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Un nuovo patto per dire Noi

Un nuovo patto per dire Noi

Colloquio con Pina Nuzzo - "ripensare in primo luogo le forme democratiche dello stare assieme"

Colanicchia Ingrid Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Marzo 2009

Nel cuore di Roma, presso la sede nazionale dell’Unione donne in Italia, in un freddo pomeriggio di fine gennaio, incontro Pina Nuzzo, delegata nazionale dell’associazione. Mi accoglie con calore e affabilità in questo luogo denso di storia che, oltre a vedere sul nascere quella che domani sarà la politica dell’associazione, custodisce l’Archivio centrale dell’Udi: un patrimonio ricchissimo di manifesti e documenti che raccontano gli ultimi sessant’anni di storia di questo Paese.

Nella mezz’ora che trascorriamo assieme parliamo di violenza sessuata e della Staffetta partita lo scorso 25 novembre, della campagna 50E50 come del Comitato “Quando decidiamo noi” (vedi box): perché l’agenda politica dell’Udi è ormai fitta di impegni e di progetti.

Negli ultimi cinque anni infatti l’Udi è tornata ad essere punto di riferimento per la politica delle donne. Momento di svolta in questo senso, come ci racconta Pina Nuzzo, è il Congresso del 2003: “Con quel Congresso l’Udi si è posta un obiettivo: rinominare il Noi, tornare a dire il Noi come soggetto politico. Questo ha voluto dire ripensare in primo luogo le forme democratiche dello stare assieme”. Oltre a darsi degli organismi di rappresentanza politica (una delegata, un coordinamento, un comitato di garanti) che non aveva da più di 20 anni, l’Udi si convince infatti che, per quanto estraneo alla tradizione politica femminista, il voto è un’assunzione di responsabilità e cambia quindi le dinamiche interne all’associazione.

Ma questo è solo il primo passaggio. Ancora più importante era l’appuntamento che l’Udi aveva con le giovani donne e le immigrate: “Non mancare questo appuntamento - continua la delegata nazionale - voleva dire pensare forme politiche che costruiscono accesso, che danno la possibilità reale a queste donne di partecipare, di essere presenti, di dire la loro. Per fare questo le donne della mia generazione dovevano fare un passo indietro, abbandonare l'idea che quello che noi abbiamo fatto è il meglio: quello che abbiamo fatto andava bene per noi, per la nostra storia”.

E l’Udi, come dimostra il fiorire di iniziative, non ha mancato questo appuntamento. A partire dalla campagna “50E50 …ovunque si decide”, lanciata ormai tre anni fa, l’associazione è riuscita a ritagliarsi un ruolo nell’agone politico. “Con il 50E50 - ricorda Pina Nuzzo - siamo riuscite a spostare non solo la discussione ma proprio il linguaggio: dire 50E50 ha voluto dire rompere con l'idea delle quote, con il meccanismo della tutela e dire che le donne di questo Paese non vogliono tutela”. “E oltre al linguaggio abbiamo modificato atteggiamenti e scelte politiche: se l'Udi non avesse avviato questa campagna sicuramente tutta la fase di dibattito delle primarie del Partito democratico, in merito alla presenza delle donne, non ci sarebbe stata. Poi non importa cosa sia stato realizzato: quello che a noi interessa è di aver influenzato il dibattito politico”.

Una sfida difficile che l’Udi ora sta affrontando da un altro versante, con la Staffetta di donne contro la violenza, pensata per tornare nelle piazze, per andare oltre alla ragioneria delle morti. “Il conto delle morti lo sappiamo - ci spiega la Nuzzo -, come sappiamo che se stiamo in un'assemblea con 100 donne, in base alle statistiche, molte avranno subito molestie o violenze. Ma adesso non ci interessa la conta o la dichiarazione: ci interessa che le donne reagiscano in maniera creativa, che si sposti simbolicamente la violenza dalla dimensione dell'occulto alla visibilità. Questo è il valore della Staffetta e dell'anfora che è diventata un medium attraverso il quale le donne possono dire il loro corpo senza dover necessariamente raccontare la loro storia”. “Non a caso - continua la delegata - abbiamo dipinto l’anfora con simboli della dea madre ripresi dagli studi dell’archeologa Marija Gimbutas, perché sarebbe stato per certi versi indecente qualunque simbolo politico sull'anfora, anche quello dell’Udi, perché quell'anfora voleva rappresentare e sta rappresentando per ciascuna quel corpo che non sa dire in altro modo”.

E il futuro dell’Udi? Girato l’angolo della Staffetta cosa attende l’associazione? “Questo percorso di cittadinanza che abbiamo costruito a partire dal Congresso voleva dire rivedere la rappresentanza politica, la violenza, tutte le questioni relative al generare e questo è stato fatto. Credo - continua Pina Nuzzo - che a conclusione della Staffetta saranno maturi i tempi per un nuovo congresso, perché ci sono scelte che dovremo fare che non possono che essere collettive e che devono includere veramente i nuovi soggetti che sono arrivati all'Udi in questo percorso iniziato nel 2003”.

Il bilancio tracciato sembra estremamente positivo: l’Udi in questi anni è riuscita ad interloquire con le istituzioni rimanendo sul suo terreno, che è quello dell’autonomia, e al contempo a dare il senso che è un luogo al quale si può accedere e che può divenire il proprio luogo di dibattito e confronto.



(10 marzo 2009)

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