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Un cortometraggio spiega cosa significa non avere figli in Egitto

Un cortometraggio spiega cosa significa non avere figli in Egitto

Di recente uscita, il cortometraggio “La madre di un bambino mai nato” racconta cosa prova una donna che non riesce a rimanere incinta nella società egiziana

Martedi, 31/05/2016 -
Più di una volta abbiamo parlato di come la famiglia sia uno dei pilastri fondamentali su cui si basa la società egiziana. Un ragazzo ed una ragazza si sposano prima di tutto per costruire una casa ed averi dei figli. Al di là dell’amore, è questo quello che in età adulta devono fare.

Ma cosa succede se dopo il matrimonio la donna scopre di non potere rimanere incinta? E cosa succede se questo avviene in un piccolo villaggio, lontano dalle grandi metropoli egiziane?



Nadine Salib, una giovane regista egiziana affronta l’argomento nel modo più sincero possibile, indagando paure e timori di Hanan, una donna che per dodici anni ha tentato di avere un figlio con un cortometraggio,  “La madre di un bambino mai nato”. “Ho lavorato su questo film a lungo. Tutto è iniziato dal fatto che non capivo come fosse possibile che una donna desse al proprio figlio un nome con un significato tanto triste come è quello di “colui che non è mai nato”. Quando ho saputo il motivo, sono rimasta senza parole” spiega Nadine Salib.



"La madre di colui che non è nato" racconta la storia di una donna che felicemente sposata, sente però quella mancanza come una pena" racconta la regista. Il lungometraggio mette in realtà in evidenza una tradizione molto diffusa in Egitto dove le donne sposate vengono socialmente riconosciute con i nomi dei loro primogeniti.



È attraverso un figlio che vedono riconoscersi nel mondo e nelle comunità nelle quali vivono, tanto che anche chi è considerata incapace di mettere al mondo un figlio prende il nome di “madre di colui che non è mai nato”, dando ad problema medico una connotazione del tutto negativa e denigratoria della donna che in questo modo soffre due volte. E' il caso di Hanan che pur di diventare madre, decide di sottoporsi a tutto, a rituali magici e cure alternative tribali, andando oltre anche al suo sfinimento psicofisico.



Hanan è sposata, il suo matrimonio è un matrimonio felice, anche senza un figlio. Ma a lei non basta, vuole essere madre a tutti i costi. Nel film attraverso interviste e confessioni intime, la donna racconta quello che prova e quello che pensa la società di lei. E' chiaro come ancora una volta è la società a definire i ruoli e se questi non sono rispettati, è inevitabile l'esclusione sociale.



Trattanto un tema delicato il film ha guadagnato l’attenzione degli operatori del settore in importanti manifestazioni cinematografiche, come l’International Documentary Film Festival di Amsterdam, il Documentary Film Festival di Salonicco, il Yamagata Film Festival in Giappone, il Film Festival di Abu Dhabi ed il Festiwal AfryKamera in Polonia, aggiudicandosi anche dei premi, come quello per il migliore film documentario di Abu Dhabi nel 2014, il premio speciale al Festival di Amsterdam e quello per il miglior documentario in Polonia, entrambi nel 2016 con la motivazione che il film racconta con rispetto quello che prova Hanan. Attraverso i suoi occhi, le sue parole ed i suoi gesti, si parla di lei, è vero. Ma nello stesso momento si parla anche di tutte quelle donne egiziane che ancora oggi pensano che l’essenza femminile passi solo nell’essere madri. Mentre in realtà essere donna significa anche altro. Molto altro.



Foto di selfportraitvideoproject

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