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Tutta un'altra Roma

Tutta un'altra Roma

Una passeggiata romana al tempo della pandemia offre scorci di straordinaria e sconosciuta bellezza

Giovedi, 07/05/2020 - Un improvviso appuntamento con richiesta ufficiale unita alla mia autocertificazione mi suggerisce l’idea di approfittarne per raggiungere a piedi, per quanto possibile, l’indirizzo stabilito regalandomi in piena legittimità e correttezza la vista e un tentativo di osmosi col centro storico di Roma nella sua bellezza solitaria, cercando di cogliere qualche segmento della sua vita segreta in questi disperati e per molti disperanti giorni di coronavirus.
Ed è così che con un mezzo pubblico arrivo a Piazza Augusto Imperatore, partenza del mio inedito viaggio, progettato per raggiungere i dintorni di Piazza della Repubblica, cercando a misura del tempo di cammino che le mie gambe possano accettare, di percorrere un pezzetto della riva sinistra del Tevere e della parte a sinistra di Via del Corso, fino a qualche decennio fa Corso Umberto , centro del tridente (Via di Ripetta e Via del Babbuino) che, partendo da Piazza del Popolo, offre non poche famose bellezze della città. Ed è così che proseguo pochi metri più su della chiesa di San Giacomo, “casa” del crocefisso visitato da Papa Francesco che difese Roma dalla peste nel 1600. Compero il giornale in un’edicola con la presenza di qualche cliente chiaramente abituale. E da li, con qualche su e giù da turista per caso, inizio a gustarmi luoghi di notevole interesse. Strade come Via della Croce o Via Frattina, per citare nomi noti, per tornare poi indietro di nuovo al Corso, preparando un lento avvicinamento a Piazza di Spagna. Andare lentamente a zig zag non è difficile, perché quanto incontro mi distrae e mi coinvolge offrendomi pensieri stimolanti. Qualche passante non manca, e viene spontaneo immaginare, grazie ad un insieme di indizi, che rappresentino la rarefatta stabile popolazione di questo quadrante del centro storico. Più di qualche persona, per lo più donne con la spesa o col cane al guinzaglio, qualcuno che urla al telefonino forse momentaneamente uscito da casa considerando l’abbigliamento frugale, qualche portone che si apre e si chiude, di cui non mi ero mai accorta e fra un negozio e l’altro oggi chiusi o in verità, noto, aperti se bar o ristoranti con qualcuno che pulisce, presumo per prepararsi alla riapertura sperata.
Fra le altre la visione straordinaria, in via Condotti, evocante una fotografia di Roma sparita: un nonno col nipotino minuscolo su di un triciclo, nel vuoto totale. Penso da sola che sto vedendo e guardando il misterioso popolo del centro, normalmente confuso e cancellato nel violento e frenetico andare di abitanti pro tempore, di alberghi e case vacanza, migliaia di turisti, lavoratori impegnati nella struttura commerciale, politici “frequentatori” della Camera del Senato di cui questa parte della città è la sede.
Continuando noto che a fianco al popolo del centro, la presenza stabile che è impossibile non notare, è rappresentata dalle macchine. Si impongono parcheggiate quasi ovunque, super invadenti, persino più che a ferragosto, quando chi non lavora per ferie e non per reclusione forzata, la macchina la porta via con sè. Macchine tante, mi ripeto e sottolineo: un disturbo alla bellezza di questa parte di città, anche se per assurdo sono proprio loro a garantire e raccontare, a modo loro, che la città è viva. Seppur nascoste tra le antiche, onorevoli mura dei palazzi che incontro ci sono famiglie, persone, voci e vita, per dirla in sintesi che nella rarefatta aria che mi circonda si fanno sentire fino alla strada in modo nitido. Precisazione utile per spiegarmi quel sentimento originale che provo percorrendo Via Condotti ed entrando in Piazza di Spagna , entrambe, quelle si, vuote e senza neanche macchine al di là di una presenza di carabinieri e vigili urbani, custodi protettori di tanta bellezza assente e lontana nella sua surreale alterità. È qui che ritrovo immediato quel sentimento già colto nei filmati nelle immagini divulgate di una Roma vuota e percorsa nei suoi monumenti, piazze, fontane, chiese più belle e famose. Quella Roma che sembra pulsare di una sua vita propria, laica e religiosa, che incrocia con la sua architettura dialogante i secoli e la storia, che prescinde da noi e che la rende magnifico “museo”. Ma museo non è un concetto che mi piace, che la rappresenti e definisca, altro che quando lo usiamo come battuta.
