Iori Catia Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2007
Le donne oggi si ammalano di disagio mentale e sono perlopiù spaventate da un settore, quello degli psichiatri e degli analisti, governato dai maschi e dal potere medico. Le battaglie più difficili sono proprio quelle tese ad affermare che il malessere femminile non affonda le sue radici in cause biologiche (i cicli), né fisiche, né naturali, ma si lega al concetto di ruolo femminile e al quotidiano logorio delle donne bistrattate tra cura e lavoro, tra doveri coniugali e materni.
Il dato parla chiaro: più di tremila donne, di età e condizione sociale differenti, con diverse patologie che vanno dalla depressione alle nevrosi conclamate, dalle psicosi alle situazioni di crisi personale, consumano più psicofarmaci così come risulta anche dalle statistiche internazionali. Le cause della malattia sono allora da ricercarsi nelle modalità con cui la donna, attraverso l’educazione, i modelli, i mass media vive la propria condizione di genere. Il ruolo materno è presente nell’antiruolo, in quello della donna emancipata ed in carriera: le donne, anche se lavorano, non possono dimenticarsi di attenersi ai canoni della femminilità. Di disagio si soffre quando una donna, per affermare se stessa e le proprie esigenze di autoaffermazione, si ritrova sola, sia rispetto agli uomini, sia rispetto alle altre donne che non condividono le stesse scelte. Ma altrettanto malessere si produce quando il modello materno e femminile, generalmente condiviso, quello della ablativa disponibilità dell’essere al servizio dei bisogni degli altri, è latamente rischioso per l’integrità psichica della donna perché porta all’annientamento e alla distruzione di sé e delle istanze di riconoscimento, dall’altra l’autoaffermazione inducono sempre più spesso al disconoscimento sociale come donna e inducono all’isolamento. Insomma all’origine sta sempre la tendenza diffusa a negare il malessere e le sue ragioni che stanno spesso nel sovraccarico di lavoro familiare e nel disconoscimento di interessi e bisogni personali. Ci è dato di affermare che il disagio psichico di norma scaturisce dal mancato riconoscimento di una condizione di oppressione quotidiana. Epperò mi preme dire che il malessere non è già malattia: quel sintomo, quella crisi deve darci la spinta per interrogarci su ciò che vogliamo nel profondo di noi stesse. In fondo una notte oscura non è un problema da risolvere o una malattia da curare ma una potenziale fonte di ricchezza. Ed è proprio questo il nocciolo del viaggio notturno di tante donne: rinascere a se stesse, alla riscoperta della propria esistenza. La promessa è entusiasmante, ma comporta anche gravissimi rischi. Rifiutando una vita anonima, ognuna di noi, ne sono convinta, coglie l’occasione di partorire la propria unica e irripetibile individualità.
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