Ultracorpi - Prevenire è meglio che combattere. Come non essere d’accordo? Ma la sola medicina non riesce a dare tutte le risposte ....
Bartolini Tiziana Domenica, 30/06/2013 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Luglio 2013
Prevenire è meglio che combattere. Come non essere d’accordo? Anni di campagne informative hanno puntato ad un’educazione di ampio respiro affinché i soggetti a rischio imparassero a riconoscersi come tali, sviluppando capacità di auto-osservazione. Messi al bando, dunque, l’obesità, il fumo o la cattiva alimentazione, l’obiettivo condiviso è stato quello di indirizzarsi verso stili di vita all’insegna delle buone abitudini. L’idea di prevenzione si è inscritta in un ambito di ragionevolezza che non escludeva l’eventualità di potersi, comunque, ammalare. Oggi il tema è la declinazione di quel pre-venire, l’interpretazione che si da all’inter-venire prima della malattia, tempi e strumenti compresi. La scelta della star internazionale Angelina Jolie di sottoporsi ad una doppia mastectomia per diminuire - ma non azzerare - le possibilità di avere il cancro ha ottenuto l’effetto voluto: far esplodere il dibattito sulla validità e opportunità della chirurgia preventiva. Cure sicure per il cancro non ce ne sono e quindi si amputa, quando ancora si è in salute, l’organo o la parte del corpo statisticamente a rischio. Si tratta di una scelta enorme, senza possibilità di ritorno e potenzialmente devastante, ma che si pone nel ventaglio delle possibilità a disposizione e con la quale dobbiamo fare i conti. La partita è aperta e le reazioni sono le più disparate: da chi condivide la scelta della Jolie a chi non la farebbe mai a chi addirittura la vieterebbe (vedi sul tema il sondaggio nel sito di NOIDONNE a pag: http://www.noidonne.org/sondaggio.php?ID=00096). Il punto è che oggi approfondite conoscenze mediche e della genetica riescono a nominare nuove patologie e ad individuare processi e meccanismi in dimensioni sempre più infinitesimali del nostro organismo. Ma questi livelli scientifici non corrispondono - non ancora e non necessariamente - alla possibilità di trovare cure o rimedi atti a sconfiggere le malattie. Siamo, sembra, in una terra di mezzo in cui le potenzialità tecnico-scientifiche sono molte e ci mettono nella condizione di sapere dettagli destabilizzanti, come quello di avere scritto un tumore nel patrimonio genetico. Questo livello di conoscenza non riesce ad offrire prospettive di cura ma in compenso genera aspettative che sono destinate a rimanere deluse per un tempo non definito o definibile. Sembriamo quindi condannati a gestire la patologia quando è diagnosticata, ma - paradossalmente - a vivere con analoga preoccupazione anche la sua potenziale insorgenza. Siamo solo apparentemente senza vie d’uscita. Nel confine che intercorre tra la possibilità di ammalarsi e la fiducia nella scienza si apre lo spazio della coscienza individuale e delle scelte personali dove hanno un ruolo decisivo il singolo patrimonio culturale e il senso della vita per ciascuno. È lo spazio dell’autodeterminazione, un luogo precluso allo Stato, alla scienza, alla morale e ad ogni altra possibile ingerenza che non sia ammessa dalla persona interessata. Vi è, invece, una sfera di intervento sociale su cui dobbiamo mantenere vivissima l’attenzione: la posizione del servizio pubblico rispetto a questi nuovi scenari e le possibilità che esso può offrire a ciascuno con pari opportunità e dignità. La questione si inserisce in una fase delicata sia per gli irrisolti problemi economici del Servizio sanitario nazionale sia per la tendenza alla crescita della medicina difensiva. D’altro canto non possono essere sottovalutati gli enormi interessi in campo da parte di soggetti privati sempre agguerriti, spesso rapaci, talvolta senza scrupoli. È indispensabile aprire un dibattito rigoroso sul senso della parola cura, e studiare i confini che delimitano un approccio equilibrato alla prevenzione e l’ossessione insita nel delirio di onnipotenza o nella vana ricerca della vita eterna. La medicina non ha rimedi per le insicurezze profonde che sono spesso alla radice di tante sofferenze anche del corpo: altri territori devono essere arati e altre competenze devono essere interpellate. Sarebbe il tempo della filosofia e dell’analisi, ma se continueremo ad abbarbicarci alle mutazioni genetiche e al BRCA (BReast CAncer) rimarremo su un sentiero a senso unico e che racconta una verità parziale.
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