La straordinarietà di questa città, ed è sempre stata la mia percezione, ma sono certa di non essere sola, è proprio quella di non essere un museo ma di farci interagire con la sua storia, con le sue bellezze, con le sue opere architettoniche, di cultura, di pittura che si possono toccare guardare e nei peggiore dei casi anche usare, ma sempre comunicando e colloquiando con la nostra vita quotidiana continuando ad evolversi. Oggi la sua estraneità da noi, che nella bellezza della scalinata di Piazza di Spagna, nella barcaccia solitaria, si impone, spaventa e fa desiderare rumore vita prima che sia tardi. Mi allontano e verso Piazza Mignanelli osservo la Madonna alta sulla colonna e spero che torni presto quell’atmosfera gioiosa quando i pompieri in onore alla madonna appunto posano, saliti sulle loro incredibili scale in presenza del Papa, una corona di fiori sulle sue spalle.
Eccomi di nuovo giù per Via Frattina dove mi imbatto in un solitario negozio aperto: è Castroni. Mentre faccio la fila di una sola persona osservo che l’uomo entrato, data la scarsità, immagino di negozi alimentari, sta aprendo un frigorifero e fornendosi di notevoli generi di lusso quali salmone e affini. Una commessa gentile viene fuori e mi chiede cosa mi serva; chiedo se loro abbiano ancora lievito per dolci perché nel mio supermercato è introvabile. Ricevuta una risposta positiva me ne prepara quanto richiesto sorridendo e questo gesto di normalità, legato ai piaceri della cucina, nella strada praticamente vuota mi regala un tocco d’allegria. Continuo e, dopo una puntata oltre Corso, a Piazza in Lucina e nella omonima chiesa di San Lorenzo, aperta in quanto parrocchia, mi dirigo verso Piazza San Silvestro. Delle panchine, ho sempre pensato essere piuttosto brutte, approfitto per sedermi e guardare, oltre a riposarmi un po’, la facciata della Posta Centrale in continuità con la facciata di una chiesa. La posta senza traffico, si apprezza, bella e maestosa col suo orologio in cima perfettamente allineato al portone ad arco dell’ingresso. Il mio cammino continua e con una certa emozione so che il prossimo appuntamento, che immagino davvero speciale, sarà Fontana di Trevi. Non mi sbagliavo, sorvolo sul resto che incontro, ma quando arrivo l’immagine solitaria, la musica dell’acqua che scorre con un suono sovrano su ogni altro rumore per altro inesistente è una magia. Ma una magia, data dalla praticamente totale assenza umana, che seppur regali una bellezza straordinaria, sono costretta a pensare come sia terribile il motivo che la genera e non può essere dimenticato. Mentre fotografo e ad alta voce, nonostante i pensieri, dico: ma quando ci ricapita! Sono riportata a terra proprio da un vigile che chiosa: “speriamo davvero che non ricapiti”. Come dargli torto se questa bellezza è frutto della paura e dell’esigenza di difendersi con la clausura e lo stop di ogni attività dal coronavirus?
