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Un iridescente intreccio di acqua e luce

Un iridescente intreccio di acqua e luce

Poesia / Lucetta Frisa - Un libro fatto di vento e di mare, dai quali sembra trarre la vocazione alla fluidità, all’immensamente inafferrabile

Benassi Luca Lunedi, 12/04/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2010

Per capire Lucetta Frisa bisogna ascoltarla declamare i suoi versi a voce alta, con una dizione perfetta e sonante; si comprende allora il senso di una poesia che scava dentro l’anima, solca i percorsi inusitati dello spirito, i luoghi della memoria e del sogno. Si capisce la dimensione di una scrittura attraverso la quale si indagano i recessi, le intimità irrisolte della vita che danno misura e volume alle cose. È una sensazione che traspare anche dalla lettura silenziosa dell’ultima fatica della poetessa genovese, “Ritorno alla spiaggia. Poesie 2001 – 2007”, pubblicata nel 2009 da La Vita Felice di Milano, con una nota critica introduttiva di Gabriela Fantato. Sia detto per inciso come la collana Sguardi delle edizioni La Vita Felice, diretta dalla stessa Fantato e con Sebastiano Aglieco, Corrado Bagnoli e Luigi Cannillo in redazione, sia fra le migliori in circolazione per attività di ricerca e opere proposte, fra le quali si annoverano quelle di Marco Ercolani, Rinaldo Caddeo e Mia Lacomte. Scrive Alessandra Paganardi a proposito della poesia della Frisa: “Un’idrografia dell’anima, un’epifania dell’archetipo materno: questo è il ‘ritorno alla spiaggia’ di Lucetta Frisa, libro polifonico di domande che sembrano agglomerarsi in alcuni componimenti in particolare, spesso tendenti alla forma poematica. Un libro fatto di vento e di mare, dai quali sembra trarre la vocazione alla fluidità, all’immensamente inafferrabile.” Vi è nei versi della nostra poetessa una dimensione marina inquieta e palpitante, che sottende il tema del viaggio e del ritorno come inesausta ricerca del sé e dell’essenza della vita. Non si tratta tuttavia di una distesa liquida da solcare con ulissico coraggio, ma di una superficie liscia, increspata dal ricordo, un luogo dell’anima fatto di blu orizzontali, di abissi sotto i quali si cela il mistero dell’esistenza. Scrive Gabriela Fantato nella nota al volume: “la spiaggia cui allude il titolo del libro di Lucetta Frisa non è certo un luogo reale, una precisa spiaggia cui tornare, ma luogo ancestrale dell’immaginario che richiama alcuni spazi simbolici: è il confine, la soglia tra terra e mare – dove il mare è Acqua dell’origine, uno degli Elementi Primi del mondo per gli antichi – ma è anche casa, da intendersi non come ‘il nido pascoliano’ di riparo e fuga dal mondo, ma come universo iniziale, dove ci fu ‘la prima volta’, dove si sono strutturati il sentire e vedere il mondo.” Il mare, dunque, colto nel momento in cui si fonde alla terra nel rito dell’onda, è luogo del ricordo nel quale si evoca la figura della madre. Non si tratta tuttavia di una poesia memoriale, sterilmente evocativo, ma della ricerca del gesto quotidiano materno, del semplice insegnamento domestico capace di trasmettere l’essenza della generazione, il transito del tempo come un continuo frangersi di flutto.

Lucetta Frisa è nata e risiede a Genova. Numerosi i suoi libri di poesia. Tra i titoli: “La follia dei morti”, (1993), “Notte alta” (1997) “L’altra” (2001), “Se fossimo immortali” (2006) e “Ritorno alla spiaggia” (2009). Sue poesie e prose sono apparse in diverse riviste italiane ed estere e in antologia. Ha tradotto inediti di Henri Michaux, due libri di Bernard Noël, Sylvie Durbec, Alain Borne, James Sacré. È redattrice della riviste “La Clessidra” e collaboratrice di “La mosca di Milano”, e, con i suoi racconti per ragazzi, del quotidiano Avvenire. In coppia con Marco Ercolani ha scritto di narrativa: “Nodi del cuore” (2000), “Anime strane” (2006) e “Sento le voci” (2009).Con lo stesso Ercolani cura la collana “I libri dell’arca”, per le edizioni Joker dove ha pubblicato, in prosa, “Sulle tracce dei cardellini” (2009).

 







Fammi andare oltre la boa

col corpo soffice che nuota

tocca coi piedi il nulla

non affonda per divina grazia.

Dopo le fitte a riva dei sassi

premiami con una bella sospensione

tra flutto e flutto

mentre mi fingo morta.

Annegami se vuoi,

verso quell’accenno di nuvola

che ci guardava passare.







Per vedere la costa bisogna

prendere il largo e poi voltarsi in tempo

prima che l’isola fugga.

Per conoscere altre isole

viaggiamo tra i promontori

le visioni ruotano e una differenza c’è

se un orizzonte solo non ci basta.

Qualcuno ha ricordato Apollo

la sua testa sul mare che affiora

mascherata per parlare alla notte.

Se vedi Ischia nella tua stanza

mentre la scrivi ora

non è come tornare da lei non è

sentirsi più felici o rimpiangerla

è un’altra cosa ancora e ti sorprende, confessalo.



In un certo attimo dicono che tra sera e notte

si vedano di colpo tutte le isole

tutti gli arcipelaghi e le sponde della terra

ma senza luci e velature

una massa informe dietro l’orizzonte

o davanti.







Qui non arrivano voci

il battito marino

impone il suo silenzio.

Ora a mezzogiorno si sta bene

il caldo ipnotico

è strappato da un lieve brivido e chiudo

occhi e taccuino.







Sotto le palpebre

lampi linee

e l’ombra delle ciglia:

il giallo il cupo rosso il verde

squillano

dardeggia il cerchio viola

del sole capovolto.

Sono distesa a riva appena nata

o appena prima di una bella morte

su sfondo azzurro.



(12 aprile 2010)

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