Parliamo di Bioetica - La sovrappopolazione umana è una delle principali cause dei problemi del pianeta....
Anna Mannucci Sabato, 27/04/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Maggio 2013
Specie selvatiche che si estinguono, ambienti naturali sempre più ridotti in tutto il mondo, crisi delle zone umide e delle foreste. Non c’è più spazio per gli elefanti e per i gorilla in Africa, per le tigri in India, per gli oranghi in Borneo, per gli orsi in Trentino e per altre migliaia, centinaia di migliaia di animali. Anche quando le cose sembrano andare bene, si va sul grottesco, come quando si parla di “ritorno del lupo” in Italia e in realtà si tratta di poche centinaia di individui… a confronto con 50 milioni e più di umani! Dovremmo condividere la Terra con le altre specie e invece la stiamo invadendo in modo irrazionale e poco lungimirante. Noi umani dovremmo essere i custodi della natura e delle altre specie animali, e non i padroni assoluti e devastatori del mondo. La popolazione umana, anzi la sovrappopolazione umana, quasi mai, soprattutto in Italia, viene citata come una delle principali cause dei problemi del pianeta. Siamo passati dai circa 2 miliardi e mezzo degli anni ‘50 ai più di sette miliardi alla fine del 2011. Una crescita abnorme, in pochissimo tempo, innaturale, si potrebbe dire, con tutto quel che evoca questo aggettivo così controverso. Sovrappopolazione umana non significa soltanto troppa gente, come nell’immagine di una stanza sovraffollata (che comunque già è fastidiosa). Significa che queste persone consumano acqua, mangiano animali (da qui la caccia alle specie rare e il proliferare assurdo degli allevamenti intensivi), coltivano piante, eliminando spazi selvaggi che spetterebbero alle specie selvatiche; usano le macchine, automobili e trattori, che consumano combustibili e inquinano, si scaldano bruciando legno o altri materiali. Per non parlare dell’invasione e distruzione del territorio, un fenomeno che gli ecologisti chiamano antropizzazione: costruzione di case, palazzi, strade, autostrade, centri commerciali, ferrovie, dighe, skilift, villaggi turistici, navi, aeroporti e molto altro. Che cosa resta alle specie selvatiche? Ben poco, qualche riserva o parco dove sopravvivere. Spesso si tratta di animali quasi prigionieri, strettamente sorvegliati dagli umani (che comunque non riescono a fermare i bracconieri). Si pensi, per esempio, alla pratica di ammazzare gli animali “eccedenti”. In Italia si chiama proprio “controllo” e significa ammazzare gli animali considerati di troppo (di troppo rispetto a cosa?); internazionalmente si chiama culling, che fa meno effetto di uccisione a freddo. Bisognerebbe allora prendere coscienza di questa situazione e divulgare la necessità della riproduzione responsabile, invece di piangere per il crollo demografico. Certo in Italia questo problema sembra non ci sia, perlomeno tra gli italiani. Ma nel mondo, in generale, il problema esiste ed è drammatico. Le politiche di poche associazioni umanitarie che incentivano l’uso di anticoncezionali e la sterilizzazione volontaria sono malviste. Mentre, chissà perché, non sono malviste le politiche anche statali che vogliono le donne costrette a rimanere di continuo incinte involontariamente perché prive di informazioni e di strumenti rispetto alla gestione del proprio corpo. Troppe Ong e Onlus terzomondiste non divulgano l’uso dei contraccettivi e preferiscono chiedere soldi per i bambini che muoiono di fame. Tutti dovrebbero invece acconsentire alla diffusione di una cultura della riproduzione responsabile, su cui è d’accordo, almeno nelle sue dichiarazioni ufficiali, anche la Chiesa cattolica, che insiste soprattutto sulla sessualità responsabile, necessaria premessa della riproduzione responsabile (anche se ovviamente rimane contraria all’aborto volontario e, in modo meno drastico, agli anticoncezionali). Ma il maggior freno alle nascite è la scolarizzazione femminile, la responsabilizzazione delle donne. E infatti la riproduzione dissennata è tipica di culture in cui le donne, le bambine, sono sottomesse e non hanno possibilità di scelta, neanche rispetto al marito. Ancora peggio quando ci sono scelte politiche che considerano le donne delle fattrici (uso apposta questa orribile parola di solito riservata alle femmine di animali allevati costrette a fare figli fino allo stremo), per produrre nuovi soldati o nuovi adepti (come in Italia succedeva durante il ventennio fascista). Nel discorso quotidiano, nei mass media, bisognerebbe anche smetterla con la cultura del piagnisteo, del compatimento per chi fa troppi figli e non sa come mantenerli. Il “disoccupato da dieci anni con quattro figli piccoli” non va compatito, ma indicato come irresponsabile. Lo stesso giudizio per “la coppia senza soldi che da un anno vive in macchina e da due mesi aspetta un bambino”. Sono disponibili molti anticoncezionali e, nei casi previsti dalla legge, l’interruzione volontaria di gravidanza. Lo Stato dovrebbe aiutare seriamente chi fa uno o due figli. Oltre questo numero, lo Stato non dovrebbe fornire aiuti ulteriori. E se uno è ricco, buon per lui. Una persona dovrebbe riprodursi solo quando è in grado - non solo economicamente - di mantenere e prendersi cura del figlio.
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