UDI / Conoscere la nostra storia per scrivere il futuro
Verso il congresso UDI, Unione Donne in Italia - “..Il corpo è il punto da cui partire, perché è il nostro esistere nel mondo…”. Primo appuntamento sabato 30 gennaio a ROma
Rosangela Pesenti Giovedi, 07/01/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Gennaio 2016
Questa notte ho fatto un sogno.
Estate, sono a una specie di festa di non so quale associazione. Intervengo spostando l’attenzione sulla cancellazione della storia politica delle donne. Mi si affollano intorno delle ragazze che mi chiedono di raccontare. Cerco di trovare delle coordinate di tempo e spazio, delle parole chiave che restino. La negazione del corpo femminile, l’interdizione dello spazio politico e scolastico, l’esclusione dall’eredità dei patrimoni, l’emarginazione e lo sfruttamento lavorativo, la persecuzione delle vite. I passi avanti e indietro, le lotte vinte e le sconfitte, i buchi neri della storia in cui sono affondate le intelligenze femminili, le porte chiuse delle categorie interpretative che hanno cancellato grandi presenze collettive.
A scuola avevo qualche anno di tempo, ma qui …
Il pensiero scorre rapidamente all’indietro, dalla me stessa che distribuisce volantini l’8 marzo in una piazza diffidente di paese nella straordinaria stagione del neofemminismo, all’Udi delle assemblee autoconvocate, le donne della resistenza che ho conosciuto, le antifasciste che non hanno visto la liberazione di cui nessuno ricorda il nome, le pacifiste dell’inizio secolo, e poi le scrittrici che non si studiano a scuola e indietro indietro la Rivoluzione francese e ancora prima, il dibattito sulla scienza, la Riforma, la persecuzione delle streghe … Ed è solo la storia d’Europa ma c’è molto altro.
In un lampo migliaia di immagini mi si affollano, poi, come facevo a scuola, trovo un punto in cui conficcare un “segnatempo”: “Sapete che fu una donna a scrivere il primo trattato di ostetricia e ginecologia? Si chiamava Trotula de Ruggiero, insegnava all’Università di Salerno e probabilmente faceva parte di un gruppo di studiose …”
E mi sveglio.
Il corpo è il punto da cui partire, perché è il nostro esistere nel mondo.
Da giorni affastellavo appunti per scrivere del prossimo Congresso Udi senza riuscire a comprimere nelle battute richieste un testo scorrevole, ostacolata anche dalla solita influenza che non mi faccio mancare intorno alle feste.
Il sogno mi ha portato una situazione che vivo spesso: chiacchiero con ragazze in treno, in aereo, poi loro si tengono in contatto, mi chiedono informazioni. Una che ho conosciuto sull’aereo di ritorno da Reggio Calabria è venuta a trovarmi, un’altra è venuta all’inaugurazione della sede dell’Udi.
Ecco il punto da cui cominciare per il Congresso.
Serve ancora un’associazione come l’ Udi? E per fare cosa?
Intanto per sapere che cosa hanno fatto le tante donne che l’hanno costituita attraversata conosciuta, nei settant’anni che coincidono con l’Italia democratica.
L’Udi è nata un anno prima della Repubblica e sono certa che anche la sua azione è stata determinante per la scelta, come il primo sparuto nucleo fu importante per il diritto di voto alle donne.
Unione di tutte le donne: a lungo sembrò un programma ingenuo e pretenzioso eppure proprio la generazione del neofemminismo, diffidente nei confronti delle vecchie forme della politica, compresa quella che si era sedimentata nell’ Udi sul modello di tutte le formazioni politiche, partiti sindacati e non solo, portò allo scoperto quel corpo differente che il diritto non aveva previsto, la cultura cancellato, la storia rimosso e la politica negato.
Non sappiamo cos’è una donna, ma tutte sappiamo quale potente modellamento simbolico hanno operato le prescrizioni sociali sull’essere donna nelle nostre vite e com’è stato imprevisto il vario percorso di liberazione che ancora continua. Un percorso individuale che cambia il mondo se ci accade insieme.
