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Tre Casette: Memoria di un eccidio (1944-2024) - di Angela Maria Fruzzetti

Tre Casette: Memoria di un eccidio (1944-2024) - di Angela Maria Fruzzetti

Albano, 20 anni, ammazzato sotto gli occhi della madre a Forno il 13 giugno 1944-2024. “'Decima! Decima Mas!', io e la mia cugina Ada ci guardammo ...."

Giovedi, 13/06/2024 -

“Decima! Decima Mas!” . Io e la mia cugina Ada ci guardammo e ci mettemmo a ridere? “Chi è che chiama la Decima? Qui non ce ne sono di donne che hanno quel nome!!” E ridevamo, controllando quel vestito che stavamo indossando, rosso a pois bianchi, identico, come due gemelle.  Ci stavamo preparando per andare in paese, a Forno,  per la messa. Era la festa del patrono, Sant’Antonio, e c’erano pure le comunioni dei bambini e delle bambine.  “Decima! Flottiglia Decima Mas!”. La voce adesso era più vicina, vicinissima. Ci affacciammo alla finestrella e scorgemmo dei soldati nell’aia. La zia Amelia ci disse di non uscire ma qualcuno aprì la porta con forza, spintonandoci.  Mia cugina Ada, coraggiosamente  cominciò a parlare, a spiegare che dovevamo andare in paese, perché ci aspettava la mamma.  Fu un soldato polacco a dirci di non muoverci,  che in paese c’era del brutto. Ci chiese l’età, 16 anni, e aggiunse che anche lui aveva una figlia nostra coetanea. Ci offrì delle tavolette di cioccolato”. All’improvviso la  “Decima” scese dal monte e un esercito di soldati  invase il  territorio  sopra la filanda.  “Eravamo terrorizzate e d’impulso avevamo capito la “Decima.  I soldati frugarono ovunque, cercavano gli uomini. “ No, no, noi siamo sole, non ci sono uomini con noi”. Alcuni soldati entrarono nel solaio dove  c’erano riposti gli attrezzi agricoli e il fieno. Sapevamo che nel solaio c’erano alcuni sfollati che avevamo accolto. Con la punta del fucile cominciarono a  infilzare la montagna di fieno e noi, spaventate, pregavamo Sant’Antonio: se li avessero trovati ci avrebbero uccisi tutti.  Nel pavimento c’era una botola che comunicava con la stalla sottostante. E così gli sfollati scesero sotto per risalire quando i soldati entrarono anche nella stalla. Rastrellarono ogni casa e  portarono via tanti giovani. Salvatore lo rilasciarono  sul ponte della Filanda, perché si resero conto che era sordomuto.  Il sole era forte, caldissimo, quel 13 giugno.  

Nelle piane di fronte alla nostra casa,  oltre la sorgente del Frigido, nella località che si chiama Tre Casette,  scorgemmo uno strano movimento.

All’improvviso le urla disperate delle donne riecheggiarono per tutta la vallata. “Ridatemi mio figlio! Rivoglio mio figlio “- urlava la Angela. Poi, una raffica di mitra seguita dal silenzio, dal terrore.

I due corpi che vedemmo stramazzare a terra sotto la raffica delle mitragliatici erano quelli di  Albano, 21 anni,  e Pellegrino di 35,  i due ragazzi trovati in possesso dei fucili Sten  presi il giorno  prima dentro la Filanda.

Io sapevo com’era andata la storia e la raccontai a mia cugina Ada.

Le raccontai quello che era successo il giorno prima, lungo la strada, vicino agli orti di Beoni. E’ stato  lì che avevo incontrato Albano.

Imbracciava un fucile Sten, una di quelle armi che gli inglesi avevano procurato alla lotta partigiana con gli aviolanci.  Io avevo assistito ad un aviolancio. Che stupida! Quando vidi quella seta  bianca appesa alla pergola dell’uva  mi avvicinai e me la avvolsi intorno al corpo, sognando  di farmi un abito da sposa! Feci anche due passi di danza… per sognare. Sognare la fine di quella guerra,  sognare un amore, una vita di pace. Fu un partigiano che spuntò alle mie spalle a farmi sussultare. Armato di fucile, mi disse:  “Ragazzina, quella non è roba per te”. E portò via tutto l’involucro. Seppi poi che era un aviolancio per sostenere la lotta partigiana. E che mi aveva regalato un sogno.

 Ma torniamo ai fucili Sten che i due giovani , Albano e Pellegrino, avevano  preso dentro il cotonificio, che era stato occupato dai partigiani. 

Suggerii loro di liberarsi di quelle armi, di buttarle nel fiume. Ma erano troppo entusiasti di possedere finalmente  un fucile vero.  Si sentivano più sicuri, forti, veri uomini.

 Albano e Pellegrino non facevano parte né dei partigiani né dei fascisti ma vennero giudicati sicuramente disertori, non avendo risposto all’arruolamento militare. Erano due giovani, civili,  che lavoravano la terra con i loro genitori e appesero quell’arma ad un chiodo, in casa.

Le squadre della Decima Mas e le truppe tedesche quel 13 giugno,  proruppero anche  nei casolari a monte. Avevano sete di odio, di vendetta, senza pietà. 

