Memorie indigene - Sono venute a Roma per incontrare il Papa. Volevano le sue scuse per i torti storici subiti cinquecento anni fa
Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Settembre 2008
La notizia è: a piazza San Pietro sotto il sole cocente di un mezzogiorno estivo il 9 luglio del 2008 si è svolta una manifestazione di preghiera molto particolare, fatta di rituali con canti e danze di culture indigene provenienti da varie parti del mondo. Protagoniste sono 13 donne molto anziane, confluite da quattro diversi continenti (Circolo Artico, America del nord, del centro e del sud, Asia ed Africa) da viaggi molto estenuanti, data anche l’età. Nei loro paesi sono guide spirituali o sciamane o riconosciute personalità religiose, ad accomunarle è la persuasione che il mondo oggi abbia bisogno della loro preghiera ancestrale per guarire dalla guerra e dalla minaccia ecologica. Con loro viaggia, oltre ad assistenti e traduttori, anche una bambina di nove anni, Davian Joell Stand-Gilpin, che ha danzato nel costume dei nativi americani e che è una trisbisnipote del capo indiano Coltello Spuntato (nome attribuitogli dai Sioux), il cui nome cheyenne era Stella del Mattino, protagonista, un secolo e mezzo fa, delle trattative per il mantenimento di alcune riserve indiane (tuttora esistenti) nello stato del Montana.
Il primo incontro delle “nonne”, svoltosi a Phoenicia negli Stati Uniti d’America, risale all’ottobre 2004, quando decidono di fondare l’“International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers”, con l’intento di svolgere iniziative internazionali rivolte alla pace nel mondo, alla salvaguardia dell’ambiente ed all’educazione spirituale delle prossime generazioni. Due volte l’anno scelgono un luogo simbolo in cui confluire e, raccolte le comuni energie, pregano insieme. Con loro cammina la regista e produttrice freelance Carole Hart che segue le loro attività per girare un lungo documentario dal titolo “For the Next 7 Generations: The Grandmothers Speak”, rivolto a diffondere nella maniera più ampia possibile il messaggio di pace e integrità che proviene dalle culture indigene.
Finora località di riunione dell’“International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers” erano state le sedi in cui alcune di loro svolgono l’attività di guaritrice o leader religiosa: Pojoaque nel New Mexico dove si trova la casa della grandmother Flordemayo, una healer/curandera Mayan; il cuore della foresta amazzonica dove si trova la comunità e la casa di cura centro di salute olistica dirette dalle due “nonne” provenienti dal Brasile Clara Shinobu Iura e Maria Alice Campos Freire; il villaggio di Huautla de Jimenez in cima alla montagna messicana, casa di Julieta Casimiro una sciamano indio Mazatec. E, nell’ottobre del 2006, si erano incontrate presso la seconda sede della leader religiosa tibetana Tsering Dolma: Dharmsala, in India, dove si trova anche la residenza del Dalai Lama, che le tredici “nonne” hanno incontrato ricevendo la sua benedizione.
Questa di Roma è stata la loro prima volta in Europa, la prima volta in un luogo geografico che non appartiene a nessuna di loro, ma che possiede una potente carica religiosa, tra spiritualità e contraddizioni. Hanno scelto Roma per chiedere udienza al papa, con spirito di pace e con una richiesta ben precisa: revocare e rendere definitivamente nulle bolle ed editti papali “su cui si fondano le dottrine della conquista e della scoperta” che negli anni dei massacri alle popolazioni indigene (nel XV e XVI secolo) hanno causato la devastazione delle loro culture. Nella loro prima lettera, datata 22 ottobre 2005 e indirizzata al cardinale Walter Kasper, le Grandmothers scrivevano: “Our peoples must still live with the continuing legacy of this first denial of our right to be treated as equal participants in the community of nations. Our peoples are still struggling for the right to live on earth and practice our cultural and spiritual traditions as our ancestors did.”
Alcuna risposta è giunta dal Vaticano né alla loro prima lettera né a quelle seguenti in cui annunciavano la loro intenzione di venire a Roma e chiedevano udienza al papa, dal quale, oltre alla revoca degli antichi editti, gradirebbero ascoltare parole di scuse per i torti storici subiti cinquecento anni fa. Altri capi di stato recentemente hanno offerto gesti di scuse o di riconoscimenti pubblicamente: il Primo Ministro australiano Kevin Rudd e il Primo Ministro canadese Stephen Harper chiedendo scusa, rispettivamente, alle popolazioni aborigene e ai nativi del Canada; il candidato alle presidenziali statunitensi Barack Obama promettendo di nominare nello staff governativo un rappresentante dei nativi americani.
