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Troppo acerba la democrazia di genere

Troppo acerba la democrazia di genere

- Manca una teoria dei diritti di genere e una configurazione autonoma dei poteri che rendano possibili strategie condivise sul governo della polis

Giancarla Codrignani Domenica, 30/03/2014 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Aprile 2014

 Molti anni fa il femminismo era separatista a oltranza nei confronti delle istituzioni. La preclusione poi cadde, senza discussioni di merito. E questo non fu un bene. Infatti, ancora manchiamo di una teoria dei diritti di genere e di una configurazione autonoma dei poteri che rendano possibili strategie condivise su come giocare gli interessi femminili rispetto al governo della polis.

A distanza di decenni dalla contrapposizione tra femminismo di "liberazione" ed emancipazionismo storico, siamo arrivate alla "piena parità" e il governo Renzi è il primo "50 / 50 %". Una conquista, evidentemente.



Oltre alla bella soddisfazione di vedere il pancione della Madia e una Pinotti alla Difesa o la manifestazione di solidarietà di genere di fronte al tentativo sessista di cancellare la parità nella legge elettorale, non è che abbiamo caricato le immagini di eccessivo significato simbolico e l'assenza di un "Ministero delle Pari Opportunità" significa che la presenza politica non fa tutt'uno con l'accoglimento paritario della cultura e dei diritti delle donne?  È ancora presto per giudicare; tuttavia le prime dichiarazioni e i primi interventi sono totalmente politici, diciamo "maschili"; vero è che Federica Mogherini - come del resto Emma Bonino prima di lei - non poteva far lezione di femminismo alla conferenza dei ministri degli esteri europei.... Comunque per ora non è percepibile "la differenza" di un femminile che rappresenti la cultura delle donne, proprio in tempi di quelle riforme urgenti che sarebbero avvantaggiate dalle innovazioni proposte (e trascurate) delle nostre studiose. Quindi sarà bene ragionare se si apre una fase "liberatoria" o se si è completata l'emancipazione: anche le donne dopo gli schiavi, i neri, i popoli colonizzati. Di recente i giornali hanno ricordato che, quanto al (chiamiamolo pure) "capitale umano", una donna "vale la metà di un uomo". La famiglia è, come "istituto" terremotata da cambiamenti che impongono di parlare più di affettività che di interessi. Poi succede che "su internet un anonimo ti chiama puttana" e, almeno in linea di principio non vorremmo leggi di controllo sulla libertà della rete. La legge 40 sulla fecondazione assistita, assolutamente incompresa dieci anni fa dalla sinistra, aspetta solo la sanzione della Consulta, dopo 28 interventi della magistratura e della Corte di Strasburgo. Le donne italiane vorrebbero vedere messi all'OdG del Parlamento i propri interessi. Altrimenti che cosa facciamo al Governo in quanto donne?



La questione riguarda la natura della democrazia a partire dal significato dell'uguaglianza, parola che pone sempre la domanda "rispetto a che cosa?". Siamo uguali per comune umanità e giuridicamente "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali"? Ma, se le lingue sono diverse e i ricchi non sono uguali nemmeno davanti alla legge? Il punto dolente è che qualunque legge "riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo": anche se per tutte le giurisprudenze del mondo il termine uomo "comprende anche la donna", di fatto uomo e persona (termine più proprio della cultura cattolica) non comprendono un diritto femminile che, almeno per la maternità, esige l'autonomia.



La "democrazia di genere", dunque, riferita alle istituzioni è ancora acerba se si limita alla parità con l'uomo, che resta l'unico riferimento - apparentemente "neutro" - del diritto. Secondo questa linea al top della statistica internazionale per la presenza femminile nei Parlamenti si trova il Rwanda, con il 56% della rappresentanza: le donne avrebbero la maggioranza, ma il "genere" - per convenzione universalmente taciuta - è in realtà il solo sesso biologico. D'altra parte, in Germania al vertice sta una "governante" e già la morfologia sotterraneamente nega le scelte politiche generali secondo la cultura femminile. Idem per Dilma Rousseff in Brasile, per la treccia bionda di Julia Timoshenko e per Christine Lagarde, capo del Fondo Monetario o Janet Yellen, signora della Federal Reserve. In Europa su 28 paesi abbiamo oggi 5 ministre della Difesa. Bello se il genere aiuterà a far capire che è meglio una difesa europea unica e non 28 eserciti costosi e poco efficaci, ma è pura razionalizzazione, ci arriverebbe anche un uomo. Per ora il concreto della politica è stato avviato sulla stretta competenza, con la "rettora" Giannini, per esempio, intenzionata a finanziare le scuole private e la Madia in dissenso sull'aborto. Vedremo, al solito, le proposte di legge e le discussioni parlamentari specifiche.

D'altra parte, se siamo più brave, "comanderemo" sempre di più. Ma senza nuovi apporti di pensiero ci adegueremo, almeno visibilmente, al modello unico, con tutti i limiti che contrappongono lavoro e affettività, gerarchia e democrazia.

Rossana Rossanda in un contesto politico che riguardava normali vertenza sociali diceva che "non basta spezzare l'ordine simbolico per spezzare il potere".



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