Lunedi, 13/02/2017 - Riceviamo e volentieri pubblichiamo
UDI VERSO L’8 MARZO
L’UDI (Unione Donne in Italia) è parte della mobilitazione NONUNADIMENO perché è stata tra le associazioni promotrici del percorso che ha portato alla marea del 26 novembre a Roma e oltre, sul quale ha attivato il dibattito dentro e fuori l’associazione.
Vogliamo promuovere insieme a tutte le donne e le realtà che oggi si riconoscono nel percorso NONUNADIMENO la mobilitazione per l’8 marzo, da sempre per noi giornata di lotta, alla quale non abbiamo rinunciato nei momenti di più alta partecipazione, come nei momenti di ridicolizzazione meschina o indifferenza nei confronti di questa data.
Non dimentichiamo le lotte delle donne venute prima di noi e siamo consapevoli che la cancellazione è sempre funzionale alla permanenza del patriarcato che ci costringe, anche subdolamente, a ricominciare da capo come se fossimo sempre donne smemorate e senza storia.
Oggi, nella fase del neoliberismo trionfante e del tentativo di restaurazione violenta, espresso da Trump e da tutti i suoi miseri epigoni ovunque, riteniamo che la mobilitazione possa diffondersi solo se ogni donna si sente protagonista in prima persona e consideriamo l’esistenza di associazioni come la nostra, dei Centri antiviolenza, di tutti i collettivi, di gruppi vecchi e nuovi contro il sessismo e per l’affermazione della libertà delle donne, l’espressione di una nuova forza politica raggiunta dal Movimento in Italia, nonostante la censura della scuola, il silenzio dei media, la svalutazione della politica tradizionale, l’inconsapevolezza di tanti e tante.
Non vogliamo perdere nessuna e se non sarà sciopero generale di 24 ore come abbiamo richiesto (ma che non si crea a comando) dovremo essere noi ancora più determinate e creative nella nostra mobilitazione dell’8 marzo e per questo continueremo il dialogo con tutte le donne in tutti i luoghi delle nostre vite.
Per questo ci sentiamo ancora più impegnate a costruire un Piano femminista contro la violenza in tutti i luoghi possibili, con una pratica di confronto, di ascolto reciproco e relazione dialogante per rendere visibili autorevolezza ed efficacia della nostra azione.
Costruire un piano significa andare oltre i principi e gli slogan per affrontare la concretezza della realtà e mutarla.
Riteniamo che il documento con gli otto punti scaturito dall’assemblea di Bologna registri complessivamente sentimenti, desideri e mete condivise ma ci sono affermazioni che non ci convincono del tutto anche se sono posizioni di maggioranza nelle assemblee.
Manteniamo le nostre perplessità sul punto che riguarda la salute e sulla parte che, parlando di “aborto libero” e di abrogazione dell’obiezione dei medici, sembra alludere, forse al di là delle intenzioni, alla richiesta di abrogazione della Legge 194 che la prevede. Cosa che i molti misogini e reazionari in Parlamento sarebbero felici di accogliere positivamente. Non a caso attaccano la legge da 40 anni: i fondamentalisti l’attaccano da quando è stata varata, mentre politici ed obiettori provvedevano a boicottarla negli ospedali rendendola inefficace con grave danno per le donne.
Noi ci siamo sempre state per difendere il diritto delle donne all’autodeterminazione e denunciare obiezioni di struttura, riaprire reparti chiusi per mancanza di non obiettori fino a pretendere le liste pubbliche dei medici obiettori e la regolamentazione del loro mancato impegno che penalizza oltre alle donne anche i medici non obiettori.
Riteniamo che l’obiezione di coscienza vada regolamentata contro gli obiettori che finora sono stati privilegiati anche nel loro opportunismo, in funzione di una piena applicazione della Legge 194, anche perché ogni garanzia di libertà che viene tolta può ritorcersi prima di tutto contro di noi. Per noi questo vuol dire aborto gratuito e sicuro nelle strutture pubbliche, altrimenti rischiamo di riconsegnarlo a pagamento agli studi privati, dividendo le donne tra chi può e chi non può abortire per ragioni economiche. È materia da 40 anni troppo delicata e complessa perché sia possibile anche solo rischiare equivoci e confusioni. Ed è materia che dovremmo conoscere tutte, assemblee o non assemblee, perché ogni esigenza di principio deve comunque fare i conti con la realtà per poterla davvero mutare.
Anche sui consultori, se parliamo di quelli pubblici e li vogliamo riportare alla loro funzione di servizi per la sessualità e la libertà della procreazione, cura della gravidanza ecc., dobbiamo sapere come sono stati svuotati dalla politica dall’aziendalizzazione e dall’eccesso di funzioni senza mezzi e personale, e come sono “privatizzati” in tante regioni in modi diversi.
Siamo anche convinte che nell’elaborazione delle iniziative di contrasto alla violenza vadano coinvolte tutte le associazioni impegnate da decenni su questa fenomenologia strutturale, sia a livello territoriale che nazionale, insieme ai centri antiviolenza, anche per evitare che sotto questo nome si presentino associazioni senza storia, attratte dai finanziamenti e con finalità lontane da quelle del movimento delle donne.
Possiamo e dobbiamo discutere, ma non siamo all’anno Zero della politica delle donne e sappiamo che le lotte di un intero secolo sono il nostro patrimonio, anche se i libri di storia le hanno ignorate e i media le hanno spesso deformate o rimosse per cui non ci meraviglia che anche tante donne non le conoscano.
Ma noi le difendiamo perché sono un patrimonio a cui possiamo attingere per ricordare i cambiamenti ottenuti con le nostre lotte, non ripetere errori e costruire intorno alla mobilitazione dell’8 marzo e del Piano il consenso del maggior numero di donne possibile.
Unite siamo una forza possente, una marea, divise o incapaci di ascoltarci rischiamo di essere una meteora.
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