Chissà se il papa risponderà alla lettera in cui l’“International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers” chiede di unirsi al coro di tali illustri precedenti: lettera lasciata in consegna, tra mille difficoltà, ad un ufficio del vaticano dopo il momento di preghiera insieme ad alcuni doni simbolici.
Ma torniamo a piazza San Pietro nel caldo afoso di un mercoledì estivo, in cui il papa, trovandosi a Castel Gandolfo in vacanza, ha disdetto le consuete udienze settimanali, e alla cerimonia religiosa delle tredici “nonne” indigene e alla loro bisnipote, costantemente riprese da un cameraman professionista diretto da Carole Hart. I primi ad accorgersi di loro sono stati dei poliziotti, chiedendo, con i soliti modi bruschi polizieschi, ma forzando sorrisi gentili, che cosa stesse mai succedendo e se vi fosse un’autorizzazione. Un permesso c’era, ma, a causa di un malinteso (che una volta chiarito i gentilissimi poliziotti si sono prodigati ad aiutare in tutti i modi le anziane signore), all’inizio sembrava fosse solo per la presenza della telecamera sia all’interno che all’esterno della basilica di San Pietro.
“Bisogna - sento dire da un poliziotto - avere un permesso anche per sostare nella piazza”.
Poco dopo la voce risonante del poliziotto che parla al telefono con un suo superiore copre i suoni degli strumenti rudimentali indigeni che accompagnano danze e canti: “Sono un gruppo di indiane d’America, parlano solo inglese. ... Indossano abiti tradizionali, ma tutte molto decentemente vestite. ... Tranquille, nessun disordine. Che vogliono? Pregare, sissignore è una preghiera. Pregano dio nella loro lingua. Se sono cattoliche? sissignore sì certo, cattoliche, sicuramente! se no perché venire qui?”
In realtà alcune delle “nonne” sono cattoliche, mentre altre no e le loro cerimonie sono inter-religiose. Ma non questo stuzzicava la mia curiosità man mano che cercavo di entrare in contatto con il messaggio dell’“International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers” e non riuscivo a capire cosa potesse muovere davvero una iniziativa di tale portata e dispendiosità. Ho seguito per un paio d’ore i loro spostamenti, tra la piazza e la basilica, cercando di scoprire, attraverso domande a chi accompagna in giro per il mondo le tredici sagge religiose, che tipo di organizzazione ci fosse dietro e chi finanziasse i molti viaggi delle “nonne”, che parlano sette diverse lingue e hanno bisogno di traduttori simultanei persino per comunicare tra loro.
La risposta mi viene da una donna sulla cinquantina, che appena mi avvicino a farle delle domande mi dice di avere poco tempo, invitandomi a consultare i siti internet. Lei rappresenta “The Center for Sacred Studies”, un’organizzazione non-profit che si prodiga per sostenere la sopravvivenza di modalità di vita indigene attraverso pratiche spirituali inter-culturali. L’“International Council of Thirteen Indigenous Grandmothers” è ben considerato da molte realtà e riceve donazioni e sostegni economici sia da singoli che da organizzazioni internazionali. La più importante tra queste è la californiana Kalliopeia Foundation, che trae il suo nome dalla figlia della dea della memoria Mnemosyne e di Zeus: la musa greca Calliope, simbolo dell’intuizione e del richiamo a ricordare. Missione di questa fondazione è mantenere viva la memoria affinché ogni realtà presente e futura possa essere viva parte della sacra interconnessione della vita.
Io insisto a domandarle da dove nasce l’idea di tutto questo seguendola per i corridoi che lei sta attraversando nella speranza di riuscire a consegnare la lettera e i doni per il papa. Lei mi risponde che queste sono cose che provengono da una ispirazione divina, e afferma di essere stata lei a mandare lettere alle “nonne” e a mettere insieme voci e volti che prima erano sconosciuti tra di loro. Come le ha scelte? Guidata dalla voce di una divinità femminile.
Prossima tappa dell’International Council è la Spagna: Borga e Barcelona dove si svolgeranno cerimonie e momenti formativi focalizzati sul tema delle conseguenze del cambiamento climatico e della urgenza di una maggiore armonia nel nostro pianeta.
Le idee muovono il mondo. O è il mondo, fatto di concrete persone attive, che muove le idee?
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