Martedi, 17/04/2012 - Il 13 aprile 2012 si è finalmente tenuta presso il tribunale dei minori di Roma la prima udienza per lo stupro nella pineta di Montalto di Castro del 2007.
Sono passati cinque lunghi e interminabili anni da quando, dopo una festa di compleanno, si consumò l’orrore contro una ragazzina di quattordici anni che si era fidata degli amici di una sua amica. Un orrore indicibile che la ragazza confessa solo alla sorella e poi alle forze dell’ordine grazie alla capacità di un intelligente insegnante che si accorge che la studentessa è in preda a un malessere profondo. La convince a denunciare la violenza subita dal branco e a orrore si aggiunge orrore. Non solo non viene creduta dagli abitanti di Montalto che si schierano con gli stupratori, ma anche il sindaco sostiene che sono dei” bravi ragazzi” mentre lei, non solo è di un paese vicino, ma porta persino la minigonna. Qualche vecchio pedofilo si lamenta di non aver saputo per tempo dello stupro perché si sarebbe messo in fila.
La presa di posizione dei concittadini e del sindaco PD, che annovera nel branco un nipote, e che usa soldi del comune per le loro spese legali, fanno il giro del mondo. Tutti capiscono che non i tratta della solita minimizzazione ma che per i ragazzi si teorizza una sorta di diritto allo stupro, (giovinezza, ormoni a mille, lei che li adesca ecc ecc) e per la ragazza si auspica il dovere del silenzio.
Da 35 anni da 'Processo per stupro' di Loredana Rotondo che aveva messo il luce le profonde complicità e tolleranze sociali e culturali dei violenti (nonostante in questi anni questa tolleranza non sia mai morta, basti pensare per tutti al caso di Anna Maria Scarfò a Reggio Calabria) non si era più manifestata una solidarietà così massiccia per gli stupratori e una criminalizzazione così tremenda per la vittima. Una ragazza alla quale viene rubata la vita, i sogni, il futuro e il rispetto. Perchè M. aveva dei sogni invece ha dovuto abbandonare la scuola e deve ancora ricominciare a vivere. Cosa che non può fare se, come ci dice la madre, non riesce ancora a ottenere verità e giustizia.
Avevamo creduto che l’Italia, almeno un poco, fosse cambiata grazie alle lotte delle donne, dobbiamo ricrederci e porci le domande di sempre: Perché i tempi di un processo per stupro continuano ad essere cosi lunghi? Perché la percezione soggettiva di alcuni giudici sul pericolo che i violenti rappresentano è così tollerante? Perché il sindaco costretto dalla Corte dei Conti a restituire i soldi spesi per l’assistenza legale è ancora al suo posto e persino ricandidato come consigliere dal Pd?
I ragazzi hanno ripreso una vita “normale”, a parte l’accusa a uno di loro di Stalking. Come dice il paese, anche se hanno sbagliato, sono ragazzi ... non possono pagare tutta la vita.
Tutti sembrano inconsapevoli che la ragazzina, oggetto di quella che loro credono una bravata, pagherà a vita quello che ha subito e a parte della sua vita ha già dovuto rinunciare e senza alcuna colpa. Nonostante il suo coraggio, la colpevolizzazione ha prodotto una vittimizzazione secondaria, un colpo di grazia che le fa dire: “se potessi tornare indietro non denuncerei più”, nonostante l’intelligenza e il coraggio dei suoi genitori e dei familiari. La madre non ha mancato un’udienza e un confronto, non ha accettato le scuse interessate. Una donna straordinaria, preoccupata solo che la figlia ottenga giustizia. Consapevole di essere sola contro il mondo e con uno Stato assente.
Perché nessuno, né a livello politico né a livello istituzionale, a parte la Consigliera di Parità di Viterbo, è stato a fianco della ragazza e della sua famiglia?
Se questa storia ignobile ha rappresentato uno scandalo politico è perché a molte e a molti è sembrato emblematico che un partito che si dice democratico, abbia potuto tollerare che un suo amministratore, con frasi sessiste e razziste degne del peggio leghismo machista abbia potuto rimanere al suo posto, insultare tutte le donne che lo contestavano, con la solidarietà anche delle opposizioni.
