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UDI / Gli stupratori e le attenuanti della Cassazione

UDI / Gli stupratori e le attenuanti della Cassazione

Il comunicato di UDI (sede nazionale) e di UDI Napoli, UDI Bologna, UDI Monteverde e UDI Romana 'La Goccia'

Sabato, 04/02/2012 -  
Gli stupratori  e  le attenuanti della Cassazione

Vittoria Tola e Grazia Dell’Oste, responsabili della sede nazionale UDI


 

La Cassazione ci aveva già offerto sentenze incredibili come quella indimenticabile dei Jeans. Ma ha deciso di superare se stessa.

Infatti la sentenza della Cassazione n 4377/12 rappresenta un segnale rassicurante verso violentatori e femminicidi ed un’ ulteriore esortazione al silenzio rivolta alle vittime.Un altro segno che dimostra, ancora una volta, che lo Stato non sostiene le vittime della violenza sessuata mentre appare molto comprensivo nei confronti di uomini violenti e stupratori.

Il mancato sostegno alle vittime da parte dello Stato, mentre molti si interrogano farisaicamente perché le donne non denuncino, non ha però impedito alle donne di  ricorrere, in modo crescente, alle vie legali per difendersi dalle violenze, questo grazie al sostegno delle altre donne e soprattutto perché le associazioni femministe e le femministe organizzate sono state capaci di diffondere una diversa cultura dell’esistenza e della convivenza. Ma di questa cultura i poteri istituzionali  non sanno e non vogliono sapere nulla.

La violenza rivolta alle donne solo perché sono donne, da sempre, nel nostro paese coincide con una cultura che rappresenta un  interesse cieco e pervicace, teso a confermare il diritto degli uomini a disporre del loro potere fin nelle pieghe più nascoste della convivenza familiare.

Ancora, nel terzo millennio, per queste ragioni, il sentire comune diffuso dalle donne, il loro protagonismo nella vita è vissuto come un contropotere da parte di uomini e di  istituzioni immobili. Tutte abbiamo avvertito di essere bersaglio di mortificazioni e punizioni collettive. Sono le punizioni che “la democrazia senza rappresentanze” sa perpetrare senza armi belliche, attraverso l’emarginazione dal lavoro, l’occultamento delle risorse prodotte dalle lavoratrici nel lavoro dipendente e nel lavoro di cura e che  conduce molte, troppe donne  verso una povertà che mina la soddisfazione dei bisogni primari e le costringe alla dipendenza da altri. Che tollera e scusa la violenza degli uomini. Che la rappresenta in forme seduttive nella pubblicità e nei mass media degradando le donne.

La violenza cresce in visibilità, nonostante la pervicacia dei governi nel volerla nascondere o nello strumentalizzarla in modo xenofobo, a mano a mano che le donne raggiungono la consapevolezza  del perché di questo fenomeno e la coscienza del diritto, grazie a chi continua a svelare la natura della sofferenza atavica, imposta a metà della popolazione mondiale e a diffondere la conoscenza  di una cultura differente e della necessità di  regole scritte e di politiche efficaci. Che in Italia non esistono.

Anche per questo, in questi anni, le regole sono state oggetto di irrisione da parte di chi doveva tutelarle  ed anche per questo  in questi anni alle leggi si sono volute sostituire invenzioni propagandistiche.

Le sentenze emesse dai tribunali ordinari, l’andamento delle udienze, e soprattutto la lunghezza ed i rinvii dei procedimenti, mostrano che la certezza della pena è stata ridotta ad una leggenda, anche quando si tratta di femminicidio conclamato. È stato un tentativo  di  far tornare nel privato un reato in cui le responsabilità pubbliche sono ormai certe. Il segno primo è stato l’allontanamento del movimento delle donne dalle aule, rendendo quasi impossibile la costituzione di parte civile da parte delle associazioni femministe.

Noi conosciamo bene le leggi che  hanno risposto, in circa trent’anni,  ai milioni di donne mobilitate per ottenere una legge efficace nel contrasto alle violenze maschili. Conosciamo bene la capacità di certi giudici nello sfuggire, di fronte ai reati commessi contro le donne, a principi che considerano irrinunciabili per altri reati: la pericolosità sociale è il paradigma escluso quando si parla di stupro.

Ognuno di quei ragazzi, beneficiari della sentenza della Corte di Cassazione, ha stuprato la vittima, e lo ha fatto quando il complice ha terminato il suo turno: stupri singoli in uno stupro collettivo di una bambina. Anatomia di un crimine, terminata la quale ci si dimentica di rimettere i pezzi insieme e ciò che doveva essere un’aggravante diventa un’attenuante.  

