Memorie presenti - Considerazioni e consigli di una 'che c'era'. E che c'è. Intervista a Marisa Rodano
Bartolini Tiziana Lunedi, 11/07/2011 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2011
Una storia personale, ma non proprio, considerato il ruolo che per alcuni decenni ha svolto ai vertici dell'UDI, al tempo Unione Donne Italiane e oggi Unione Donne in Italia. Marisa Rodano, tra le fondatrici dell'UDI e presidente dal '56 al '60 e prima donna vicepresidente della Camera, ha raccolto ricordi e materiali con la sua consueta precisione e chiarezza e ci ha regalato "Memorie di una che c'era. Una storia dell'UDI", libro edito da Il Saggiatore. "Volevo fornire dei materiali che potessero essere utili a chi volesse poi fare una storia, invece ho finito per scrivere un racconto in cui offro una visione personale dei fatti".
A chi intendi rivolgerti con questo 'racconto' umano e politico al femminile?
Le giovani oggi usufruiscono di diritti e hanno una nuova consapevolezza di sé, ma ignorano attraverso quali processi e battaglie tutto ciò è maturato. L'impressione è che non solo ci sia stata una cesura tra la storia dell'emancipazione e il femminismo, ma che delle elaborazioni e delle battaglie compiute non sia passato il testimone alle nuove generazioni. Siccome sono convinta che non c'è futuro senza memoria storica mi sembrava utile fornire una ricostruzione, sia pure parziale, di quello che è stata l'UDI nella storia delle donne e della democrazia italiana.
Se guardi al cammino compiuto, quale bilancio fai, oggi?
Il bilancio è sostanzialmente positivo: sul terreno della conquista di una legislazione che traducesse in pratica i principi della Costituzione, (eguaglianza nella famiglia, autodeterminazione nella maternità e nell’interruzione volontaria di gravidanza, parità di retribuzione, accesso all'istruzione superiore, al lavoro), su quello dell'acquisizione da parte delle donne della coscienza di avere dei diritti, della propensione a uscire alla casalinghità e svolgere un'attività lavorativa, conseguire istruzione superiore e accedere alle professioni e carriere e su quello di una maggiore autonomia nel compiere le proprie scelte di vita. Tutto questo è frutto di battaglie politiche a cui abbiamo dato un contributo fondamentale.
E' ricorrente nel libro il riferimento all'indipendenza dai partiti. A pagina 210, in particolare, affermi che è stata maggiore l'influenza dell'UDI sull'elaborazione del PCI in merito alla questione femminile che non quella dei comunisti sulla politica e sulle scelte dell'UDI. Perchè hai sentito questo bisogno?
E' un peso che ci portiamo dietro, generato anche della critica del movimento femminista che ci accusava di non essere autonome e di omologare le donne agli uomini. Invece la nostra storia è segnata dalla ricerca, dalla conquista e dalla difesa dell'autonomia. Mi sembrava fondamentale ricordarlo. L'idea che abbiamo sempre perseguito, era l'unità delle donne al di là delle differenze politiche, religiose o sociali. Nell'acronimo dell'UDI la parola forte è UNIONE.
Scrivi che oggi l'UDI "proclama apertamente di non collocarsi né a destra né a sinistra, ma solo dalla parte delle donne". Che senso dai a questa affermazione?
E’ una constatazione. Per me autonomia significa partire dal punto di vista delle donne e, guardando il mondo con occhi di donne (come si è detto a Pechino), giudicare le politiche economiche, politiche e sindacali. Dal punto di vista delle donne compi scelte che non sono necessariamente di destra o di sinistra. Naturalmente sovente trovi che le idee e gli atti della destra sono peggio di quelli della sinistra nei confronti delle donne. Questo fa sì che ci sia più spesso una sintonia con la sinistra, il che non equivale all’adesione a uno schieramento politico.
Non ti sembra che oggi con alcune donne di destra appare difficile, se non impossibile, costruire alleanze?
