Domenica, 29/06/2014 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo...
Le recenti esternazioni del Prefetto di Perugia, con riferimento alla diffusione della droga tra i giovani, paiono sconcertanti per molte ragioni. Ma, particolarmente, ci colpisce il punto in cui egli, dopo essersi rivolto – seppur sempre in maniera discutibile – alla famiglia, dichiara, testualmente, che "se la mamma non si accorge che suo figlio si droga è una mamma fallita e si deve suicidare".
Ci colpisce il fatto che, in questa analisi, la madre sia dipinta come un’eterna “mamma”, ovvero figura accudente e curante con un carico di responsabilità esclusivo nei confronti dei figli – tanto che il padre non viene nemmeno nominato – e tanto grande da non poterle perdonare di non essersi accorta del problema del figlio.
La sanzione che il buon Prefetto immagina per questa madre, che è, a suo dire, una “fallita” – come se alle madri si potesse dare il voto – è addirittura il suicidio.
Infatti, evidentemente, la donna che non è capace di dare alla società un figlio “perfetto” non merita di stare nella società, deve scomparire. E nemmeno merita l'onore di una punizione: se la deve autoinfliggere.
Ebbene, il quadro pare chiarissimo e nessuna scusa potrà accampare, il Prefetto, a giustificare simili raccapriccianti dichiarazioni.
Tuttavia, non si credano, queste, le esternazioni di una persona “particolare”.
A prescindere dal giudizio che possiamo dare su di una Istituzione dello Stato incarnata da una persona, quel che pare più preoccupante è che, purtroppo, questa impostazione non è isolata né originale.
In queste poche parole, infatti, si porta a sintesi un pensiero diffuso ed ancora fortemente radicato, ovvero che la responsabilità morale, educativa e formativa dei figli ce l’hanno le madri. E ce l’hanno SOLO le madri, tanto che i padri, appunto, non vengono nemmeno evocati.
Peccato, però, che questa enorme responsabilità non venga in alcun modo riconosciuta né valorizzata, a livello sociale e culturale, oltreché giuridico. Al lavoro di cura - che è lavoro di educazione e formazione, appunto -non viene, infatti, attribuita alcuna dignità, in quanto è "lavoro che non è un lavoro".
Peccato anche che i padri, che da tempo rivendicano un ruolo da protagonisti nel rapporto con i figli, tanto che la legge li considera automaticamente condividenti l'affidamento dei figli in caso di separazione, non vengano chiamati anch'essi a pagare il "fallimento" con la vita.
Forse che il peso della condivisione vale solo quando conviene agli uomini, magari per non dover pagare l'odioso contributo al mantenimento dei figli? Magari per invocare la PAS contro le madri? Magari per giustificare l'assassinio della moglie e dei figli, come ha fatto di recente il "marito" di Motta Visconti?
In effetti, questa è la realtà: lo Stato italiano vuole ancora oggi il sacrificio delle donne, la loro abnegazione, il loro silenzio.
E le esternazioni del prefetto disvelano la schizofrenia del nostro paese: da una parte centinaia di leggi sulla parità tra uomo e donna, dall'altra burocrati che garantiscono il controllo sulle donne e il mantenimento dello status quo ereditato.
E se qualche volta si lasciano scappare qualche frase 'poco opportuna', ci penserà un altro zelante burocrate a punirli in maniera esemplare, così garantendo a sua volta la conservazione del sistema e il suo falso equilibrio. Magari senza fretta...si tratta pur sempre di servitore dello Stato!
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