È come se in un processo alla criminalità organizzata, l’esattore del pizzo vedesse la propria imputazione trasformata in “mendicità molesta”.

Guardando alla cronaca dal 2006 (perché non esistono dati ufficiali) ad oggi gli stupri di strada in gruppo sono perpetrati in occasioni di feste e ricorrenze come per riproporre la fisionomia della  celebrazione di un rito. Un rito di iniziazione, di ammissione nella comunità di coloro che vogliono  e sanno far capire alle donne, a cominciare dalle giovanissime, chi comanda.

Per i giudici della Cassazione tutto ciò è una concomitanza di eventi singoli. Per la Cassazione la complicità evidente di clan familiari ed intere comunità strette intorno agli stupratori, non costituisce contesto per la reiterazione del reato. Non rappresenta un pericolo sociale.

Quei giudici hanno dimenticato la vittima e hanno dimenticato di dimostrare che la legge amministra la giustizia e che deve essere uguale per tutti.

Anche chi siede in Parlamento ha dimenticato la cosa più importante, e cioè che occupa un luogo che non è destinato a raccogliere l’esibizione della loro indignazione momentanea, ma è la sede della predisposizione di leggi e atti per  una società più equa. Di fronte a questa vergognosa sentenza avrebbero dovuto, i Parlamentari indignati, tardivamente e finalmente, decidere che la giustizia da rendere alle vittime della violenza maschile deve essere scritta con chiarezza nelle leggi  dello Stato  e non essere lasciata alla percezione soggettiva dei giudici.

Per questo, noi donne dell’UDI, chiederemo un incontro urgente con il presidente della ANM  e  con la Ministra della Giustizia Severino. E non ci fermeremo a questo perché vogliamo capire se nel concetto di giustizia le donne sono comprese. 

Vittoria Tola e Grazia Dell’Oste, responsabili della sede nazionale

 

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UDI NAPOLI, Stefania Cantatore



Per gli stupratori (di gruppo) il carcere è previsto, ma non obbligatorio

Per le vittime il carcere non è previsto, ma è obbligatorio

 





La sentenza della Cassazione che ha stabilito la possibilità dell'applicazione di pene alternative per i violentatori che nel 2006 stuprarono in gruppo una dodicenne. Dei tre delinquenti, i due imputabili già all'epoca (avevano 15 e 17 anni), sono oggi dei maggiorenni. Hanno goduto all'epoca dei fatti l'ampia solidarietà cittadina e delle loro famiglie.

La vittima di uno stupro, come tutte le vittime della violenza sessuata, ha bisogno di giustizia; quando la cerca nella sola via legittima per ottenerla, nella maggior parte dei casi, ottiene una sentenza che rispecchia la cultura del paese e la limitatezza di leggi, leggi che non hanno mai messo al centro dell'interesse collettivo la salvezza delle donne-

Un collage di leggi approvate col peso dell'intoccabilità della famiglia, risente di un'ideologia di fondo, ovvero che lo stupro e tutta la gamma dei crimini commessi dagli uomini sulle donne, solo perchè donne, siano reati di scarsa pericolosità sociale.

La legge rappresenta davvero il sentimento, l'interesse e la cultura, viste le pratiche relazionali e sessuali di una buona parte dei parlamentari, che la politica ha imposto al paese grazie al potere che esercita nei media.

Anche in questo contesto le sentenze sono importanti per la vittima. Proprio per sopravvivere alla cultura ostile, la vittima attende da quelle sentenze la prova di poter aspirare ad essere ancora cittadina e libera. Le vittime, tutte, hanno bisogno, per girare la pagina del dolore, di giustizia.

Non è una questione di vendetta, è il bisogno di ascoltare dalle Istituzioni la parola che stabilisca che ciò che le è accaduto è inammissibile, il bisogno di sapere che i complici che giustificano "i bravi ragazzi che hanno sbagliato perchè provocati", e che l'attendono fuori dall'aula per continuare ad infamarla, avranno una ragione di meno per sentirsi soddisfatti.

Giustizia non significa che i minorenni colpevoli vengano aspramente puniti. Il sistema giudiziario dovrebbe disporre di strumenti rieducativi e socialmente sanzionatori del crimine quanto e più del carcere, per controllare i delinquenti fino e non prima della ragionevole e fondata prova del loro recupero alla convivenza pacifica con l'altro genere

Far tornare i colpevoli (a scontare una pena?) nelle famiglie che li hanno giustificati, equivale a far tornare un giovane manovale della camorra nell'ambiente familiare che ha coltivato il suo delinquere.

