Lunedi, 13/01/2014 - Erano gli anni Sessanta quando il femminismo trovava il suo punto di partenza nel piccolo gruppo di donne riunitosi entro il "circolo dell'autocoscienza". Le donne si consultavano, allora, per parlare di sé, delle relazioni, della propria famiglia, della propria sessualità e, perché no? anche della propria nazione: ma sempre partendo dalle esperienze personali.
Durante gli anni Sessanta e Settanta, dunque, il femminismo partiva dal personale, si serviva occasionalmente di strumenti psicoanalitici, cercava in questo modo artigianale di analizzare le pulsioni, il protagonismo, le fantasie.
Da questi gruppi autocoscienti cominciò a prendere foma un'identità femminista, un'autodeterminazione. Proprio a partire da questi gruppi, del resto, il femminismo ha condotto le sue battaglie e ha strappato con i denti della motivazione alcuni diritti fondamentali precedentemente negati dal maschilismo dominante.
C'è chi sostiene, oggi, dopo le esperienze storiche degli anni Settanta e Ottanta, che il femminismo abbia ormai perso di radicalità; soppiantato da rigurgiti di tradizionalismo.
Può darsi che la forza degli stereotipi sia sottovalutata; può darsi, ancora, che la conservatività del linguaggio sia da ostacolo al mutamento del pensiero.
Tuttavia, ben al di là di queste ipotesi - e soprattutto, ben al di là della logica e della coerenza -, attualmente il femminismo sembra corroso da alcune frange collaterali del femminismo stesso, quasi che il movimento emancipazionista sia scivolato senza soluzione di continuità dall'ortodossia all'eresia.
Quando ad esempio, nel 1990, Camille Paglia (celebre sociologa e antropologa statunitense, nata a Endicott nel 1947) pubblicò il suo aspro "Sexual Personae", le sue "Seducenti immagini" scandalizzarono innanzitutto le femministe.
Senz'altro quelle di Camille Paglia erano provocazioni, affermazioni reazionarie - se non reattive - ad una piega tossica di certo femminismo. Camille Paglia stigmatizzava le “donne ossessionate da diete e ginnastica, circondate da uomini addomesticati che hanno imparato a comportarsi secondo il canone femminista". Ascriveva alla fatuità di queste stesse donne la dilagante omosessualità maschile ("Non è un caso se non ci sono mai stati tanti uomini gay come oggi. Mancanza di interesse per l’avvocatessa o la dirigente bianca laureata a Yale e Harvard, che non ha più nulla di femminile e vive in totale controllo di tutto, ma senza gioia e piacere”).
La stilettata più penosa di tutte, forse, venne da un sottile giustificazionismo del femminicidio. Lo evidenziamo in questi giorni in cui tale crimine è scrupolosamente considerato, e si trova, pertanto, sulla bocca di tutti.
Secondo Camille Paglia, i numerosi casi di femminicidio vanno imputati al collasso del sistema familiare. Quel sistema familiare fatto di padri e fratelli che vendicavano gli sfregi subiti dalle figlie e dalle sorelle (“Un tempo – afferma Camille Paglia – se toccavi una donna italiana, sapevi che il padre o il fratello sarebbero venuti a cercarti per regolare i conti”).
Sono parole che suscitano sconcerto e incredulità. Sono parole che, se non persuadono (perché attecchiscono sul semplicismo della mente), inducono a riflettere su quanto sia faticoso emanciparsi realmente e lealmente, senza scatti d'ira, né primitive adesioni a strane leggi del Taglione.
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