Il libro sulle consigliere di parità/ Intervista alle autrici - Il titolo “La consigliera di Parità ha vent’anni ma non li dimostra” per indicare le difficoltà che l’istituzione incontra nell’affermarsi
Bartolini Tiziana Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2005
Dopo tanto lavoro, ancora un lavoro impegnativo per raccogliere in un libro un percorso lungo venti anni. Perché avete ritenuto utile scriverlo?
Innanzitutto abbiamo constatato che c'erano un vuoto di conoscenza e una certa confusione sui soggetti e le istituzioni operanti in questo settore. La nostra intenzione era celebrare il ventennio dell’entrata in vigore della prima legge italiana che ha istituito la consigliera di parità, cogliendo così l’occasione per fare il punto della situazione. Occorreva chiarire la differenza fra le consigliere di parità professionali e le istituzionali: le prime svolgono attività professionali nel campo della parità e delle pari opportunità nel lavoro presso associazioni femminili, enti, aziende e organizzazioni sindacali; le seconde esercitano in via esclusiva le funzioni attribuite dalla legge, sono designate dai territori di appartenenza e nominate con decreto ministeriale. A queste ultime è dedicata buona parte del libro, perché è indispensabile capire come la figura e il ruolo della consigliera di parità si sono evolute nel tempo, valorizzando il lavoro delle donne che hanno ricoperto l’incarico fino ad oggi, sostenendo e difendendo con determinazione le donne nel mondo del lavoro e valorizzandone il ruolo nella società. Si tratta di un’attività poco conosciuta, nonostante sia stata svolta in un notevole arco di tempo. Infatti la prima normativa è del 1984, la seconda, la l. n. 125/91, ha successivamente stabilito la diffusione capillare delle consigliere istituzionale sul territorio nazionale e ne ha definito i compiti. Infine il d.lgs. n. 196/2000 ha rinnovato e rafforzato il ruolo, riformando le funzioni e prevedendo lo stanziamento di fondi adeguati alle attività istituzionali, ma i primi finanziamenti sono stati assegnati in concreto a livello territoriale solo nella primavera del 2003.
Sulla base della vostra esperienza come si caratterizza l’attuale fase, cioè vi è una preponderanza di una funzione sull’altra?
La funzione promozionale è tutt’oggi prevalente, dal momento che si intende svolgere soprattutto e preferibilmente un’azione preventiva e, laddove necessario, intervenire correggendo situazioni di squilibrio o di discriminazione, nonché promovendo iniziative di conciliazione tra famiglia e lavoro. Per rendere più visibile e operativa la figura, siamo impegnate in iniziative di informazione, formazione e divulgazione, mediante convegni tematici, dibattiti, conferenze stampa, diffusione di depliant e pubblicazioni. Di pari passo si sta sviluppando la funzione di tutela, perché sempre più donne si rivolgono alle consigliere di Parità per informazioni, consigli, oppure per segnalare ipotesi di discriminazione che possono richiedere interventi in via conciliativa oppure, più raramente, in via giudiziale. Generalmente il contenzioso trova soluzioni conciliative e davvero raramente si sono conclusi con sentenza. Anche il ruolo di controllo è svolto soprattutto in funzione preventiva e solo raramente è stato esercitato in funzione repressiva, anche perché proprio ora si sta delineando il rapporto tra il consigliere di parità e i nuovi servizi ispettivi del lavoro ai sensi della recente riforma.
Nonostante il percorso sin qui compiuto dalle Consigliere di Parità, perché nella società ed in particolare tra le donne, non vi è la diffusa conoscenza di questo istituto?
L’esercizio della funzione pubblica della consigliera di parità istituzionale non ha raggiunto la giusta visibilità soprattutto perché fino al 2003 non erano previsti sostegni finanziari alla gestione dell’ufficio. In precedenza l’efficacia delle iniziative dipendeva dalla buona volontà, dalla determinazione e dall’autorevolezza delle persone che ricoprivano l’incarico. Oggi finalmente è terminato il periodo di “volontariato”, perché i fondi ci consentono di finanziare sia azioni promozionali, sia azioni in giudizio (pagando gli onorari agli avvocati che rappresentano le lavoratrici). In questo ultimo anno quindi abbiamo assistito ad uno sviluppo esponenziale di iniziative da parte delle Consigliere ai Parità ai vari livelli, nazionale, regionale e provinciale, rivolte a target diversi, per avvicinare la figura istituzionale all’utenza, realizzare azioni positive, rimuovere stereotipi e discriminazioni.
Secondo voi le Consigliere di Parità potranno trovare nell’Europa un alleato forte su cui contare per estendere e rafforzare il loro ruolo? Su quali altri soggetti, istituzionali e non, potranno contare?