I giudici della Cassazione hanno fatto finta di non sapere che se quei ragazzi "avessero esagerato", una bambina sarebbe morta. Sembra anche che quei giudici non sappiano che violenti e assassini di donne perchè donne, che scontavano pene alternative in strutture incompetenti adibite, per clientela, a strutture rieducative, sono tornati ad uccidere in corso di pena.

"lo sdegno trasversale" sollevato dalle (poche, perchè sono poche le elette) parlamentari Italiane, sarà forse l'unico provvedimento che la politica prenderà, entro la fine della legislatura. Nella prima, come nella seconda e nella terza Repubblica, salvarsi e salvare dalla violenza sessuata le donne e i loro figli non è affare di Stato.

Se il movimento delle donne dovesse sentirsi sconfitto per ciò che accade nei tribunali, per ciò che si decide nella destinazione dei fondi, distratti dai centri antiviolenza competenti, a luoghi incompetenti e "caritatevoli" , per le trattative nelle politiche occupazionali che impongono la dipendenza economica alle donne, ne avrebbe qualche ragione. Ma dalle sconfitte si può imparare, a patto che lo si voglia.

Per l'UDI di Napoli Stefania Cantatore



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UDI Bologna, Katia Graziosi 

Gruppo Donne e Giustizia UDI Bologna, Marta Tricarico



La terza sezione penale della Corte di Cassazione(sentenza n. 4377/12) ha stabilito che i principi interpretativi che la Corte Costituzionale ha fissato per i reati di violenza sessuale e atti sessuali sul singolo sono “in toto” applicabili anche alla “violenza sessuale di gruppo”.

Il risultato? Ha equiparato la gravità dei due reati.

E’ una sentenza che vuole essere più garantista per l’applicazione delle misure cautelari ma è molto meno incisiva dal punto di vista della giustizia sostanziale e di civiltà.

E’ una sentenza dannosa.

La particolare efferatezza e ferocia di determinati delitti ben dovrebbe legittimare l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere !!!

Non possiamo minimizzare ciò che era un aggravante.

NON E’ ACCETTABILE.

Come UDI abbiamo chiesto e lo ribadiamo che ci sia una legge quadro sulla violenza sessuale, chiara e tassativa che raccordi le diverse fattispecie proprio per non dover assistere a sentenze come questa che sono spia di un sistema giuridico disancorato in materia.

Non si può e non si deve intervenire a “spot” di decreto o sentenza sulla violenza sessuale o sul femminicidio.

E’ ora che si facciano modifiche sostanziali alla normativa nel suo complesso consapevoli che le donne non ci stanno più a non vedere garantita la propria libertà e incolumità !.

Non possiamo affidarci alla sensibilità di quella Istituzione o di quel Giudice, come per esempio accade quando si deve risarcire una donna che ha subito violenza.

Fin dal 2009 l’UDI ha rappresentato all’ONU l’emergenza nazionale in tema di violenza sulle donne a seguito della Campagna nazionale STOP FEMMINICIDIO del 2005. Oggi in piena emergenza addirittura torniamo indietro !

E’ arrivato il momento che il nostro Stato affronti la questione seriamente.

Come si fa ad affrontare l’emergenza sviluppo del Paese quando per le donne non c’è neppure la certezza del vivere ?

L’UDI non ci sta e chiediamo un intervento rapido ed appropriato in tempi almeno pari a quelli riservati agli ultimi provvedimenti economici (salva Italia).

 

Katia Graziosi -    per UDI Bologna       

Marta Tricarico - Gruppo Donne e Giustizia UDI Bologna



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LE DONNE DELL'UDI ROMANA 'LA GOCCIA'

 

Noi donne dell’Udi Romana “La Goccia”, indignate, protestiamo per la pronuncia della Corte di Cassazione che equipara, non ritenendolo un odioso aggravante, lo stupro di gruppo allo stupro individuale.

In questo modo si dà al giudice la possibilità di applicare misure diverse dalla custodia cautelare e di lasciare gli stupratori liberi di circolare, con rischi, tra l’altro, per l’incolumità delle persone offese: ci sembra davvero troppo!

Questa equiparazione nella sua sostanza a nostro avviso rivela purtroppo il fatto che nel nostro Paese, nonostante tanti anni di impegno e lotte delle donne, lo stupro non è ancora da tutti ritenuto un reato gravissimo contro la persona.

Per quanto è nelle nostre possibilità ci impegneremo a contrastare questa sentenza in ogni sede e a tutti i livelli.

 Ci auguriamo che il Parlamento approvi quanto prima norme più adeguate alla gravità del reato e alla sua prevenzione.