Per questo noi donne dell’UDI abbiamo voluto essere personalmente e politicamente presenti al Tribunale dei minori di Roma, produrre molti gesti di vicinanza e attenzione a M. e a sua madre in tante città italiane e con un impegno preciso per le prossime udienze.
Ma Montalto è solo la punta di un iceberg di uno stato in cui continuano a mancare dati precisi sullo stupro. Uno stato in cui i dati sulla violenza sessuale, fisica e psichica, dentro e fuori la famiglia, sono ancora oggi quelli relativi ai centri antiviolenza, alle richieste di aiuto del 1522 e alla ricerca ormai datata, anche se sempre meritoria, dell’Istat.
Uno Stato che sullo stalking fornisce attraverso il DPO dati molto ottimisti mentre il femminicidio, con cadenza quasi quotidiana, sgrana numeri impressionanti di donne assassinate da mariti e fidanzati, con la consueta oscena definizione dei mass media sui drammi della gelosia o sulla fragilità maschile, e questo nel silenzio più assordante della politica e delle istituzioni preposte. Parlano le donne e conosciamo l’importanza dell’impegno a fianco delle donne stuprate e offese, conosciamo i mille atti di solidarietà e di denuncia che ai quattro angoli del paese le donne hanno fatto e fanno da oltre trent’anni. Ma forse è proprio questo che si vorrebbe non accadesse?Per questo non vengono ascoltate. Perchè ogni giorno chi è in prima fila per aiutare le donne che denunciano e chiedono aiuto è sempre più in difficoltà?
Basta pensare che al de-finanziamento dei Centri e degli Sportelli antiviolenza, che in ragione della crisi economica, trasforma l’unico servizio specialistico di genere da estendere, in un servizio di lusso per tempi migliori.Questo ci dice, in sostanza, che l’aiuto alle donne non è un’esigenza prioritaria per lo stato italiano e che affrontare la violenza maschile, nelle sue tante manifestazioni che tolgono vita e liberta alle donne e spesso ai loro figli, e contrastare i violenti non è una necessità, né una priorità.
Non appare uno scandalo a nessuno che tante leggi regionali sulle politiche dell’antiviolenza siano de- finanziate a cominciare dall’Abruzzo e che i soldi, venti milioni di euro in cassa da 4 anni al DPO, non siano stati spesi, che il Piano d’Azione Nazionale contro la violenza del governo non si sappia cosa ha prodotto, se mai ha prodotto qualcosa.
In un paese ogni giorno sotto schiaffo per scandali politici, di corruzione e di distrazioni di fondi pubblici a tutti i livelli, appare evidente che non di sottovalutazione si tratta, non di mancanza di risorse economiche ma della complicità di fondo di cui i violenti godono a tutti i livelli.
In questo quadro diventa comprensibile(sic) la scandalosa sentenza della Corte di Cassazione. D’altra parte che cosa significa che un uomo di 62 anni in Ciociaria che stupra una donna di 43 anni, sia affidato dal giudice agli arresti domiciliari in ragione della sua età? E poco importa che lo stesso fosse già noto alle forze dell’ordine per maltrattamenti alla moglie. E questo clima di complicità e impunità che rende persuasi molti uomini che la violenza e anche l’assassinio nei confronti delle donne non siano gravi, cose che accadono perché è colpa loro. Delle donne. Un rovesciamento assoluto di qualunque principio di verità in nome di un potere sessuato considerato senza limiti e senza regole.
Per questo non diventa un’emergenza nazionale il femminicidio che conta dall’inizio dell’anno 50 donne assassinate e che non accenna a fermarsi. E’ sotto gli occhi di tutti, ma nessuno se ne accorge, né il governo né la Ministra delle Pari Opportunità.
Dall’inizio dell’anno noi dell’Udi abbiamo scritto alla ministra Fornero e chiesto ripetutamente di incontrarla su questa emergenza. La risposta dei suoi uffici è che la Ministra non potrà occuparsi delle donne uccise e della violenza maschile prima che il Parlamento approvi la riforma del mercato del lavoro. Se nel frattempo, in questo silenzio politico e istituzionale assordante, i femminicidi raddoppieranno, pazienza!
In fin dei conti il femminicidio riguarda le donne che notoriamente non fanno parte della repubblica italiana dove tutti sono in affanno perché l’antipolitica corrode le basi della democrazia.
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