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Turista non per caso

Turista non per caso

Iran - Dal diario di viaggio di una lettrice di Noidonne

Daniela Amadio Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Febbraio 2006

Nell’agosto del 2004 sono stata due settimane in Iran insieme ad un gruppo di amici e con un viaggio organizzato. Prima della partenza, parlando della mia decisione di andare in Iran, mi ero sentita dire da tutti che ero un incosciente, che sicuramente mi accingevo a fare un viaggio molto pericoloso, in realtà ho conosciuto una gentilezza ed un’ospitalità da noi ormai pressoché dimenticate, un grandissimo rispetto per le persone, i ladri sembra che non esistano e se ti dimentichi qualcosa non solo non la prende nessuno ma se possono ti riportano quello che hai perso: a Teheran un tassista ha riportato ad una di noi una borsa, che conteneva anche dei soldi, tornando indietro a cercarci, perdendo così tempo e presumibilmente i soldi magari di un altro viaggio. Chi lo farebbe da noi? Mi ero informata, per quanto possibile, sulle usanze del posto, per rispettarle, quindi capo coperto da un fazzolettone, vestiti larghi, che non lasciassero capire le forme del corpo, anche gambe e braccia coperte, colori non sgargianti e vistosi. Già nell’aereo dobbiamo coprirci il capo, così come anche le hostess fanno, ma una volta salite a bordo ci togliamo il fazzoletto e vediamo che lo fanno anche delle donne presumibilmente iraniane; non posso allora non chiedermi quanto il capo coperto sia una scelta oppure una costrizione. Il primo giorno a Teheran non mi consente di farmi una vera idea del paese, perché la capitale è immensa ed è simile alle nostre metropoli europee: traffico, grandi strade e grandi distanze. Quello che subito balza agli occhi sono le donne che, anche con il grande caldo, portano quanto meno degli spolverini, che arrivano più o meno a metà gamba, e sotto hanno dei pantaloni, in testa, in alternativa al chador nero, vediamo, soprattutto nelle giovani, anche dei fazzoletti colorati, comunque rigorosamente legati sotto la gola. Anche in mezzo alla folla dei marciapiedi uomini e donne non si sfiorano nemmeno, noi non siamo particolarmente attente ad evitare questo ma comunque non c’è il benché minimo contatto con il sesso maschile che ci evita categoricamente. Questo non ha impedito a qualche uomo, non visto, di fare ad alcune donne del gruppo qualche proposta: tutto il mondo è paese. Nessuna coppia si tiene per mano o cammina sottobraccio. Negli autobus le donne entrano nella parte posteriore, divisa da quella anteriore da un ferro trasversale, mi sembra che i figli maschi, oltre una certa età, debbano andare davanti con gli uomini, il bigliettaio chiede il biglietto in strada e non sale in mezzo alle donne. Ci era stato raccomandato di non togliere mai, in pubblico, il fazzoletto dalla testa per cui, se qualcuna di noi che, per esempio in albergo uscendo dalla camera, dimenticava di metterselo, frettolosamente tornava indietro ad indossarlo. Potrebbe sembrare una banalità, ma dopo un po’ di tempo dover stare con il capo coperto può dare l’impressione, ad un’occidentale, di una costrizione difficile da sopportare. A fronte di qualche piccola difficoltà nel sopportare le usanze del luogo ho però sperimentato la grandissima gentilezza delle persone, in particolare delle donne, sempre aperte al dialogo, desiderose di parlare con noi, che spesso ci chiedevano di fare una fotografia insieme. Ma a volte non è stato possibile parlare o fare fotografie, perché se le donne erano con un uomo e questi non voleva, le donne non potevano parlare. Allora cominci a respirare un senso di non libertà, che con il trascorrere dei giorni diventa faticoso da sopportare, c’è solo la consolazione che tornerò in Italia, dove noi donne possiamo protestare quando pensiamo di subire ingiustizie o discriminazioni, dove certo non rinunciamo a parlare con una persona se un uomo che ci stesse accanto dovesse, incredibilmente, vietarcelo. Da Teheran ci spostiamo a Qom, e poi a Isfahan, Yazd, Kerman, Shiraz, città belle e affascinanti, e visitiamo anche la meravigliosa Persepoli. Lontano da Teheran si vedono sempre più donne coperte dal chador nero e lungo fino a terra, e non posso non chiedermi quante di loro veramente desiderino portarlo; una ragazza ci manifesta chiaramente il suo disappunto. Certo non posso non fare il confronto con il nostro mondo dove, al contrario, la mercificazione del corpo femminile è dilagante, basta guardare la televisione, dove spesso le ragazze sgambettano mezze nude intorno ad uomini in giacca e cravatta, potrebbero stare dove sono se si rifiutassero di spogliarsi? Ancora nel terzo millennio dove sta la nostra libertà? A Isfahan parlo con una donna che si dichiara mujaeddin che si dice orgogliosa di portare il chador, io le dico che sono cristiana cattolica e rispetto le sue scelte, ma le chiedo se per lei non sarebbe auspicabile che in tutti i paese islamici si potesse essere democraticamente liberi di praticare ogni religione nel rispetto reciproco e costruire le proprie chiese, non ottengo alcuna risposta. Sempre a Isfahan, in un negozio parlo con un signore, che sta insieme a sua moglie, il quale mi parla del suo lavoro di artista, mi spiega le tecniche che usa, nel salutarlo gli porgo istintivamente la mano, anche lui lo fa, poi, come se si fosse accorto di stare per toccare il fuoco, ritrae di scatto la mano e mi dice “non si può”, posso dare la mano solo a sua moglie; si può immaginare la mia meraviglia. Le città iraniane sono piene di meravigliosi giardini con tante famiglie che fanno pic nic, le donne sono separate dagli uomini e parlano soprattutto tra di loro. L’ospitalità e la gentilezza degli iraniani li porta a chiederci, mentre noi passeggiamo, di fermarci e di sedere con loro, ma gli uomini non parlano con noi donne e si rivolgono soltanto agli uomini del nostro gruppo, a volte mi sembra di essere trasparente. Conserverò del viaggio il ricordo di un popolo che vive e manifesta un senso di ospitalità, di gentilezza, di rispetto da noi rari, ma accanto a questo un senso di non libertà, in particolare delle donne, ho parlato con alcune di loro, non senza timore, e mi hanno manifestato il disagio della loro condizione. Allora si rafforza la mia convinzione che in tutto il mondo la strada che noi donne dobbiamo percorrere è ancora molto lunga, per non lasciarci mercificare in occidente, dove comunque gli spazi per scegliere la propria vita sono ampi e liberi, per non indossare il chador, il burqa, se non vogliamo, per essere libere di parlare. Mi chiedo che cosa sarà diventato oggi l’Iran per le donne, dopo le ultime elezioni. Consiglio il libro “Leggere Lolita a Teheran” di Azar Nafisi, una scrittrice di Teheran che attualmente vive negli Stati Uniti, la quale racconta dall’interno la vita in Iran dopo la rivoluzione di Khomeini fino alla sua scelta di emigrare dal suo paese. Desidero tornare in Iran, perché la sua gente e le sue bellezze mi sono rimaste nel cuore, ma lo farò quando sarò libera di parlare e di non indossare il chador.



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