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Un mondo di donne

Un mondo di donne

Perù/1 - Il primo appuntamento con il racconto del cammino in terra peruviana

Prota Giurleo Antonella Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Dicembre 2008

Il Perù per Antonella Prota Giurleo, iscritta attiva della Cgil a Milano e abile artista, rappresenta una passione antica. Il viaggio recentemente compiuto le ha suscitato forti suggestioni che ha voluto condividere con ‘noidonne’. SI è immersa nella terra peruviana assaporando calore e colori, cogliendo echi di antiche tradizioni e avvicinando soprattutto donne forti di antiche saggezze. Il suo è stato un cammino di conoscenza e scambio attraverso l’espressione artistica. Le realtà incrociate dicono molto di un paese in transizione in cui le donne sono sempre più protagoniste. Abbiamo chiesto ad Antonella quale era lo scopo del suo viaggio? “Il mio viaggio aveva l’obiettivo di portare il Perù a Milano. L’idea di fondo era quella di creare un canale di comunicazione. Ho quindi coinvolto donne, bambini e bambine qui in Italia con delle performances artistiche e ho mostrato i risultati alle donne peruviane chiedendo loro di ripetere le improvvisazioni. Tutto questo lavoro di espressione artistica partecipativa è diventato un video in cui si intrecciano immagini di donne al lavoro, bambine che partecipano a laboratori con i fili, che per me rappresentano la vita, mani di donne italiane e peruviane che si intrecciano”. Raccontaci dell’Amazzonia, prima tappa del viaggio. “L’Amazzonia è stata per me una grande sorpresa. Prima di tutto c’è da fare un viaggio favoloso e molto lungo: da Lima a Tarapoto in aereo, poi un lungo tratto in macchina fino a Yurimaguas e da lì in lancia fino alle comunità di Chayahuita e di Fray Martín. E’ stata un’esperienza molto forte. Mi aspettavo la selva e le donne e ho trovato le bambine e i bambini. Le donne, che generalmente non hanno frequentato la scuola, non parlano spagnolo e quindi la comunicazione è più difficile; i bambini invece conoscono la lingua spagnola. Mi ha colpito la loro percezione del colore e il rispetto per l’ambiente nel senso più ampio; hanno disegnato e dipinto con i colori che avevo portato dall’Italia senza mai perdere un pennarello, con una precisione e un’attenzione verso ciò che non è prodotto dalla natura che non avevo mai visto. Davvero notevoli”. Che i legami stabiliti con le donne incontrate sono forti e duraturi lo comprendiamo dall’intensità del suo racconto. “In una comunità Shawi della selva amazzonica ho partecipato alle conclusioni di una giornata di confronto tra donne sui temi della salute e della sessualità, organizzato dall’ONG Terra Nuova. Hanno discusso a lungo in gruppo e poi ciascuna ha raccontato alle altre le convinzioni comuni alle quali si è arrivate. Pennarelli, fogli grandi e un treppiede, corpo e voce sono gli strumenti utilizzati. E poco a poco le parole delle donne si dipanano e raccontano della partecipazione, della salute propria e dei figli. Le voci, alcune più incerte, altre stupefacentemente sicure, dicono della necessità della partecipazione come solidarietà tra donne, per aiutarsi l’una con l’altra quando si viene umiliate, colpite, picchiate. La partecipazione ai talleres (laboratori) gli ha permesso di prendere coscienza di sé, del proprio valore come soggetti e, quindi, di affrontare prima, e rigettare poi, i maltrattamenti degli uomini della famiglia.
“Dobbiamo condividere tutto quello che stiamo apprendendo qui con altre donne” è l’impegno di ciascuna. Annoto ciò viene detto, scrivo direttamente in spagnolo per fare più in fretta e cercare di perdermi il meno possibile del sapere acquisito che trovo qui. Riesco, nonostante la frenesia, a percepire in me sentimenti di ammirazione e stupore. Sono nella Selva amazzonica peruviana con donne che, nell’immaginario europeo, sono pensate come “primitive”. E io ritrovo in loro il pensiero femminile più avanzato, una trasposizione concreta del “tra uccidere e morire c’è una terza via, vivere” di Christa Wolf. Non la guerra tra i sessi, ma il raggiungimento, attraverso la presa di coscienza di sè, di quell’autorevolezza che fa scegliere il dialogo con l’altro sesso e non la guerra contro di esso. Con – vincere, non vincere, con – dividere, non dividere. Altre prendono parola. Si affrontano i temi della salute. Si è acquisita coscienza che diverse malattie sono prodotte dal fatto di avere molti, troppi figli. Non sono sufficienti una buona educazione sanitaria ed una corretta alimentazione per salvaguardarsi dalle malattie. Emerge la conoscenza antica, delle piante e dei loro effetti. Sì, ci sono piante che si possono utilizzare per non avere più figli, La Bota è una di queste, ma molte non desiderano bere la tisana ricavata da quest’erba perché è amara. Tra le donne presenti nessuna sa prepararla; l’impegno è quello di tornare alle comunità per parlare con le più anziane, per ricercare il loro sapere e metterne in pratica la competenza. Mi rendo conto di quanto sia difficile rendere il clima di autorevolezza diffusa che circola nel cerchio di donne. Io scrivo “si deve”, “si può” ma loro, le splendide donne della selva, dicono “dobbiamo”, “possiamo”, “vogliamo”. E’ anche questo noi, collettivo ma composto di individualità consapevoli, che permette la scoperta e l’assunzione di forza. E le voci si alternano, con ordine, senza sovrapporsi mai, in un dire che nasce da un sentire comune nel quale ciascuna si ritrova e si specchia. E la consapevolezza continua a circolare, queste donne possono tornare alle comunità avendo forte in sé la decisione di conversare con i propri mariti, di decidere quanti figli avere. Conversare con il proprio marito, mettere al centro la salute del proprio corpo è possibile per la semplice ragione che anche gli uomini amano, hanno un cuore”.

(13 dicembre 2008)

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