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Tutto un altro mondo

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Sì, viaggiare / 3 - si chiamano “reality tours” e sono proposti da associazioni internazionali o agenzie di turismo responsabile con l’idea di far conoscere le realtà autentiche dei luoghi visitati

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2008

E se per queste vacanze estive invece della “stessa spiaggia stesso mare” provassimo ad inoltrarci per il mondo a scoprire la realtà vera della condizione femminile nei paesi disastrati del nostro pianeta? Se invece di affidarci ad un tour operator attento a farci sopratutto divertire e girare per luoghi rinomati, ne cercassimo uno rivolto a far conoscere qualcosa di più autentico dei luoghi visitati? A rivelarci luoghi e realtà differenti da come ce li immaginiamo o da come ci vengono giornalmente propinati dai mass-media?
Si chiamano “reality tours”, proposti da associazioni internazionali o agenzie di turismo responsabile e sono rivolti a farci scoprire qualcosa in più del “reale” facendoci viaggiare in carne ed ossa da un continente all’altro per andare a imparare più cose sulla lotta delle donne in Afghanistan, l’impatto delle ricerche di falde petrolifere sulle comunità indigene dell’Ecuador, il commercio equo e solidale in paesi africani, asiatici o dell’America latina, l’impegno per la pace in Palestina e Israele, e altro ancora.
Questo nuovo modo di fare turismo in maniera “responsabile”, nato negli anni Ottanta, si è andato sempre più intensificando perchè risponde all’esigenza di donne e uomini desiderosi non di annusare soltanto l’aria di un posto consumando in fretta i benefici che si possono trarre, ma di fare una effettiva esperienza del luogo visitato: partire con l’idea di imparare qualcosa che davvero non si sa. Qualcosa che non potrebbe essere conosciuta in altro modo se non questo di visitare dal di dentro un paese, incontrando persone che subiscono sulla propria pelle la durezza della realtà ed anche persone attive per trasformarla. Se si arriva a incontrare un luogo così dal di dentro, scansando gli hotel che offrono gli stessi servizi in qualsiasi parte del mondo, diviene inevitabile anche il superare un atteggiamento di tipo consumistico e il porsi in maniera rispettosa nei confronti dell’ambiente: consumando meno acqua se ci si trova in un paese con poche risorse idriche, ponendo attenzione ad eventuali comportamenti inquinanti, lasciando a casa ogni pregiudizio e considerando la cultura del luogo nel momento in cui ci si veste e si mangia.
Il turismo responsabile o “sostenibile” – ovvero “un viaggiare etico e consapevole che va incontro ai paesi di destinazione, alla gente, alla natura con rispetto e disponibilità. Un viaggiare che sceglie di non avallare distruzione e sfruttamento, ma si fa portatore di principi universali: equità, sostenibilità e tolleranza" (dal sito www.aitr.org) – risponde in maniera più coerente all’idea secondo cui “viaggiare è una grande risorsa per costruire la pace e per comprendere i nostri tempi” (una delle tante frasi espressa da John F. Kennedy negli anni Sessanta e oggi rivalutata) e alle intenzioni, più recenti, del Primo "Global Summit of Peace Through Tourism” tenutosi, nel novembre del 2000, in Giordania. Da esso scaturiva un documento di grande interesse: “The Amman Declaration in support of a Culture of Peace through Tourism”, che proponendosi di supportare il decennio (2001-2010) dedicato dalle Nazioni Unite alla “Pace e Nonviolenza per i bambini del mondo”, apriva nuove vie all’industria turistica. Gli oltre quattrocentocinquanta leaders dell’industria di viaggi e turismo che hanno firmato questo documento hanno riconosciuto nel turismo un potente strumento di pace, considerando il fatto che il viaggiare implica la possibilità di costruire conoscenze incrociate tra culture differenti e di superare ogni pregiudizio. Dopo il primo summit e la decisione delle Nazioni Unite di dichiarare il 2002 l’anno internazionale dell’ecoturismo, ci sono stati altri due summit - nel 2003 (in Svizzera) e nel 2005 (in Tanzania) - e numerose conferenze in cui, tra le molte discussioni, l’idea che il turismo, in quanto industria molto promettente e proficua, potesse aiutare a superare la povertà nei paesi più poveri del mondo si è talvolta andata a scontrare con alcune esigenze dell’emergenza ecologica. Il prossimo appuntamento dell’IIPT, “Istituto Internazionale per la Pace attraverso il Turismo”, sarà una conferenza europea, che si terrà in Olanda nell’ottobre del 2008 dal titolo “Bridging the North–South Divide through Sustainable Tourism” (costruire ponti tra nord e sud attraverso il turismo sostenibile), in cui gli organizzatori si propongono di raccogliere modelli di buone pratiche e di raccontare “storie di successo” accadute dal 2000 ad oggi.
In concreto chi voglia davvero diventare un turista responsabile potrà iniziare navigando nel mondo virtuale di internet, ma solo per cercare indirizzi e proposte, perchè poi, fin da quando ci si chiude la porta di casa alle spalle, l’esperienza dovrà essere esclusivamente reale e... anche il telefonino serve a poco.
In Italia i primi itinerari di turismo responsabile sono stati organizzati da RAM, che è anche una delle prime centrali di importazione di commercio equo e solidale. Ma oggi le proposte sono tante e di diverso tipo rivolte all’educazione alla pace e all’ecologia, alla coscientizzazione politica o anche alla solidarietà.
Navigando fra le varie proposte il “reality tour” che più mi ha colpito è quello organizzato dalla “Coalition of Women for Peace” lungo il perimetro delle Mura che sono state costruite per separare Israele dal mondo arabo. I partecipanti, (che in genere sono cittadini di Israele, ma anche turisti occidentali) in questo tipo di gita davvero speciale sono condotti, da guide che sono “brave ad ascoltare, anche, non solo a parlare”, per circa otto ore ad attraversare i checkpoints tra Israele e i territori occupati, a visitare la Gerusalemme dove vivono i palestinesi, la città di Qalqilia, il diviso Bak’a, il villaggio di Maskha, e altri posti in cui poter fare esperienza diretta della tragedia umana dell’occupazione, conoscere la forza morale di chi la affronta e pensare in maniera più consapevole alle conseguenze di ogni muro che si innalzi nel mondo.
In un invito, del mese di maggio del 2005 (non è più stato fatto da allora?), a partecipare ad un tour che si sarebbe tenuto in lingua inglese, araba ed ebraica, lungo le mura erette da Israele si legge: “Venite unitevi a noi per un’esperienza che aprirà la vostra mente e i vostri cuori. Reality Tours vi introdurrà in mezzo a gente reale e in luoghi reali che i media Israeliani non mostrano mai. Qalqilia ora racchiusa da un muro, villaggi imprigionati tra il muro e la Linea Verde, il lato palestinese di Gerusalemme, i molti muri che ci separano. La realtà è complessa e noi presentiamo alcune delle molte sfaccettature di questa realtà. E lasciamo spazio a voi per esprimere al gruppo le vostre proprie opinioni e sensazioni”.
Altri viaggi interessanti, sempre nei territori israelo-palestinesi, sono i seminari itineranti organizzati dalla rivista Confronti (www.confronti.net), che verte a far conoscere realtà di uomini e donne, di origine sia araba che ebrea, che hanno realizzato concreti progetti di pace al di là di ogni divisione e confine.

(22 luglio 2008)

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