Intervista a Isabella Rauti - Il 2007 è stato dichiarato dalla Commissione europea Anno delle pari opportunità per tutti. Ne abbiamo parlato con una delle massime autorità in politiche istituzionali di parità, la Consigliera nazionale Isabella Rauti
Maristella Lippolis Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Giugno 2007
Ritengo che la decisione della Commissione Europea di dichiarare questo 2007 Anno delle Pari Opportunità per tutti possa rappresentare un'occasione per programmare iniziative utili, superando gli inevitabili rischi di riti celebrativi. E' molto importante che tutti prendano piena consapevolezza dello scarto ancora esistente tra parità formale e descrittiva e la parità sostanziale. La Commissione Europea ha individuato sei categorie, o meglio, sei condizioni personali considerate a rischio di discriminazione: il genere, la religione o la diversità di opinione, la razza o l'origine etnica, la disabilità, l'età, l'orientamento sessuale. La scelta nasce da una interpretazione finalmente estensiva del concetto di pari opportunità che comprende e supera la parità o la non discriminazione tra i generi. Ciononostante però, al di là dell'importante riconoscimento dell'esistenza delle cosiddette discriminazioni multiple, quelle che interessano cioè uno stesso soggetto sulla base di molteplici caratteristiche, bisogna sottolineare che l'aver inserito il genere insieme alle altre categorie, e quindi averlo assimilato alle altre condizioni soggettive, può comportare il rischio che la questione del genere perda la centralità che invece deve conservare.
Cosa secondo lei dovrebbe essere al centro dell'attenzione di questo 2007? La richiesta che mi sento di fare agli organismi e istituzioni di riferimento è di porre una grande attenzione ad alcuni temi: le discriminazioni subite dalle donne a causa della maternità, sia nelle vecchie che nelle nuove tipologie contrattuali; la scarsa tutela della maternità nelle forme del lavoro flessibile; la necessità del passaggio dal lavoro a tempo determinato o precario al lavoro stabile; la piena emersione del fenomeno dei differenziali retributivi e salariali; una riflessione sul "riordino" degli organismi di parità; la riconsiderazione di tutta la partita dei congedi parentali con un'ottica più rassicurante; la centralità della questione irrisolta della conciliazione tra tempi di lavoro e di vita nell'agenda politica degli stati membri e dell'Italia, che deve adattare il suo modello di stato sociale ai nuovi bisogni delle società post fordiste.
Parliamo allora dell'agenda di lavoro delle Consigliere di Parità che, pur nell'autonomia di ciascuna, seguono alcune linee di lavoro comune. Certo. La Rete ha individuato alcune questioni che ha ritenuto centrali e privilegiate nella propria azione: le discriminazioni basate sul genere, che rappresentano l'impegno principale di noi tutte anche in base ai compiti definiti dalla legge; i bilanci e le statistiche di genere come strumento di lettura e di trasparenza delle scelte politiche e economiche; le politiche attive del lavoro e i modelli di organizzazione del lavoro, all'interno dei quali deve trovare piena cittadinanza il principio della flessibilità che non può essere coniugato con quello della precarietà; il part time e la necessità di accogliere il principio del ripensamento e della reversibilità, per evitare che un istituto contrattuale utile si trasformi in un boomerang che condiziona le possibilità di carriera e le condizioni di lavoro; la questione ormai riconosciuta in tutta la sua gravità dei differenziali retributivi e salariali, andando a svelare dove si annidano, e cioè nelle varie forme di salario aggiuntivo. E infine una questione assolutamente rilevante, anche se forse non rientra pienamente nei nostri compiti istituzionali, e cioè il tema della rappresentanza di genere in tutti i luoghi della decisione politica.
Può fare brevemente il punto in tema di lavoro delle donne? Se è vero che si continua a registrare un costante incremento dell'occupazione femminile, è altrettanto vero che l'incremento negli ultimi tempi si sta contraendo; inoltre molti dei nuovi ingressi nel mercato del lavoro rientrano nelle modalità lavorative a corto respiro, e quindi queste rischiano di essere l'unica forma di lavoro per tantissime donne diventando una modalità strutturale della partecipazione femminile al mercato del lavoro.
Torniamo in conclusione sul tema della rappresentanza di genere o presenza paritaria, come la definiscono alcune, nella politica e nelle istituzioni... Posso dire di aver sempre condiviso iniziative tese al riequilibrio della rappresentanza di genere in tutti i luoghi della decisione politica, istituzionale e economica. Di recente ho aderito, anche se a titolo personale in mancanza di una riunione della Rete, al Manifesto per la democrazia paritaria nei Comuni italiani lanciato dall'ANCI in vista delle imminenti elezioni amministrative; ho aderito anche alla campagna promossa dall'UDI "50&50 ovunque si decide". Adesioni che nascono dalla convinzione che solo un'equa rappresentanza femminile in tutti i livelli istituzionali possa correggere le asimmetrie di genere e contribuire a scelte politiche rafforzate da un'ottica di mainstreaming; favorire il radicamento della parità sostanziale nell'accesso e nella permanenza nel mercato del lavoro, nelle progressioni di carriera, nella parità retributiva a parità di lavoro, e la ricerca di soluzione finalmente efficaci nella irrisolta questione della conciliazione tra i tempi della vita e quelli del lavoro.
Con una larga presenza femminile nei luoghi dove si decide, tutte queste questioni così importanti per la vita delle donne, e non solo per loro, potranno trovare soluzioni eque ed efficaci. La strada è ancora lunga! Basti pensare a due indicatori significativi di un innegabile deficit tutto italiano: il 16% di donne nelle istituzioni nazionali, che non sono né il 50% di cui parliamo né il 30% che è la soglia minima fissata dall'ONU per garantire la rappresentanza di genere; e il dato dell'occupazione femminile, pari a poco più del 45%, che non né il 50% né il 60%, che è l'obiettivo stabilito dalla Strategia Europea di Lisbona come obiettivo da raggiungere dagli Stati membri entro il 2010! Voglio concludere con l'augurio che questo anno delle Pari Opportunità contribuisca a rilanciare e rafforzare tutti quegli organismi che la parità la vogliono realizzare e praticare davvero, e non solo teorizzarla retoricamente.
(19 giugno 2007)
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