Mondiali di calcio - "Se la mia squadra vince non festeggio comprando una schiava". È lo slogan della campagna di prevenzione della tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale lanciata in Italia e rivolta ai tifosi
Chiodo Karpinsky Raffaella Lunedi, 05/07/2010 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2010
Una festa. Il gioco del calcio e i Mondiali che mettono a confronto le squadre più forti di tutto il mondo, dovrebbero essere solo una festa.
Lo sport dovrebbe essere solo e soltanto una festa, uno strumento, un mezzo per stare bene. E invece risulta che durante i Mondiali di calcio, come durante tutti i grandi eventi sportivi (e non solo) sin dalle prime Olimpiadi classiche di Atene, portano con se un fenomeno negativo che colpisce la dignità e di cui sono vittima le donne.
Si tratta del fenomeno della tratta finalizzata allo sfruttamento sessuale e alla prostituzione forzata delle donne. Secondo gli studi e le osservazioni di organismi internazionali, come l'OIM Organizzazione Mondiale delle Migrazioni ed altre agenzie delle Nazioni Unite, ci sono tre principali forme di traffico criminale: donne, droga armi. Quella degli esseri umani e delle donne nello specifico ha il triste primato in questa lista.
La cosa che più angoscia è l'associazione fra eventi che appunto dovrebbero essere solo un momento di gioia e passione sportiva. Invece per migliaia di donne, e soprattutto ragazze minori, a volte vere e proprie bambine e bambini, rappresenta l'entrata in un mondo di sfruttamento, umiliazione, brutalità. Forme inaccettabili di vecchia e nuova schiavitù.
Il Sudafrica e la regione dell'Africa Australe - che ha ospitato con orgoglio per conto di tutti i popoli del continente africano - l'edizione 2010 dei Mondiali di calcio, sono teatro da anni
della traffico di esseri umani. Dunque sarebbe sbagliato dire che il fenomeno si è affacciato solo a causa di questa manifestazione sportiva. Purtroppo però si può affermar,e e con cognizione di causa, che in vista dell'arrivo di 500.000 persone tra tifosi, appassionati, calciatori e staff delle squadre nazionali di tutto il mondo, il "mercato" delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani, si è immediatamente attivato per presentarsi pronto all'appuntamento generoso di opportunità di speculazione e guadagni da capogiro.
A denunciarlo con estrema serietà e attenzione una rete, la WLSA (Women and Law in Southern Africa) che opera per i diritti delle donne a livelli regionale e nei singoli paesi. In particolare la WLSA del Mozambico, paese che vede una tradizionale emigrazione verso il Sudafrica, soprattutto di uomini destinati a lavorare nelle miniere e che anche in questo caso dei Mondiali ha visto svilupparsi un allarme speciale verso la tratta delle donne. La WLSA insieme ad altre associazioni e reti della società civile e in collaborazione con le istituzioni nazionali e internazionali, hanno lanciato una campagna "Red Light 2010" finalizzata a realizzare una campagna di prevenzione attraverso la sensibilizzazione e l'informazione diretta l'opinione pubblica soprattutto in quelle aree dove il disagio e la povertà sono più forti e per questo rappresentano l'ambiente più fertile per adescare ragazze e destinarle alla tratta dietro la falsa promessa di lavoro e studio che poi si spesso si trasforma in brutali sevizie e violenze. Mesi di stupri per essere preparate allo sfruttamento della prostituzione forzata.
Sui giornali locali si sono seguiti in particolare gli sviluppi di un processo che ha visto finire in Tribunale - grazie alla denuncia di due ragazze mozambicane - le aguzzine che le avevano trascinate in Sudafrica proprio a questo scopo. Per questo, soprattutto nei due anni che hanno preceduto i Mondiali, è stato realizzato un particolare lavoro di prevenzione con una formazione specifica rivolto all'apparato preposto al controllo delle frontiere, così come del sistema giudiziario. Ad indicare il grado di allarme il fatto che in ogni aeroporto delle capitali dei paesi della regione, anche nell'ultima sala dove avveniva l'imbarco, si stagliava un manifesto che si rivolgeva
alle donne con una domanda: "un amico, un conoscente ti ha promesso un lavoro in un altro paese? Non fidarti. Chiama subito il numero..", a seguire l'elenco di numeri verdi corrispondenti ad ogni paese. Lo scorso anno, durante la Confederations Cup, la prova generale dei mondiali di calcio si è trasformata nel rodaggio delle reti del crimine. Alcuni episodi hanno messo in evidenza quanto era già in atto. La UISP e il suo coordinamento donne, hanno deciso perciò di sostenere il lavoro della WLSA in Mozambico, supportando la campagna di sensibilizzazione dell'opinione pubblica e dei media in particolare. Ha fatto altrettanto rivolgendosi agli operatori dei media in Italia e il mondo dello sport. Il fenomeno della tratta infatti coinvolge direttamente il nostro paese e anche per questo la UISP ha lavorato con la cooperativa sociale Be free che da anni è impegnata nella lotta contro la tratta e la violenza sulle donne. La lotta alla violenza la tratta, il razzismo verso i migranti, le
migranti, sono un impegno fondamentale della UISP in Italia e contemporaneamente in Mozambico e Sudafrica dove altre donne e organizzazioni come la WLSA si battono ogni giorno per un mondo
migliore, nella società e che è pure sport.
C'è un dato - che colpisce per la durezza del suo significato - al quale non possiamo sfuggire: in Italia si calcolano dieci milioni di clienti della prostituzione e dunque della tratta. Vuol dire che un uomo su tre è coinvolto. Non possono essere marziani. Sono i nostri, padri, mariti, fratelli, fidanzati o figli. Perciò ci riguarda. Sono coloro che dopo un partita possono festeggiare una vittoria. Per questo lo slogan scelto per la campagna in Italia rivolta ai tifosi e agli appassionati di calcio recitava: "SE LA MIA SQUADRA VINCE NON FESTEGGIO COMPRANDO UNA SCHIAVA". È un monito per tutti, nessuno escluso.
Raffaella Chiodo Karpinsky *
* Referente multiculturalità e integrazione del Dipartimento Internazionale UISP
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