Sfondarono le porte, entrarono nelle case, devastarono, incendiarono, uccisero.  

Albano dormiva ancora, quella mattina. Lo prelevarono dal suo letto, spingendolo fuori. Era un ragazzo.

La madre, Angela,  li implorava: “Lasciatelo stare, lasciatelo stare. È mio figlio, un bravo ragazzo”. Niente.

Lo insultarono, lo accusarono. Dissero che era sicuramente una spia, amico dei partigiani, perché aveva un fucile Sten. Lo condussero appena fuori del minuscolo abitato di case di pietra, sotto il sole caldo di giugno.

Non lo portarono in paese, come fecero con altri  rastrellati trucidati poi a Sant’Anna o caricati sui camion per la Germania.

Non potevano resistere alla loro sete di sangue e di vendetta.

Lo spintonarono fino sul viottolo e  lì e  lo massacrarono all’istante, sotto gli occhi sbarrati di sua madre. La donna si accasciò sul corpo straziato  del figlio: aveva il cranio sfondato.

Ricompose quel corpo martoriato e lo raccolse pietosamente dentro una coperta.  La stessa fine la fece Pellegrino, per via di quel fucile appeso al chiodo, per via dell’odio e della ferocia umana di quei fascisti della Decima che erano spuntati dal monte come cavallette. E altri due corpi vennero rinvenuti in località Tre Casette, forse di due  giovani  partigiani che cercavano di salvarsi o due sfollati che credevano di trovare rifugio in quel paese incastonato ai piedi delle Apuane. Erano Giulietto Federigi e Giuseppe Ulivi di Carrara.      

Io e mia cugina, sull’altro versante, assistemmo ammutolite, terrorizzate. Udimmo poi il pianto di una bambina provenire dal sentiero  e scorgemmo la piccola Marisa disperata e dietro di lei suo padre, Umberto, catturato dai nemici.   

Zia Amelia  corse a prendere  la bambina, mentre suo fratello Umbè  fu  portato via, si seppe poi, in un campo nazista, in Germania. Quella  mattina del 13, morì anche l’Amina. Abitava all’ultimo piano del palazzo operaio vicino al cotonificio. Non fece in tempo ad affacciarsi alla finestra che dava sulla strada, dinanzi al Pizzo Acuto  che un proiettile tedesco le si conficcò nella gola. 

Con lei c’erano i suoi bambini, aggrappati al suo vestito, che la videro afflosciarsi sul pavimento in un lago di sangue.

Poi  i  militari si allontanarono. Scesero in paese dove  era già in atto il rastrellamento, la ferocia disumana.  Quel giorno le truppe della Decima e i nazisti  consumarono la terribile strage dei giovani rastrellati. Tanti li deportarono in Germania, nei campi di concentramento. E tanti, sospettati di essere partigiani,  li uccisero nella piana, a Sant’Anna, in un mucchio di corpi sanguinanti. Che storia brutta, la guerra.

NOTE STORICHE
All’alba del 13 giugno 1944 truppe della X Mas e tedesche di stanza a La Spezia, attaccarono  Forno cogliendo di sorpresa i partigiani  che lo avevano occupato da alcuni giorni, proclamando la “Repubblica libera di Forno”.  Il paese  venne presto  conquistato dai militari  e nella ritirata dei partigiani, al Pizzo Acuto,  morì  “Tito”, Marcello Garosi, comandante della formazione partigiana “Mulargia”.  Tra i rastrellati, 51,  renitenti alle armi ( molti sfollati da Massa), furono deportati in Germania. I giovani sospettati di essere  sostenitori dei partigiani furono invece rinchiusi  nella caserma e fucilati la sera stessa sulla sponda del Frigido, vicino all’oratorio di S. Anna. 68 furono le vittime di quella strage: 56  giovani furono fucilati,  2 (ma è un numero incerto) perirono nel rogo della caserma, 10 negli scontri e nel rastrellamento.  Morì anche Amina Posterli  colpita all’interno della propria abitazione alla Polla  e  un bambino di 9 anni, Elio, colpito da un proiettile vagante. Tra le vittime vi fu anche il comandante della caserma dei carabinieri Ciro Siciliano accusato di aver fraternizzato con i partigiani. Il maresciallo era sposato con  Anna, sorella del comandante partigiano Arnaldo Pegollo e giocoforza aveva contatti con la famiglia. Tuttavia, quel giorno, il maresciallo  era in licenza di convalescenza e avrebbe potuto  salvarsi  ma decise di tornare a Forno e affrontare il comando tedesco,  con l’intenzione di intercedere per i suoi carabinieri  e la popolazione civile rastrellata. Molte sono le testimonianze che riconducono all’eroico gesto del  maresciallo che non fuggì, ma affrontò il nemico e  offrì la sua giovane vita in cambio della liberazione di donne e bambini.  Durante la giornata anche il parroco di Forno, don Vittorio Tonarelli, si adoperò, a rischio della propria vita, per salvare gli abitanti, ed in particolare i bambini dell’asilo.    

Angela Maria Fruzzetti, giornalista, scrittrice e poeta,  Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana  per meriti culturali e ricercatrice di memorie.


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