Martedi, 20/05/2014 - Non è nostra abitudine incentivare la visione di manifesti come questo, che non è solo irrimediabilmente volgare, è offensivo.
Siamo costrette perché qualsiasi descrizione non renderebbe l’idea e non spiegherebbe a sufficienza il perché ci indigna. Potremmo dire che racchiude in sé quanto di peggio abbiamo visto negli ultimi tempi.
Non perché la donna sia seminuda, in vista non c’è una donna con il suo corpo, ma solo una parte di esso, quella in cui si concentrano i caratteri sessuali secondari.
Nessuna città, e in questo caso la Città di Ravenna, merita questo scempio e le sue donne lo hanno mostrato e dimostrato con forza e intelligenza.
Il nome MOTO TOPA è assolutamente coerente con il messaggio visivo, che sta a significare semplicemente: questa parte (che vedete) di donna, in ogni donna, in qualsiasi donna, è appetibile, da cavalcare come una moto.
Diversamente da come si esprimono alcuni giornali, astuti organizzatori e utenti, il punto dolente non sta certo nella seminudità del corpo.
Noi pensiamo che un corpo femminile, un corpo umano, sia bello da vedere, sempre.
Ma siamo stanche di vederlo virtualmente fatto a pezzi, nelle immagini come nel linguaggio, “una bella topa” sta per “una parte di ragazza desiderabile” e non “una bella ragazza”.
Non siamo certo ai dettami del “Malleus Maleficarum” dove venivano prescritte le torture per le presunte streghe, condannate a decapitazioni e smembramenti, ma così come accade che l’acido venga lanciato in faccia a una donna colpevole solo di dire NO, lo scopo di queste amputazioni virtuali è lo stesso, ovvero quello di togliere dignità e identità alla persona umana.
Non è certo il desiderio maschile a promuovere né chiedere queste immagini, bensì una sorta di pericolosa compulsione ad aggredire la dignità della persona donna, riducendone la complessità nei soli organi sessuali.
Il topo, anzi, la topa: la smorfia del mustelide mal disegnato mentre emerge dai jeans è aggressiva e irridente, pericolosa, un “topo-topa” che, in contraddizione con se stessa, sicuramente odia le donne tanto quanto le donne ne hanno ribrezzo. In questa immagine dunque la ripugnanza femminile sarebbe stata vinta dall’animale, tanto da ospitarlo nei pantaloni.
Le immagini pubblicitarie che espongono solo le parti sessuali del corpo femminile sono un attacco violento alla dignità delle donne.
Come più volte messo in evidenza, questa immagine che usa un pezzo di corpo femminile non è neppure pertinente a un raduno di motociclisti, ingiustificabile perché l’oggetto di desiderio e dominio c’è già ed è la motocicletta, una macchina, non un brandello di persona.
Riguardo alle scelte di comarketing dell’organizzazione, la presenza di un regista e del suo film dedicato allo stalking, questa scelta significa che l’organizzazione dovrebbe essere più che consapevole della violenza implicita dell’immagine del manifesto, e quindi vani e patetici sono i tentativi di porvi rimedio con quattro chiacchiere nel mezzo di qualche baldoria.
La volgarità si completa con quanto esce dalla bocca di un consigliere comunale di Forza Italia, che definisce le femministe (e tout court tutte le donne che si indignano) malmostose, trinariciute e insoddisfatte. Già, “insoddisfatte” … vecchio trucco e vecchia storia! Frasi non troppo lontane da quelle che dicono alle donne maltrattate gli uomini maltattranti e recidivi.
Questo motoraduno deve cambiare immagine, sia questa che l’altra, che propone una fanciulla discinta accanto a una motocicletta. Per correre in moto sono infatti prescritti il casco e la tuta, a meno che i campioni che gareggiano non indossino a loro volta il solo slip, i boxer e calzini con garrettiera.
Per il Gruppo UDI-città libere
(dalle pubblicità lesive della dignità delle donne)
Anna Maria Spina, Antonella Eberlin, Carla Cantatore
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