Nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia ricordare la storia di Italia Donati consente di riconoscere un giusto tributo ad una donna che, vissuta sul finire del XIX sec.,fu vittima della violenza maschile, nonchè della società e
Giovedi, 24/11/2011 - Per questo 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, mi è sembrato opportuno dedicare tale ricorrenza ad Italia Donati, una maestra toscana vissuta nel XIX secolo. Proprio nell’anno in cui si commemora il 150° anniversario dell’Unità d’Italia parlare di lei significa riconoscere un giusto tributo ad una delle prime vittime del sistema estremamente iniquo per le insegnanti, introdotto dalla legge Casati (1859) con la quale si organizzava il servizio scolastico nazionale.
La storia di Italia Donati è quella di una donna che non riuscì a resistere alle molestie perpetrate ai suoi danni dal datore di lavoro ed alla violenza psicologica subita da un’intera comunità a lei particolarmente ostile. La vicenda umana di Italia si inquadra nell’ambito della realtà scolastica dell’epoca disciplinata dalla prima normativa nazionale particolarmente vessatoria per le donne, non solo per le differenze salariali rispetto agli insegnanti, ma a monte per le difficoltà oggettive che le aspiranti maestre si ritrovavano ad affrontare per conseguire la tanto agognata “patente”, che avrebbe consentito a loro di lavorare come educatrici nelle scuole elementari. A tali ostacoli si aggiungeva anche la norma che consentiva ai sindaci di assegnare gli incarichi presso gli istituti dei comuni che amministravano.
In questo contesto si ritrovò Italia che, pur provenendo da una famiglia povera, dopo aver con molta tenacia conseguito il titolo di studi, ottenne la possibilità di insegnare a Porciano (Li). Il sindaco di quel paese, tal Raffaello Torrigiani, che conviveva con due donne da cui aveva avuto rispettivamente dei figli, era uso ospitare le maestre nella propria abitazione, per poterle meglio importunare e farle scendere a compromessi, pur di conservare la cattedra da lui stesso attribuita. Non gli fu certo facile accettare l’onta di una donna che resisteva alle sue molestie, soprattutto quando Italia decise di abbandonare la sua villa. Si vendicò, allora, in modo bieco, facendo circolare nel paese alcune lettere anonime in cui si evidenziavano i particolari della relazione tra lui e la maestra. Lo scandalo fu facile a sollevarsi e tanto fu il rancore che gli abitanti del luogo riversarono su Italia che l’insegnante fu costretta ad andar via da Porciano dopo aver ottenuto con molta difficoltà un’altra sede scolastica. Prima di abbandonare il paese tentò anche di dimostrare la sua illibatezza con perizie mediche, che peraltro le furono negate. Pur lontano da lei Torrigiani continuò il pressante ed incessante stillicidio di pettegolezzi sul conto di Italia, culminante in un biglietto anonimo in cui si parlava di un aborto da lei praticato per impedire che venisse alla luce il frutto della colpa. Fu proprio quest’ultimo episodio di violenza psicologica a determinare la donna nel fermo proposito di togliersi la vita, appena ventitreenne, se non dopo aver scritto al caro fratello: “io sono innocentissima di tutte le cose fattemi………sono vittima dell’infame pubblico e non cesserò di essere perseguitata che con la morte; prendi il mio corpo cadavere e dietro sezione e visita medico-sanitaria fai luce a questo mistero perché la mia innocenza sia giustificata”. Si gettò nel fiume ed annegò, ma prima dell’estremo gesto appuntò tra l’abito e le sottane alcune spille da balia, di modo che non la ritrovassero morta con le gambe scoperte. La notizia dello scandalo, che seguì dopo la divulgazione dei risultati dell’autopsia, si diffuse per tutta l’Italia e finanche Matilde Serao scrisse un editoriale su come morivano le giovani maestre. La stesse gente, che precedentemente l’aveva condannata al pubblico disprezzo, raccolse il denaro per la celebrazione del funerale d’Italia Donati nel suo paese nativo, ed il Ministro della P.I. elargì ai genitori un sussidio. Persino il Corriere della Sera si interessò con un reportage alla storia della giovane donna e donò ai familiari una lapide in cui era scalfito: “ A Italia Donati, maestra municipale di Porciano,/ bella quanto virtuosa/ costretta da ignobile persecuzione/ a chiedere alla morte pace/ e l’attestazione della sua onestà”.
Era il 4 luglio 1886, una data ben lontana dalla realtà odierna, ma così drammaticamente vicina perché racconta una storia che potrebbe essere riferita anche ai nostri giorni. Elena Gianini Belotti, autrice del libro “Prima della quiete” (2003) dedicato ad Italia Donati, imbattendosi nella sua vicenda umana si chiese perché la maestra non avesse preso distanze dal sindaco e soprattutto perché non se ne fosse andata via da quella villa prima del tempo dovuto. Perché era una donna di ieri che, come quelle di oggi, non riescono a trovare in sé la forza di resistere alla violenza, sia fisica che psicologica degli uomini che si relazionano a loro. La data del 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è per noi l’occasione per fare il punto della situazione di un fenomeno sempre più rilevante per i destini di quelle donne bisognevoli di azioni forte e concrete, che riconoscano a tutte loro il diritto di essere libere di vivere in piena sicurezza, sia in famiglia che in ogni altro contesto sociale.
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