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Un elefante che si muove lentamente

Un elefante che si muove lentamente

India - La società indiana si trasforma e la politica non regge il passo. Una conversazione con Simona Lanzoni (Pangea Onlus) sul tema della violenza sessista e sui cambiamenti in atto

Silvia Vaccaro Domenica, 24/02/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2013

Sono passati quasi due mesi dalla morte della studentessa stuprata sull’autobus a New Delhi, ma in India il dibattito sulla violenza non sembra placarsi. Numerosi gli articoli su carta e in rete che testimoniano quello che accade: strade quotidianamente invase da cortei di manifestanti, che con striscioni e cartelli gridano a gran voce “Basta alla violenza sulle donne!”. A fare da contraltare a questa rivoluzione colorata sono le altrettanto numerose notizie di stupri e femminicidi che si commettono cui la società civile risponde con una reazione netta e accorata rifiutando crimini divenuti intollerabili. Lo conferma anche Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea ONLUS, da anni impegnata in varie zone dell’India in progetti di empowerment femminile. “A seguito dei terribili casi degli ultimi mesi, si sta sviluppando una grande consapevolezza anche negli uomini, che hanno finalmente compreso che la violenza sulle donne riguarda anche loro. Aldilà delle differenze di casta e di disponibilità economica la violenza è tristemente trasversale e si manifesta sotto varie forme: dagli aborti selettivi alla malnutrizione, dalla violenza psicologica a quella domestica, dal mancato accesso all’educazione alla pratica dei matrimoni forzati”. È interessante approcciare il fenomeno da più punti di vista e capire come le pratiche tradizionali riflettano modelli culturali sessisti ma anche la situazione di profonda miseria materiale, e di conseguenza umana, che c’è in molte zone del sub-continente. “I matrimoni forzati avvengono senza che intercorra nessuna scelta da parte delle donne, in molti casi poco più che bambine, minorenni poverissime che vengono affidate dalla famiglia di origine ad un uomo, di solito molto più anziano, affinché se ne occupi e le sottragga dall’indigenza cui sarebbero destinate. Talvolta dietro le scelte dei familiari delle ragazze non c’è un sentimento di vera cattiveria bensì una profonda ignoranza che si unisce alle drammatiche condizioni di miseria. I matrimoni combinati, invece, in molti casi nascono dalla volontà dei ragazzi e delle ragazze che lasciano alle famiglie il compito di designare il loro futuro partner. Ma anche questo sta mutando con l’innalzamento del livello di educazione delle ragazze che non vogliono sposare un uomo meno istruito di loro”. La società si trasforma, spinta dalla crescita economica e da nuovi modelli, e la politica finora non ha retto il passo. E proprio sul tema della violenza, un ruolo di cruciale importanza verrà rivestito nei prossimi mesi dalle istituzioni, sfidate nel delicato ruolo di migliorare la legislazione attuale e di riuscire ad implementarla correttamente. Simona Lanzoni ha seguito le evoluzioni.“A seguito delle proteste in tutta l’India, tre giudici hanno messo in discussione il quadro normativo legato alla protezione della violenza maschile e hanno lasciato che la società civile mandasse i suoi input per migliorare la legge. Al momento, sono in fase di elaborazione del testo che verrà presentato alle Camere e approvato, ci auguriamo, entro il 2013. C’è da chiedersi se veramente i politici ascolteranno le volontà espresse dalla società civile e se le donne elette, che non sempre hanno dimostrato una grande sensibilità rispetto al tema della violenza, si impegneranno a sostenere il cambio di mentalità divenuto inevitabile e urgente”. Al documento presentato dalla società civile ha partecipato anche un partner di Pangea, che ha redatto un documento su “donne, disabilità e violenza”, temi su cui ruota uno dei progetti della ONLUS milanese. Come talora accade, infatti, le discriminazioni possono sommarsi tra loro rendendo la vita di alcuni soggetti ancora più complicata e questo è il caso delle donne disabili. In India la loro realtà è estremamente difficile poiché vengono considerate unicamente un peso per le famiglie: non si sposano, non contribuiscono al reddito, hanno poco accesso (statisticamente meno degli uomini disabili) al cibo e alle cure, e vengono più facilmente abusate da parenti o conoscenti nella più bieca tolleranza. Pangea è in prima linea dal 2007 con un progetto che coinvolge circa 3.000 donne disabili, che vivono negli slum di Culcutta o nella giungla limitrofa. “Abbiamo iniziato dalla ricerca dei soggetti dai coinvolgere che pian piano hanno formato dei gruppi e poi delle federazioni. Il percorso di empowerment ha previsto la formazione di queste donne su temi come la salute, la percezione del loro corpo, la consapevolezza di poter esercitare i loro diritti. Una volta sicure e consapevoli, le donne hanno iniziato ad organizzare corsi ed eventi di autofinanziamento e spettacoli per la sensibilizzazione delle comunità, perché l’esercizio dei diritti non può in alcun modo staccarsi dalla dimensione economica. Puntiamo a rendere le donne indiane sempre più autonome, sostenendole nell’accesso al microcredito e alle possibilità del commercio equo internazionale. La vera emancipazione per queste donne sta nella possibilità di dimostrare alle famiglie di essere, nonostante la disabilità, soggetti autonomi economicamente. Noi di Pangea siamo già riuscite in questo intento con le donne della zona semi desertica del Kappal, a sud dell’India, dove in 4.500 si sono riunite in cooperative, due delle quali si sono trasformate in banche distrettuali, capaci di investire nei servizi sociali per il diritto alla salute e all’educazione delle comunità”. Usando una metafora di Simona, l’India è un grosso elefante che si muove molto lentamente: si può solo sperare che la direzione presa negli ultimi mesi lo conduca verso una società più giusta e libera per le sue donne.



Foto di Ugo Panella



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