"Stupri di guerra, stupri etnici, contro le donne, ma non solo, violenze sulla popolazione civile, fino al genocidio: avvengono in tutte le guerre in diverse forme di brutalità, ieri e oggi...."
Martedi, 03/03/2020 - Introduzione di Isabella Peretti incontro del 22 febbraio 2020
Dal Ruanda ai Balcani, ai campi di detenzione libici, greci e turchi,
la tragica attualità degli stupri di guerra e la soggettività delle donne
Altri materiali: noidonne.org, videointervista a Staša Zajović
In questa mia breve introduzione non posso che ribadire quanto scritto nel comunicato stampa. Nelle tre giornate che iniziano oggi alla Casa internazionale delle donne, 22 febbraio, proseguendo poi il 14 marzo e il 4 aprile, racconteremo, con i video e con la voce delle testimoni e delle protagoniste delle lotte di ieri e di oggi, le conseguenze della guerra nella ex Jugoslavia: le storie della Bosnia ed Erzegovina, dove ancora la pace è fredda, le separazioni etniche una eredità e una realtà pesante; parleremo del Kosovo, dove gli stupri della guerra riemergono nella coscienza collettiva superando i silenzi e le vergogne individuali, così come dimostra il video che riprende l’installazione nel campo sportivo di Pristina di migliaia di vestiti appesi a dei fili trasversali donati a sostegno delle donne vittime di stupro; e la storia del Ruanda, il Paese delle donne, che dopo il genocidio dei Tutsi hanno ricostruito il loro paese.
Turchia, Kurdistan, Nigeria, Darfur, Cile.. . sono tanti i teatri di guerra e di stupri di guerra aperti, che affronteremo con altre iniziative, ma non potevamo non affrontare da subito le violenze che subiscono le donne migranti, nel “viaggio”, nei campi di concentramento libici, turchi e greci, nei centri di detenzione europei.
Si tratta dunque di eredità attuali e di tragiche attualità; lì dove non si dimentica il passato e si ricostruisce il futuro le donne sono protagoniste in prima fila, dal Tribunale delle donne nella ex Jugoslavia al Tribunale internazionale per il Ruanda; lì dove la loro soggettività è repressa con la violenza c’è bisogno di imporre il rispetto dei diritti umani con una azione istituzionale e politica incisiva nei vari scenari di detenzione, torture, ricatti, tratta.
Quindi, ecco perché a conclusione delle nostre tre giornate ci sarà un documento conclusivo con alcune richieste molto chiare: protezione internazionale per le migranti vittime di stupro e violenze; risarcimenti alle donne vittime degli stupri di guerra, riconoscimento delle problematiche e dei diritti delle figlie e dei figli degli stupri. Interloquiremo con autorità italiane, europee e internazionali, chiederemo il loro impegno, cercheremo il sostegno delle associazioni e del volontariato.
Stupri di guerra, stupri etnici, contro le donne, ma non solo, violenze sulla popolazione civile, fino al genocidio: avvengono in tutte le guerre in diverse forme di brutalità, ieri e oggi. Non si possono comprendere gli eventi bellici senza cogliere la dimensione sessuale che li fonda e li attraversa. La storia
Fin dagli antichi tempi lo stupro era considerato come normale bottino di guerra e successivamente come danno collaterale delle guerre, con la conseguenza dell’impunità – nessuno dei due tribunali istituiti a Tokyo e a Norimberga dai Paesi alleati sui crimini di guerra ha riconosciuto il reato di stupro. Nelle Convenzioni di Ginevra (1949) lo stupro di guerra fu considerato un attacco “all’onore” (di fatto dell’uomo); fu invece considerato crimine di guerra dalla giurisprudenza dei due Tribunali internazionali, per ex Jugoslavia e per il Ruanda, istituiti rispettivamente nel 1993 e nel 1994; fino al riconoscimento dello stupro di guerra come crimine contro l’umanità nello Statuto della Corte penale internazionale:1998. Una violazione dell’anima e del corpo
I corpi delle donne violentati, lo stupro come arma di guerra contro il nemico attraverso le donne del nemico, per distruggere il futuro, per rendere impossibile ogni convivenza, per fare pulizia (etnica). Una violazione dell’anima e del corpo. I sentimenti delle donne hanno nomi precisi: pudore, vergogna, silenzio, sofferenza, depressione, solitudine. Le comunità spesso trasformano le vittime in colpevoli del disonore, così le donne sono violentate due volte. Il riscatto
Le ferite non si rimarginano se la convivenza multietnica è ormai solo un ricordo e una nostalgia, se chi ti ha stuprata è stato il tuo vicino di casa, se gli autori restano impuniti a circolare nelle stesse strade dei loro crimini; ma lì dove si è intrapresa la strada di una rielaborazione collettiva delle tragedie avvenute, della giustizia e non della vendetta, si ricostruisce una società e le donne ne sono protagoniste, cercando di riprendere in mano la loro vita e le relazioni.
Vorrei in conclusione citare alcune parole, che abbiamo sentito e letto sabato scorso, di Staša Zajović (Donne in nero di Belgrado) che ha raccontato la storia e le iniziative del Tribunale delle donne della (ex) Jugoslavia. Le chiamerei “le perle” di Stasa. La sentiremo in una video intervista che le abbiamo fatto proprio sabato scorso.
Innanzitutto l’incredibile storia del Tribunale delle donne: solo le donne hanno potuto trascendere il conflitto tra nazionalismi e mettersi insieme, slovene, croate,serbe, bosniache, montenegrine, kosovare, macedoni, dopo una terribile guerra che ha voluto dividerle. Ci sono voluti anni di incontri e sostegno al coraggio delle testimoni delle violenze etniche, dei crimini militari, degli stupri di guerra, che si
presentano nei tribunali civili o penali, nel contesto di nuovi “stati-nazione” dove vige spesso l’impunità per i carnefici e la stigmatizzazione delle vittime e delle testimoni. Chiedevano e chiedono, oltre a risarcimenti economici, forme ben più incisive di riparazione simbolica, di giustizia riparativa.
“Le testimoni, dice Stasa, sono diventate soggetti di giustizia”. A questo “miracolo” le donne del Tribunale delle donne (Sarajevo 2015) sono arrivate con una lunga preparazione: “non sono state forme assistenziali di sostegno psico-sociale, ma l’autocoscienza , il superamento di ogni forma di risentimento o gerarchia tra donne, la solidarietà femminista a rendere noi donne protagoniste” ; avevamo alle spalle grandi maestre, da Hannah Arendt , alla filosofa Rada Ivecovich che ha accompagnato tutto il nostro percorso”.
Alle loro spalle l’esperienza di quasi 40 tribunali delle donne in Africa, Asia e America Latina. Tribunali che non emettono pene, ma denunciano ingiustizie, in cui i racconti sono racconti non di sopravvivenza ma di resistenza, in cui le memorie sono alternative ai nazionalismi, anche se “siamo lontani da un futuro in cui potrà essere possibile un giorno scrivere libri di scuola comuni su quanto accaduto”
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