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Un po’ di deserto in città, un po’ di città nel deserto - di Patrizia Minella *

Un po’ di deserto in città, un po’ di città nel deserto - di Patrizia Minella *

Piccoli ambasciatori di pace del popolo Sahrawi a Sesto San Giovanni

Giovedi, 06/08/2009 -
Siamo stati insieme per undici giorni, da domenica 5 a giovedì 16 luglio. Per la seconda volta la città di Sesto San Giovanni ha accolto i bambini sahrawi, provenienti dai campi profughi di Tindouf, nel deserto algerino. Da anni offrivamo loro una sosta nella colonia estiva di Bibbona, ma ora vengono in città. Sulla lista dei volontari (coordinati anche quest’anno dall’Associazione Dadonnaadonna) c’erano circa ottanta nomi, oltre ai loghi di più di venti associazioni, non solo della città. Dalla Malpensa, sul mitico pulmino guidato da Vilmer, sono arrivati in nove, due ragazze e sette maschi, con Jadri, il loro educatore ed accompagnatore, di cittadinanza spagnola, undici anni di scolarità gratuita a Cuba, ma vita nei campi, con la moglie e due bambine piccole. Nove ragazze/i, dicevamo, di cui tre audiolesi: dai 12 ai 14 anni, dai 25 ai 45 chili…magrini… come hanno detto i medici ( il dottor Aldo Silvani e la dott.ssa Maria Ciccone) che li hanno visitati all’ambulatorio per stranieri della Caritas Salesiani, individuando problemi di salute conosciuti e sconosciuti, proponendo approfondimenti diagnostici e percorsi di cura per il soggiorno nelle Marche e compilando la cartella sanitaria, tradotta in arabo dalla prof Jolanda Guardi , perché possa seguirli utilmente fino ad Algeri. Jadri sa tutto, di ogni ragazza/o e delle loro famiglie: è lui il responsabile del centro disabili di El Aioun.Nel rapporto con loro gioca un’autorevolezza “adulta” che alle nostre latitudini non esiste più. Se tornasse ad accompagnare in città i ragazzi per noi sarebbe come avere una continuità reale del progetto negli anni un punto di riferimento.

Spesso insieme ci si preoccupava del “?que falta?” Cosa manca? Cosa poteva mancare loro?

Prima però diciamo cosa c’è stato in questi giorni intensi di convivenza. C’è stata da parte di tutti noi la tensione a non lasciarli soli. Con discrezione, con delicatezza, ognuno a modo suo, ogni associazione con la sua caratteristica, abbiamo voluto stare con loro non solo essere per loro.

E’ stata un’avventura che, rivista nel DVD miracolosamente assemblato da Anna Botta per l’ultima serata di festa, ha provocato lo stupore dei presenti per la quantità/qualità delle proposte che abbiamo intrecciato per questi giorni. Ci sono stati i prelievi del sangue, operati nell’intimità della scuola don Milani dalle mani esperte e tenere delle due infermiere professionali di ADRA, le visite mediche al centro dei Salesiani in un’atmosfera quasi di festa; abbiamo apprezzato la babelica mescolanza delle lingue nel ricevimento ufficiale in Villa Puricelli Guerra: lo spagnolo fluente del vicesindaco Demetrio Morabito, l’arabo perfetto di Jolanda Guardi, il… linguaggio dei segni di Jadri perché dovevamo andare oltre la torre (di Babele), per costruire ponti di comunicazione, segni di una Sesto fecondamente meticcia.

Poi le tante proposte che ripercorro in breve: la mescolanza con i ragazzi degli oratori della Resurrezione e dei Salesiani, con l’Associazione assistenza domiciliare minori, col doposcuola Paulo Freire, la festa in piazza con Unaltromondonlus, la cena alla cooperazione sestese o con le famiglie ospitali della cascina Baraggia, la gita-bellisssima- in Val Brembana, in un verde che i bambini divoravano con gli occhi e non solo.., la monta al centro di equitazione l’Erbastro, l’incontro con i bambini bielorussi, i giochi in piscina, la gita a Milano, tante altre iniziative. Bisogna ricordare Vilmer, da autista a factotum e amico fedele; Michele che, come sempre, “perde” le sue vacanze per seguirli nelle Marche e poi anche ai campi nel deserto; quelli di noi che hanno passato le notti a scuola con loro, chi un pomeriggio di laboratori (un grazie alle/agli insegnanti della don Milani, in particolare a Morena e al laboratorio di calligrafia araba di Jolanda e Cristina), chi ha messo sul tavolo le sue capacità organizzative, chi quelle culinarie, chi la conoscenza delle lingue. Preziosa ci è stata Munira con la sua presenza e la capacità di parlare, da mauritana, il dialetto hassanja. Per ultima Francesca che, dall’alto dei suoi 18 anni, è arrivata trafelata alla banchina del treno in partenza per un ultimo abbraccio, per esprimere quanto l’hanno segnata i sorrisi, le prese, i placcaggi dei ragazzi. Ci ricordiamo anche altri “Nuovi Sestesi che ci hanno aiutato nell’impresa: Hocine Benchina, italo – algerino che ha offerto il più fine dei couscous e la sua mano di esperto calligrafo, Judith, italo-colombiana, infermiera, e altri che con noi rinnovano la tradizione di una Sesto San Giovanni accogliente e solidale.

Ricordo uno per uno i ragazzi: Isa, il piccolo, dal sorriso dolcissimo, Mahmud la mascotte del gruppo (nonostante il fungo e l’aritmia cardiaca), i due Mohamed incontenibili rappers. Mohamed Yahdiy, dall’amico mauritano ha imparato il francese!! (Comment tu t’appelles? Moi, Je m’appelle Mohamed.); poi Bah muscoli da adulto, occhi e cuore da ragazzo che vuole diventare uomo. Quando indicava il borsellino di pelle in vendita al banchetto batteva l’indice sul petto:quello l’ho fatto io! E Safada, dal sorriso perpetuo, Faddala la silenziosa, Nghia la bella pensierosa, Brahim il desert lover del gruppo? Torniamo alla domanda iniziale, che intercorreva con Jadri: dunque ?Que falta?

Manca tutto, almeno così ci è sembrato vedendoli scendere dal pulmino con i vestiti logori, i soli che possedevano, con i problemi di salute così evidenti, portato della condizione di rifugiati, di profughi in cui vivono.

Non manca niente… dopo aver visto la voglia di vita, la capacità di dare e ricevere affetto e pensiero, l’empatia in cui ci hanno trascinati.

Siamo state/i una buona squadra, come abbiamo scritto nei ringraziamenti a tutti i volontari, ma per dir meglio ognuna/o di noi ha “imparato” qualcosa da questi piccoli, che meritano di vivere e di crescere, come ogni nuovo venuto al mondo, mentre rischia di essere loro negato il primo dei diritti, in nome di interessi economici, in nome del potere che uccide.

Perciò la trama già intessuta tra il popolo Sahrawi e chi ha già deciso che andrà “a vedere” ai campi o chi li aspetterà a Sesto la prossima estate non farà che arricchirsi di fili di mille colori, vecchi e nuovi. Partendo da questi legami vogliamo che continui il percorso di creazione del Coordinamento regionale lombardo delle Associazioni di solidarietà col popolo Sahrawi che ha come capofila il Comune di sesto San Giovanni, perché una voce forte si faccia sentire nei palazzi della politica, affinché sia rispettato il diritto alla vita dei popoli e non l’arroganza dei dittatori.



Patrizia Minella

Direttora CESPI

cespi@cespi-ong.org

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