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A Roma la presentazione del libro di Loredana Cornero, “La tigre e il violino”, edito da Rai Eri, alla presenza dell’autrice e di Tilde Capomazza, autrice e presentatrice di “Si dice donna"

Mercoledi, 26/12/2012 - Venerdì 21 la sede nazionale dell’UDI (Unione Donne in Italia) ha aperto le porte ad una splendida iniziativa in cui il valore della memoria e quello della narrazione hanno finalmente riacquistato la loro veste di elementi imprescindibili per un Paese che vuole e deve crescere ma che purtroppo è spesso caratterizzato da ben poca memoria storica.

E’ stato presentato il libro di Loredana Cornero, “La tigre e il violino”, edito da Rai Eri, alla presenza dell’autrice e di Tilde Capomazza, autrice e presentatrice televisiva di “Si dice donna”, trasmissione andata in onda sulla seconda rete della Rai dal 1977 al 1981 e di cui il libro propone una riscoperta e rilettura attraverso occhi che hanno visto e osservato 30 anni in più di storia, società e televisione.

“Si dice donna” fu una trasmissione estremamente innovativa che raccontava dall’interno i cambiamenti di quella che fu definita la più importante rivoluzione del Novecento, quella delle donne. Possiamo definirla forse come una “rivoluzione nella rivoluzione”, un’esperienza di grande impatto culturale e politico che portò in prima serata nella televisione pubblica quei temi della piazza, quei taboo che molte donne e molti uomini ancora non conoscevano, non vedevano e, in alcuni casi, preferivano non vedere.

Il cambiamento spaventa, quasi sempre per lo meno, figuriamoci quanto poteva essere terrorizzante quel cambiamento che proponeva l’inversione di tendenze secolari. Le storie di violenza e discriminazione delle donne non cominciano negli anni ’70, né tantomeno quest’anno che ha visto l’affermazione della parola, tanto contestata, femminicidio. Come sottolinea Vittoria Tola, Responsabile nazionale dell’UDI, le storie di violenza così come le battaglie per sensibilizzare le persone e combatterla insieme, ci sono da molto, molto più tempo e il libro di Cornero ne offre un’ottima rappresentazione.

“La tigre e il violino” ci regala, quindi, uno spaccato di vita, quel momento di grande trasformazione che coinvolse le donne e l’intera società italiana. Ci riporta a quei temi caldi di allora ma forse, anzi sicuramente, non solo di allora, come il divorzio, il diritto di famiglia, la legge contro la violenza sessuale, i consultori, i contraccettivi, l’aborto, il lavoro per le donne e questo solo per citarne alcuni.

Quanto possiamo definire e sentire lontani questi temi a più di 30 anni di distanza? Nella società di oggi, in cui sicuramente tanti passi in avanti sono stati fatti, ma in cui non si può non interrogarsi se questa sovraesposizione delle donne non sia in realtà una sottoesposizione de-soggettivante, possiamo davvero annoverarli come elementi del passato?

In una società in cui continua a crescere la media delle gravidanze adolescenziali, come dimostrano soprattutto i dati americani, in cui la legge 194 viene rimessa in discussione ogni volta che soffia un vento differente, in cui (ed è notizia delle ultime ore) si dice e si scrive ancora che il numero crescente delle donne violentate e uccise è perché in fondo le donne provocano, argomenti trattati in una trasmissione del 1977 appaiano più che mai attuali.

Tiziana Bartolini, Direttora di “Noi Donne”, pone l’accento su quell’aspetto di agenzia culturale della Rai al quale forse non siamo più così abituate/i. Assistiamo ormai praticamente assuefatte/i ad una cultura al ribasso che ci ha persuase/i, convinte/i (anche?) che c’è poco o niente di cui stupirsi, di cui meravigliarsi, per cui indignarsi. Per cui, spiega Bartolini, leggere certe parole, riguardare certe immagini, ci risveglia, ci fa ricordare che non tutto è lecito e che molte battaglie non sono “roba da anni ’70” ma sono ancora da combattere insieme alle nuove generazioni, alle quali questo libro può spiegare, raccontare e insegnare molto.

Attenzione, però, a non cadere nel nostalgico, nell’antologico ed è, infatti, la stessa Tilde Capomazza che pone in evidenza il fatto che quello del libro non è un messaggio nostalgico, una sorta di “Eravamo belle e brave come nessuna!” scherza Capomazza, ma “E’ memoria storica, è narrazione”, è conoscere un passato neanche troppo lontano per agire sul presente e organizzare meglio il futuro. E questo appare ancor più importante in un momento storico in la televisione ha fortemente contribuito ad alimentare la nascita e la crescita di un modello di donna che tutto è tranne che la donna reale, quella alle prese con i problemi di una società ancora fortemente sessista.

La Rai del dopo-riforma del ’75 era una fucina di idee nuove, alternative, era una Rai che diede grande fiducia e importanza a questo programma, come racconta la stessa Cornero; era una Rai quindi che veicolava, anche a proposito dell’immagine della donna, messaggi positivi, costruttivi. Per questo forse lascia quella dose di amarezza in più, il sapere che “Si dice donna” venne chiusa nel 1981 per un casus belli di una puntata sull’aborto ma che in realtà la Rai, e di conseguenza la scelta delle trasmissioni mandate in onda, risentivamo enormemente del nuovo clima politico. E ancor di più è avvilente sapere che nei successivi 8 anni che seguirono la chiusura del programma, Tilde Capomazza rimase senza far nulla. Ferma per 8 anni. Finché non fu costretta ad andar via.

In una televisione, ma ancor più, in una società in cui a partire dal linguaggio, passando per la svendita e la mercificazione gratuita dei corpi femminili, per andare a toccare qualunque altro campo della vita quotidiana, c’è, resiste, è tangibile la sensazione di un passo avanti e uno indietro sulla parità e sull’approccio di genere, si sente la mancanza, che si traduce ben presto in necessità, di trasmissioni quali “Si dice donna”, di una prospettiva femminile. Il pregio di quella trasmissione era quello di dare uno sguardo di donna alla società, proporre uno sguardo nuovo, diverso, offrire un’alternativa all’univocità maschile dominante.

Si sente la mancanza di uno sguardo femminile, quindi, ma non la mancanza nostalgica con annessa la speranza di un ritorno ai tempi che furono, ma la mancanza di quel qualcosa che non c’è ma dovrebbe esserci perché non è naturale che non ci sia. E in tutto questo “La tigre e il violino”, con l’unione tra la dolcezza e l’armonia del violino e la forza della tigre, grande sigla di Alessandra Bocchetti, non può che essere una boccata d’aria fresca, ossigeno puro.



Giulia Cecere

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