È accaduto e continua ad accadere che donne si trovino in gruppo per un progetto comune che si fonda prima di tutto sul piacere di essere insieme.
Oggi i progetti comuni sono anche lavoro di donne a favore di altre donne.
Più complicato è trovare un collegamento tra tutti i gruppi per azioni che possano andare oltre investendo la condizione di tutte, mutando l’immaginario sociale.
Ormai ci soccorre la tecnologia, ognuna può aprire un blog e lanciare le proprie parole al mondo.
Ma ci basta davvero?
Oggi esiste un ceto politico femminile cresciuto all’università, erede degli stessi diritti un tempo maschili, a cosa serve un’associazione nazionale politica delle donne?
Eppure se non conosci la tua storia, quella della casa in cui abiti, delle scarpe che porti, del cibo che mangi, dei diritti che eserciti, dei privilegi che godi, se non hai parole per la storia che si snoda dietro di te, sedimentata nel tuo Dna, nelle memorie che agisci e che ti agiscono, se non sai da dove vieni, il tuo futuro ha la durata della tua piccola vita, ed è davvero poco.
L’accesso ai diritti è uno strato sottile di vivibilità del mondo pronto a incrinarsi appena dietro di te, sotto i tuoi piedi di donna se lo percorri con sicumera maschile, se ti tieni stretta al potere di chi preferisce lasciar affondare molte e molti per assicurare la propria salvezza, personale e famigliare.
Stiamo scoprendo che quello strato sottile di diritti non era fatto per sostenere il cammino di molti e le donne sono da sempre selezionate solo per fedeltà al servizio.
Eppure sotto quella crosta precaria c’è acqua in cui nuotare, perfino un fondale su cui costruire palafitte sicure per case e istituzioni da abitare come luoghi confortevoli, senza soffitti inarrivabili e porte custodite da guardie armate.
Il patriarcato, o comunque si voglia chiamare un sistema che utilizza forme mutevoli di classificazione delle differenze tra i sessi organizzando un apparato simbolico e giuridico del dominio, ha superato indenne la crisi di due grandi sistemi economico-politici: la società schiavile dell'Impero romano e il sistema feudale europeo e potrebbe attraversare indenne, solo mutando forme e definizioni, anche la crisi del capitalismo.
Come accade?
Nel passato anche cooptando quote di donne a sostegno del sistema, attraverso l'elargizione di privilegi e la costruzione di una gerarchia sociale femminile dipendente e/o subalterna e/o imitativa del maschile. Vestali, badesse, casalinghe, governanti, regine, badanti, colf, first ladies, veline, preziose, escort, mogli, ecc. ecc.
Sono tante le definizioni della complicità ammantata di scelta, della servitù paludata dal sentimentalismo, della ferocia gerarchica giustificata dal merito.
Siamo cittadine sulla carta, ma la strada per molte è ancora lunga e non basterà la vita a percorrerla.
La legge è spesso il filo spinato che protegge e rinchiude, il muro che garantisce privilegi e cancella esistenze.
L'imprevisto del presente sono le moltissime donne che oltre ad aver consapevolezza della propria condizione, hanno anche gli strumenti per denunciarla e agire una diversa visione della propria vita e del mondo.
Molte donne dell’Udi continuano a pensare quest’associazione come un luogo fatto di molti spazi materiali in cui esistere costruendo progetti che vanno oltre il desiderio.
Ho imparato, nella mutazione del mio esistere come donna, un desiderio che affonda le sue radici nei luoghi oscuri della vita che hanno fatto la storia dietro di me e so che ci sarà una fioritura oltre il tempo della mia vita.
Un desiderio che non può essere esaudito da pochi spiccioli e un angolo da piccola parvenu alla mensa di una storia che non parla di noi.
Abbiamo un elenco di questioni da discutere.
Ma ho bisogno ogni giorno di una visione per stendere un’efficace e utile “lista della spesa”.
Per questo sarò al Congresso dell’Udi, portando colori per disegnare una visione e ingredienti commestibili per il lavoro quotidiano di pensare il mondo.
Il primo appuntamento verso il Congresso UD: sabato 30 gennaio. Locandina
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