Non c'è dubbio. E’ un problema nuovo ed è serio. Usciamo da un ventennio di propaganda individualista e consumista che, oltre a produrre una estrema frantumazione, ha dato valore all'esteriorità. Molte donne hanno introiettato questi modelli.
In passato, forse, trovare sintonie era più facile perchè le lotte erano per diritti elementari. Oggi le questioni in gioco coinvolgono una visione più complessiva del mondo e della società...
Ci sono due questioni. Le donne sono soggette ad un contrattacco: conquiste costate anni di lotta oggi sono a rischio, se non addirittura perse. In Italia la percentuale di donne occupate è una delle più basse d'Europa; la parità di retribuzione è spesso una chimera; la presenza delle donne nelle cariche pubbliche, nelle istituzioni è esigua; una serie di diritti che le donne hanno conquistato oggi non sono esigibili a causa della precarietà nei rapporti di lavoro che colpisce in modo particolare le ragazze. Tale precarietà è aggravata dalla crisi economica, ma era preesistente allo scoppio della crisi finanziaria mondiale. L'altra è il problema della società maschile, che ponemmo fin dal '64. Nella democrazia moderna che nasce dalla rivoluzione francese il carattere maschile è fondativo. Sono convinta che un passo ulteriore si fa solo se si adegua il sistema sociale ai due generi, il che vuol dire superare la divisione tra il pubblico e il privato dove il pubblico spetta all'uomo e il privato alla donna, non subordinare la conservazione della vita al sistema produttivo. Un riconoscimento della sfera privata vuol dire rivedere gli orari, i moduli della formazione, l’organizzazione del lavoro. Invece oggi la società è impostata per uomini che hanno una donna alle spalle che pensa a loro, che si deve fare carico di un doppio lavoro, extra-domestico e di cura.
Ormai molti autorevoli economisti giudicano il PIL insufficiente come sistema di valutazione, poi ci sono le contestazioni nel mondo arabo. Non ti sembra che questo sistema 'maschile' cominci a vacillare?
Sì, se i movimenti delle donne uscissero dallo stato di frammentazione in cui si trovano che li porta ad occuparsi prevalentemente di questioni specifiche, e se riuscissero a trovare pochi obiettivi sui quali unirsi per incidere sull’assetto di questa società. Da questo punto di vista il 13 febbraio è stato un nuovo inizio, una cosa straordinaria. Sono convinta che quelle piazze abbiano contato e che i risultati delle elezioni amministrative senza quella mobilitazione non ci sarebbero stati. Le donne ancora una volta hanno dato il segnale premonitore.
Quella che occorre è quindi la capacità di uno sguardo più 'alto', di una visione più generale, politica. L'UDI potrebbe dare un contributo in tal senso?
Sì, perché poter fare riferimento a tanti gruppi locali rende l’UDI, a differenza di altri movimenti, un’associazione articolata, presente su tutto il territorio nazionale, capace di una visione più generale. Senza violare l'autonomia delle UDI locali, occorrerebbe però individuare regole e forme che superino i residui dello spontaneismo e dell’assemblearismo degli anni '80. Oggi, di fronte a problemi nuovi, c'è bisogno di organismi che abbiano funzioni chiare e definite. Già al congresso del 2001 dicemmo 'abbiamo imparato a dire io e adesso impariamo a dire noi'. Ecco, questo 'noi' dovrebbe adesso strutturarsi e acquisire forme che rendano effettivamente possibile un lavoro più collegiale, una circolazione maggiore delle idee, una maggiore incidenza sulla scena politica e sociale.
Quali potrebbero essere le parole chiave del prossimo congresso dell'UDI?
Il lavoro e la lotta contro la precarietà, pari accesso a tutti i posti di decisione, uno stato sociale al servizio delle donne, continuare la battaglia contro la violenza alle donne. E interrogarsi su come modificare la società maschile.
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