L'Unione Europea è già un alleato forte perché tutte le normative emanate a vario titolo relative alle donne e al tema delle Pari Opportunità (part-time, eguaglianza di retribuzione, percentuale di presenza femminile nel mercato del lavoro ecc) competono alle Consigliere di parità e ne confermano campi e poteri di intervento. Inoltre si consideri che se da un lato il consigliere di parità italiano svolge una funzione pubblica, volta a perseguire l'interesse generale, costituzionalmente rilevante, della realizzazione della parità sostanziale fra uomini e donne nel lavoro, dall’altra il Trattato di Amsterdam ha incluso questo stesso fine tra gli obiettivi fondamentali dell’Unione Europea. Inoltre il criterio del mainstreaming, e quindi la valutazione dell’impatto di genere, è stato incluso in ogni azione comunitaria, che dovrà essere sempre finalizzata anche alla rimozione delle disuguaglianze di genere. Si pensi anche ai quattro pilastri della strategia europea dell’occupazione, tra i quali rientrano la pari opportunità, accanto all’imprenditorialità, l’adattabilità e l’occupabilità. Inoltre la DG 5 e i Fondi strutturali della Comunità Europea offrono alle Consigliere di Parità varie tipologie di sostegno e finanziamento, con le quali possono integrare le risorse nazionali, per l'attuazione di iniziative da concertare con tutti quei soggetti (principalmente enti locali e parti sociali) chiamati a migliorare la quantità e la qualità del lavoro femminile, con la consapevolezza che la realizzazione di uno sviluppo economico sostenibile è possibile solo grazie al prezioso e indispensabile contributo delle donne.
Ritenete che in Italia vi sia una difficoltà oggettiva ad affermare una cultura del rispetto delle norme, difficoltà (o diffidenza) che si vive anche nel mondo del lavoro ?
Escluso in questa sede il tema delle molestie, pur presenti nei luoghi di lavoro, permane un problema di discriminazione indiretta verso le donne nel lavoro, in varie fasi del rapporto di lavoro: dall'accesso alla progressione di carriera, dalla retribuzione alla formazione, fino alla cessazione del rapporto di lavoro e persino nell’ambito previdenziale. E’ piuttosto difficile rimuovere stereotipi culturali che promuovono un modello di donna che è prima e soprattutto madre piuttosto che lavoratrice, il cui ritratto è appunto quello della donna col bambino in braccio, ma non con la corona d’alloro sulla testa, dimenticando che oggi le donne raggiungono i migliori risultati nello studio e costituiscono la maggior parte dei laureati. Per questo le azioni di conciliazione family/work debbono essere prioritarie e dovrebbero aiutarci a promuovere un modello di partecipazione e collaborazione nella gestione della vita familiare tra entrambi i partner, come auspica la comunità europea, ad imitazione dei paesi del Nord-Europa, che in questo modo hanno ridotto l’abbandono del lavoro da parte delle donne dopo il primo o il secondo figlio.
La società italiana è complessivamente piuttosto lontana, oggi, da una cultura di rivendicazioni e d’altro canto assistiamo ad un processo di forte istituzionalizzazione sul fronte dei diritti e dei controlli. Ritenete questa una strada che darà i suoi frutti?
La prevenzione, grazie ad una buona conoscenza dei diritti e delle norme, la concertazione e la conciliazione dovrebbero essere auspicabili in ogni situazione e in ogni settore della società. I diritti fondamentali possono assolvere la loro funzione solo se i cittadini sanno disporne e sono coscienti della loro attuabilità. Questo vale anche per il diritto a non essere discriminati in base al genere, che occorre rendere visibile e assicurarne la giustiziabilità. E’ necessario offrire questa consapevolezza alle donne, facendo loro conoscere le forme di attuazione e garanzia di questo diritto e per questo occorre una buona divulgazione e una chiarezza sul ruolo delle istituzioni.
Non ravvisate il rischio di una duplicazione delle funzioni delle Consigliere di Parità con il ruolo di altri soggetti quali ad esempio gli ispettorati del lavoro oppure dei sindacati ?
No, non vi è alcun rischio di sovrapposizione o duplicazione di ruoli, perché le funzioni sono chiaramente definite in via legislativa. Gli spazi di collaborazione tra le consigliere di parità e le altre istituzioni sono definite nelle linnee essenziali dalla normativa e per le modalità di collaborazione e di intervento si stanno definendo grazie allo sviluppo di buone prassi. Gli Ispettori del Lavoro sono gli unici che possono svolgere il potere ispettivo ed entrare in azienda per rilevare le discriminazioni e le violazione della normativa vigente. Le consigliere di parità possono tuttavia sollecitarne un intervento motivato qualora ricevano segnalazioni che fanno supporre la presenza di fattispecie discriminatorie. Il ruolo delle organizzazioni sindacali a sua volta può essere rilevante sia in azienda (per il rispetto dei contratti di lavoro), sia in sede di stesura degli stessi per il superamento delle discriminazioni. Tra l’altro i rappresentanti sindacali sono spesso consultati ed intervengono per verificare la possibilità di soluzioni conciliative. Per questo la consigliera di parità resta la figura più adatta a sostenere le parti minoritarie, soggette alle discriminazioni, in queste situazioni di conflitto collettivo. In pratica le Consigliere di Parità restano al centro di una rete di relazioni tra istituzioni e soggetti esponenziali di interessi collettivi, che tramite il rafforzamento reciproco dei ruoli, può con successo superare situazioni di debolezza, disagio e discriminazione delle donne.
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