi

Un poeta e un prete anarchico contro il pregiudizio e l’ipocrisia di tutti i tempi

Don Andrea Gallo e Fabrizio De André di nuovo insieme in uno spettacolo ospitato dal Teatro Vittoria di Roma: “Angelicamente Anarchici”

Mercoledi, 30/11/2016 -
Il “prete anarchico” Don Andrea Gallo portato in scena da un intenso Michele Riondino in uno spettacolo sperimentale – molto interessante ma d’impatto non immediato – firmato da Marco Andreoli, che ha arricchito il cartellone teatrale del Teatro Vittoria di Roma: un sacerdote ligure, del tutto sui generis, interpretato da un attore di origini pugliesi, ormai affermato protagonista del (nuovo) cinema italiano (in questi giorni in sala come protagonista del film La ragazza del mondo) ed attivissimo nell’Eldorado delle serie tv. Contraddizione solo apparente, sia perché Riondino ha una solida formazione teatrale, sia perché nella sua già intensa carriera ha spesso dato vita a personaggi ribelli.



Ecco quindi che l’attore nato a Taranto sceglie, per cimentarsi in una performance teatrale, la vita di due genovesi che, in modo diverso, hanno “cantato” le storie degli ultimi: il controcanto alle esperienze del “prete da marciapiede” è infatti affidato alla magnifica poetica musicale di Fabrizio De André, a cui Don Gallo aveva attinto per il suo libro, uscito postumo, "Sopra ogni cosa. Il vangelo laico secondo De André nel testamento di un profeta".



Un Riondino/Don Gallo in abito talare, cappello calcato in testa e l’immancabile sigaro spento tra le dita, intreccia post-mortem, in una sorta di limbo o solitario paradiso, un dialogo surreale con figure simboliche del mondo religioso di cui si può vedere solo la silhouette nera su sfondo bianco: cardinali, vescovi, financo Dio stesso. È sintomatico lo scontro con un’eminenza non meglio precisata, ma che fa pensare al cardinal Bertone, mentre accusa Riondino/Gallo di essere arrogante perché non vuole sottomettersi ad un’autorità che ha da tempo smarrito la via dell’amore per le donne, i poveri, i derelitti, le prostitute, gli omosessuali, i migranti.



Molto meglio cantarne i destini con le parole sublimi di Faber: dal giudice ferocemente vendicativo agli amour fou ciechi e perduti, dalla leggendaria “Bocca di Rosa”, al tragico epilogo della “Ballata dell’amore cieco”, allo scenario pittorico di “Crêuza de mä”, per concludere con il rock-blues di “Quello che non ho”, in cui Riondino – smessi i panni curiali ed indossata una t-shirt nera – si unisce ai bravi musicisti Francesco Forni, Ilaria Graziano (entrambi chitarra e voce) e Remigio Furlanut al contrabbasso - comparsi come per incanto dal dietro le quinte dello spettacolo - per rendere omaggio al cantautore genovese oltre che al sacerdote che, per dirla con l’attore-regista-cantante: "ha scritto il vangelo dell’utopista e la sua vita è la dimostrazione, ha portato la bandiera dei partigiani e dei No Tav, era comunista, anarchico e pacifista, sempre al fianco di chi ha bisogno".



 

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