 Chiediamo alle agenzie formative –scuola e mass-media innanzitutto- di svolgere il loro ruolo per una crescita delle coscienze in grado di combattere la “cultura dello stupro”, ancora così drammaticamente diffusa.

 

Le donne dell’Udi Romana “La Goccia”



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Non c'è dubbio, è una escalation

UDI Monteverde 



Siamo nel 2012, aumenta il femminicidio e la violenza sulle donne, e diminuiscono le garanzie di giustizia per le vittime, donne e bambine. La violenza sulle donne raggiunge livelli tali da creare allarme sociale, cosicché dal 2009, con l' approvazione del Parlamento della legge di contrasto alla violenza sessuale, il giudice non poteva applicare misure cautelari diverse dal carcere ai presunti stupratori, aventi a carico gravi indizi di colpevolezza. Interviene nel 2010 la Corte Costituzionale, che ritiene questa norma giudiziaria in contrasto con gli articoli 3, 13 e 27 della Costituzione e quindi ammette alternative al carcere «nell'ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfate con altre misure». Nel 2012 la terza sezione penale della corte di Cassazione con la sentenza n.4377/12, stabilisce che i principi interpretativi che la Corte costituzionale ha fissato per i reati di violenza sessuale e atti sessuali su minorenni sono in toto applicabili anche alla “violenza sessuale di gruppo”, dal momento che quest'ultimo reato “presenta caratteristiche essenziali non difformi” da quelle che la Consulta ha individuato per le altre specie di reati sessuali sottoposti al suo giudizio. Procede al galoppo nel frattempo l'escalation della violenza in tutte le forme contro le donne, di pari passo con le nuove povertà causate dal dissesto economico del sistema paese, che le donne sono costrette a subire senza alcuna rete di salvaguardia e con un sovraccarico abnorme di fatiche e responsabilità, non ultima la sostituzione integrale di un welfare latitante, per bambine-i e anziane-i. C'è da chiedersi perché questo sistema giudiziario decide di passare di mano in mano i termini di una legge per modificarne la finalità iniziale, con i modi di una escalation all'indietro in termini di garanzia e sicurezza per le vittime di delitti gravissimi come lo stupro di gruppo. Un articolo della costituzione della Repubblica Italiana è stato preso a pretesto prima per liberare dal carcere e adesso per dare una interpretazione estensiva allo stupro di gruppo contro una minorenne.


Art.3


Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.


Allora bisogna intendersi definitivamente sul significato di queste due parole “persona umana”. I nostri Giudici forse intendono persone umane solo i colpevoli o presunti tali, stupratori da branco? I nostri giudici ritengono forse di dover eliminare gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo degli stupratori o presunti tali, stupratori da branco? Quale potrebbe essere il pieno sviluppo di costoro, stupratori da branco? E perciò i nostri giudici ritengono di non doverne limitare la libertà? Si badi bene, stupratori o presunti tali, di gruppo, da branco, l'antitesi della civiltà. Ma infine chi garantirà la libertà e il pieno sviluppo di quella bambina? Chi le ridarà la dignità a cui ogni persona umana ha diritto anche secondo la dichiarazione dei diritti universali dell'umanità?  Dichiarato o meno, questo è il diritto naturale della persona umana, tanto maschio quanto femmina, senza distinzione o differenza. Chi potrà cicatrizzare quella ferita esistenziale e totale del suo divenire donna? Così, abbandonata dalla giustizia, diventerà anche lei una di tante che hanno come compagna fedele solo la paura, l'ansia, un senso di colpa devastante, uno strisciante annullamento di sé. E se si guarderà intorno in cerca di aiuto e conferme troverà solo solitudine, dubbi e irrisione. Questa sì è una grande colpa, non farsi carico del destino di una giovane vita di donna, appellandosi per giunta al meglio dei diritti sanciti dalla Repubblica Italiana.  Ed è una grave colpa commessa da chi ha la responsabilità e il potere istituzionale di fare al meglio giustizia e difesa dei diritti prima di tutto delle vittime. Ecco perché questa è una sentenza che nessuna di noi potrà dimenticare, o mettere a latere, perché qui si consuma il peggior tradimento: usare le norme della Repubblica contro le cittadine della Repubblica. E peggio ancora, contro le speranze di giustizia e sicurezza di una piccola minorenne tutto il potere dello stato. Questa sentenza non potrà essere dimenticata, perché  il tempo che trascorresse con il nostro silenzio la farebbe diventare la pietra tombale sulle nostre speranze e aspirazioni di giustizia, parità e uguale dignità umana.



UDI Monteverde 




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