Comunque, dopo un rassicurante panino comprato proprio nell’antico forno che ben dal 1939 si trova nella Piazza della Fontana, facendo la fila con un certo numero di persone del luogo che fanno la spesa, continua la mia passeggiata romana e nel cammino che mi porta verso via Nazionale incontro altri luoghi solitari e maestosi come la piazza della Pilotta a fronte dell’università Gregoriana, a seguire via della Pilotta con i suoi ponticelli che uniscono Palazzo Colonna ai i suoi giardini. Prima di affacciarmi su Via Nazionale mi siedo qualche minuto sul gradino di un negozio chiuso. Cammino oramai da più di due ore e a parte un po’ di stanchezza, ho bisogno di una piccola pausa. Interagire con tanta presenza, bellezza, storia nuda, spoglia di ogni distrazione, nell’imporsi, procura un bombardamento di pensieri sensazioni ed emozioni. Quando riprendo l’ultima parte del mio andare, mi accoglie una Via Nazionale davvero vuota e solitaria, passano saltuariamente autobus e qualche macchina, ma la via ampia e con tutte le saracinesche abbassate evoca un deserto. Da qui in lontananza, nelle diverse traverse, si possono incrociare luoghi fondamentali della città e del paese. il Quirinale, in primis, la Questura centrale di Roma, dei giardini o molto più su Santa Maria Maggiore. Il sole è forte e mentre osservo la prospettiva solitaria che regala l’orizzonte di Via Nazionale, mi accorgo che sotto la pensilina del Teatro Eliseo c’è dell’ombra. Mi dirigo anche per poter vedere lì le tante foto che ho cercato di fare ma che col sole non distinguo. Penso che l’ombra mi sarà forse utile. Quello che scopro, arrivata all’Eliseo, è inaspettato e mi regala nuovi pensieri. Il teatro ovviamente chiuso ha però ancora, non rinunciando alla speranza della ripresa, esposti fuori i manifesti della stagione 2019/2020 il cui titolo recita: TUTTA UN’ALTRA CITTA’. E’ credibile, immaginare come lo slogan del teatro Eliseo mi sia apparso come una piccola magica sorpresa, venuta per caso, ma forse non del tutto, a sintetizzare tanti dei pensieri sulla Roma sul quel pezzetto di Roma e della sua storia che ho attraversato in questo ultimo giorno di uno strano aprile. Ed è stato proprio riflettendo e interrogandomi quale altra Roma, rispetto da quella da me sempre conosciuta, stessi attraversando? Quale il suo futuro con noi e quale altro risvolto ci sarà da vedere e da capire? Ed è lì che mi colpisce la solitudine imponente della Banca d’Italia , Il Traforo silenzioso e abbandonato al suo ruolo di semplice galleria, in attesa delle macchine che gli restituiscano vita, Il Palazzo delle Esposizioni chiuso e con un visibile lavoro di restauro, almeno così sembra, sulla scalinata, le panchine vuote in tutta la Via che è poi una delle pochissime strade romane che offra tali luoghi di riposo ed osservazione, forse soprattutto per i turisti. Viaggiatori oggi assenti, quelli che la percorrono in tempi normali da Piazza Venezia a Piazza della Repubblica, accompagnati dall’abbraccio di una Roma da sempre aperta a tutti e che tutti accoglie con sussiego e benevolenza, come conviene a una vecchia signora; ma sempre con quell’affetto sornione di chi nella vita ha visto tutto e tutto sopporta e ascolta in attesa che chi la guarda, l’osserva capisca e ne tragga riflessioni utili. Ed è allora proprio questo cercare di capire la città nel vuoto umano che in questi giorni l’attraversa , che diviene difficile e indefinibile. Al fine del mio cammino, pro tempore, mi è rimasto il desiderio di riprenderlo la prossima occasione per continuare a parlare con questa nostra capitale e cercare di interpretare quel che ha da dire, che non è ne semplice ne scontato, ma sicuramente trasuda della saggezza unica di chi già tutto ha visto e sa raccontare, e forse, sa consigliare come affrontarlo. Certo, penso mentre torno a casa, non è facile percepire il messaggio che Roma ci manda oggi che al Campidoglio non ci sono oche che starnazzando avvertano che il nemico avanza. Eppure se sappiamo ascoltare e guardare in silenzio, forse, il nemico che ci invade possiamo comunque preparare e progettare non solo per ricacciarlo indietro ma progettare un nuovo tempo e riprendere anche un colloquio intenso con questa nostra incredibile città. Che racconta di tutto e da infinite esperienze secolari …. Il dialogo, per me , continua.

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